Eagles. ‘Desperado’ da cinquant’anni

Nei primi giorni di aprile del 1973 arrivò nei negozi un album destinato a durare molto più a lungo di quanto si potesse prevedere…

Di Sergio Mancinelli

Podcast – Sound design: Giuseppe Milano

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione.

All’inizio Desperado non fu un disco da zona alta delle classifiche, ma con gli anni recuperò tutto lo svantaggio iniziale diventando il più amato dai fan. Desperado compie oggi cinquant’anni ed è ancora in grado di affascinare a ogni ascolto con i suoni, le voci e i testi così unici che gli Eagles misero insieme in un momento unico e irripetibile della loro storia.

Erano reduci dal successo di ‘Take It Easy’, dell’anno prima, scritta insieme a Jackson Browne, ma non ancora orientati sulla strada giusta da prendere. La scelta del nome Eagles aveva iniziato a cementare quattro caratteri che più diversi tra loro non si poteva. Fu Bernie Leadon, grande conoscitore della mitologia degli indiani Hopi, a proporlo. Era un nome breve e preciso, come quello dei Byrds, loro punto di riferimento iniziale. Inoltre, era parte integrante della storia e dell’iconografia americana: quell’aquila presente nello stemma come nelle monete da un dollaro. E poi l’aquila è l’animale più sacro, più spirituale, perché vola vicino al Sole e quella era l’ambizione degli Eagles: volare in alto.

La banda

Tutto l’album Desperado ruota intorno alla vita e alle gesta della Banda Doolin-Dalton, la più agguerrita e temibile del West. Tra Oklahoma, Kansas e Missouri, seminava il panico rapinando banche e ingaggiando violenti scontri a fuoco durante la fuga. Glenn Frey azzardò il paragone tra gli outlaws, i fuorilegge della musica, con i fuorilegge del West. Entrambi fuori dagli schemi, scevri dalle regole, funamboli della vita come trapezisti sul filo ma senza rete sotto. In perenne bilico tra la vita, la morte e la leggenda. Non a caso la foto della copertina del disco li ritrae tutti e quattro in posa da banditi con pistole, fucili, cinturoni e cartuccere.

Tutta la storia iniziò nel 1887, quando Frank Dalton, il maggiore di 15 fratelli (10 maschi e 5 femmine), vicesceriffo federale, venne ucciso in uno scontro a fuoco con una banda di rapinatori. I quattro fratelli Dalton, su invito della madre, intrapresero la strada da ‘uomini di legge’ diventando sceriffi in diverse cittadine del West; la carriera legale finì però quando due di loro vennero arrestati per furto di cavalli e contrabbando di liquori. Nel giro di pochi mesi, anche gli altri due decisero di passare dall’altra parte della barricata. Così Bill, Doolin, Bitter Creek e Newcombe misero su la banda che, più tardi, innumerevoli spunti avrebbe dato alla cinematografia di Hollywood.
Le loro avventure continuarono fino al 5 ottobre del 1892, quando la Banda Doolin-Dalton tentò il “colpo dei colpi”: due rapine nella stessa giornata a Coffeyville in Kansas, ma dopo la prima andata a segno, la popolazione insorse bloccandoli all’interno della seconda banca. Tre fratelli rimasero uccisi mentre il più piccolo, Emmett Dalton, ricevette 23 colpi di arma da fuoco ma riuscì a sopravvivere, scontando poi quattordici anni di reclusione nel carcere più duro del Kansas.


La banda Doolin-Dalton.

Ibridazione musicale

Per mettere in musica questa storia e il racconto di quell’epopea, gli Eagles spinsero sull’acceleratore di quel connubio tra le radici acustiche del country e i suoni più forti e taglienti del rock, puntando tutto sulle loro splendide armonie vocali. Desperado divenne subito la punta di diamante del country-rock su quel solco tracciato dai Byrds, da Gram Parsons, dai Buffalo Springfield e da Crosby Stills Nash & Young. Quel processo d’ibridazione musicale venne portato, grazie a questo disco, alla definitiva fusione.
Grazie alla forza dei suoi racconti, delle biografie e degli stati d’animo dei protagonisti, Desperado è un disco che ha la sua forza in ballate morbide e suggestive, arricchite dagli arrangiamenti orchestrali in cui la London Philarmonic Orchestra dà ai suoni un contributo epico, ma anche da alcuni momenti tipici della tradizione folk americana in cui chitarre, banjo, mandolini e armonica tornano protagonisti.

