Moda e inclusività (stiamo lavorando per voi)

Proposte sempre meno discriminanti, senza paletti di taglia, gender, cultura o età. Il mondo del fashion è davvero più fluido e democratico?

Di Marisa Gorza

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Si sono sempre sprecati fiumi di parole per raccontare la natura frivola ed elitaria della moda, ma troppo pochi accenti sulla sua capacità di insinuarsi nel nostro quotidiano influenzando l’estetica, i gusti e gli atteggiamenti. Senza quasi che ce ne rendiamo conto. Tuttavia, è la moda stessa a essere influenzata dalla realtà sociale dei tempi e, per quanto quest’ultima sia fluida e complessa, la nostra musa non la ignora mai, anzi la assorbe, la interpreta e la trasmette nelle sue proposte di stile. Tutto questo in una costante evoluzione che, a volte, diventa… involuzione. Così, tanto per scomodare un autorevole sociologo come Georg Simmel, possiamo dire che la moda è nel contempo sia il prodotto che il propulsore dei cambiamenti sociali. Ovvero specchio e proiezione degli avvenimenti. Diversità e accettazione

Basti pensare a quanto la pandemia abbia influito sui processi di trasformazione, ai quali stanno contribuendo pure la guerra ancora in corso e la crisi energetica. Drammatiche realtà che hanno focalizzato la precarietà del corpo umano, ricordandoci i suoi limiti e fragilità. Ebbene il mondo del fashion, abituato a celebrare fisici perfetti dalle forme stilizzate e dalla bellezza selettiva, ha dovuto prenderne atto e recentemente sulle passerelle all’avanguardia hanno cominciato a sfilare vestiti e corollari, sicuro, ma anche valori e ideali di una nuova bellezza, fatta di diversità e di accettazione. Senza ipocrisia.

La speranza, in procinto di diventare tendenza generale, è che le proposte siano sempre meno discriminanti, senza paletti di taglia, gender, cultura o età. Cioè che grassofobia, razzismo, ageismo e, in una parola, tutto ciò che comporta body shaming, venga superato con l’aiuto di una moda del tutto inclusiva. Con un linguaggio vestimentario capace di aderire alle nuove visioni a proposito delle disabilità, delle vulnerabilità e, nel complesso, delle diverse tipologie fisiche degli utenti. Superando così modalità veicolanti immagini mutuate da una rigida idea del femminile standardizzata sulla taglia 36/38, trasferita nelle collezioni, come sulle pagine patinate delle riviste. Da ormai troppo tempo.

Non illudiamoci che questo sistema smetta di esistere da un giorno all’altro, ma qualcosa, magari in modo lento e discontinuo, in questi ultimi due anni, si sta muovendo.


Aimee Mullins

Nuovi concetti di bellezza

È giusto sottolineare che già nel 2016, cioè in tempi non sospetti, lo stilista americano Tommy Hilfiger, per primo, ha realizzato un’intera collezione per uomini e donne con disabilità. Sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito, la tendenza sembra procedere spedita insieme a una gran voglia di fuggire da retaggi obsoleti. Addirittura nel 1999 il compianto Alexander McQueen fece sfilare a Londra l’atleta paralimpica Aimee Mullins, modella e attivista priva delle gambe, con indosso delle protesi su misura. Un messaggio di bellezza coraggiosa e rivoluzionaria arriva anche da Rebekah Marine conosciuta come la prima modella bionica, nata senza avambraccio e portatrice di protesi, ma ciò non le ha impedito di percorrere le passerelle dei brand più prestigiosi, a cominciare da Hilfiger, appunto. Dalle nostre parti, come già detto, le cose vanno più a rilento che a Londra e a New York, comunque dobbiamo essere fieri della affascinante salernitana Benedetta De Luca. Nata con agenesia sacrale, si muove da sempre su sedia a rotelle, ma è del tutto autonoma e, oltre a sfilare, è diventata perfino project manager nel campo della disabilità. “Vietato dire non posso”, scrive nella sua biografia.


Benedetta De Luca

Certo non è facile contemplare nell’abbigliamento diverse forme di disabilità, ma sono in sperimentazione allacciature magnetiche, e a strappo, orli studiati, accorgimenti tecnici, soluzioni sartoriali personalizzate per rendere più semplice l’atto del vestire a chi ha limitazioni fisiche. Sempre senza snaturare l’aspetto estetico di un capo, perché tutti, ma proprio tutti hanno diritto all’eleganza e al piacere di sentirsi attraenti.

Il fascino delle curve

Molto è già stato fatto per le signore curvy, ovvero oltre la 52, tant’è che le donne con forme abbondanti non sono più costrette a frequentare il ghetto privo di fantasia e colore delle collezioni per taglie forti. Fino a pochi anni fa gli stilisti ignoravano chiunque si trovasse al di fuori dello standard 38-48, ma adesso le morbide bellezze, incluse anche le ragazze curvilinee, valutano il capo per l’occasione senza sentirsi limitate nella scelta. Un esempio da seguire è quello del rimpianto Alber Elbaz, riuscito in pieno a far quadrare il cerchio. La sua AZ Factory è stata progettata per vestire donne dalla XXS alla XXXL con gli stessi modelli disponibili con un range di taglie mai visto prima. Sdoganando un nuovo modo di concepire il guardaroba in chiave inclusiva senza nulla togliere al glamour, all’innovazione, alla vestibilità.


Rebekah Marine

Business is business

Grandi e piccole mutazioni coinvolgono davvero il mondo del fashion, tant’è che si direbbe superato lo stereotipo che lo definisce fatuo e melenso. Alla moda finalmente si riconosce una importanza sociale e culturale e, dati i molti progetti mirati a rendere più gradevole la vita alle persone con problemi, ha pure degli intenti umanitari ed etici. Senza però dimenticare che rappresentano pur sempre un interessante business. E siccome il detto pecunia non olet vale (molto) anche in questo campo, ecco un’altra dimostrazione che la nostra musa non è affatto avulsa dalla realtà…

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