La produzione, come per il precedente album di debutto, venne affidata a Glyn Jones esperto ingegnere del suono già a fianco dei Led Zeppelin, Rolling Stones, The Band, Bob Dylan e gli Who. Gli Eagles volarono a Londra e, in quattro settimane, registrarono tutto il disco. Glyn Johns, che teneva i cordoni della borsa affidatagli da David Geffen, patron dell’etichetta Asylum, voleva realizzarlo velocemente e spendendo il meno possibile. Per ogni brano, dopo un paio di prove, si passava subito all’incisione: massimo quattro registrazioni, senza possibilità di repliche. Risultato: un disco storico con soltanto 30mila dollari.
‘Twenty One’ è riferita agli anni: 21, quelli che aveva Emmett-Dalton quando venne ferito nell’assalto alla seconda banca di Coffeyville, nel giorno in cui terminò l’avventura della banda Doolin-Dalton. Una vita davanti, ma ormai spezzata, senza più la possibilità di un incontro, di un amore che desse una scossa al cuore. L’unica scossa sarà un ennesimo sorso di tequila per dare un colpo al coraggio e perdersi nell’alcol fino all’alba.

‘Tequila Sunrise’ fu la prima delle due canzoni che Glenn Frey e Don Henley scrissero insieme, dando così vita a un sodalizio artistico e compositivo che negli anni successivi sarebbe stato in grado di sfornare canzoni memorabili. Quando si trattò di mettersi insieme, entrambi furono d’accordo sul fare soldi subito: tanti e da spendere senza pensarci troppo su. Diventare famosi, rispettati e ammirati. Praticamente, il Mito della Frontiera applicato al rock.

La solitudine del fuorilegge

L’altra canzone che la coppia scrisse contemporaneamente fu ‘Desperado’, una melodia che Don Henley aveva buttato giù alla fine degli anni Sessanta ma che non riusciva a terminare. Aveva Ray Charles in mente ogni volta che la suonava ma voleva qualcosa che la rendesse meno datata e più west coast. Glenn Frey inserì cori, chitarre e uno splendido arrangiamento d’archi senza cancellare quel rimando stupendo agli accordi e alle interpretazioni del ‘Genius’. ‘Desperado’ racconta di un fuorilegge e della sua solitudine, la sua vera prigione. Una vita solitaria, senza nessun affetto, senza possibilità d’immaginare un futuro, in perenne fuga da tutto, da tutti e, soprattutto, da sé stesso.

“Desperado, perché non torni
a ragionare, non diventi più giovane
ogni giorno che passa.
Il dolore e la fame ti stanno
riportando a casa e la libertà
è solo quella di cui senti parlare.
La tua prigione è stare tutto
solo in questo mondo.
È ormai difficile distinguere
la notte dal giorno.
Stai perdendo tutte le più
autentiche emozioni,
lascia che qualcuno ti ami prima
che sia troppo tardi”.

Non tutte le canzoni dell’album furono appannaggio della coppia Don Henley/Glenn Frey. Tre vennero composte da Bernie Leadon, socio fondatore anch’egli con Randy Meisner, ma musicalmente il più poliedrico di tutti, a suo agio con qualunque strumento a corda, suonato con grande virtuosismo. Tutta l’esperienza assimilata negli anni precedenti con i leggendari Flying Burrito Brothers, antesignani del country rock, venne riversata in questo pezzo dedicato a Bitter Creek Newcomb, altro fuorilegge della Doolin-Dalton che, dopo la fallita rapina a Coffeyville, formò un’altra banda e s’innamorò di una ragazza di 15 anni, i cui fratelli però, per incassare la taglia, non esitarono a sparargli.

Con Desperado si aprì anche la pagina importante dei concerti degli Eagles. Fino a quel momento, con un solo album i live erano stati pochi e piuttosto brevi; da lì in poi fu tutta un’altra musica. Il tour di supporto all’album fu il primo vero trionfo nelle arene, con tutti che – sera dopo sera – avevano una voglia costante di migliorarsi. Sul palco, le armonizzazioni vocali raggiunsero il massimo. Il pezzo finale venne scritto proprio pensando ai concerti e alla partecipazione del pubblico: Don Henley modificò alcune tonalità, aggiunse due strofe e alcuni controcanti, e liberò all’infinito quel “desperado” che, a cinquant’anni di distanza, suona ancora così presente.

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