Lucio Battisti. Il mio canto libero (50 anni dopo)
Sono rari i dischi di cui, a distanza di decenni, ancora si parla e che ancora si ascoltano. Come questo, apparso nel 1972, protagonista di tutto il 1973
Di Sergio Mancinelli
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
È l’album che ha coinvolto decine di generazioni, protagonista assoluto di tutto il 1973, con vendite record in ogni formato: vinile, musicassetta, stereo8, per non parlare delle selezioni dei juke-box. Se si entrava in un negozio di dischi era quasi sempre per acquistare questo disco, che è poi risultato il più regalato del decennio.
In quegli anni Settanta così ricchi di stili e tendenze di ogni genere, la musica italiana ebbe in Lucio Battisti – che domani avrebbe ottant’anni – l’artista in grado di riscrivere completamente la forma canzone. Quell’equilibrio che da sempre regolava musica e parole divenne per Battisti una continua alchimia di coppia con Mogol. Una sfida che, canzone dopo canzone, fissava l’asticella creativa sempre un po’ più in alto. Era impossibile dire con certezza se la musica fosse fatta per quelle parole o quelle parole fossero scritte per quelle musiche. Non si era mai vista e ascoltata tanta innovazione e tanta fusione.
© Keystone
Il ricordo di un amore
‘La luce dell’est’ è un titolo meraviglioso che racchiude un pezzo di vita tra passato e presente. Un viaggio nell’Europa Orientale (“oltrecortina”, come si diceva), la storia tra un ragazzo italiano e una ragazza slava, il ricordo di un amore, di una passeggiata insieme in un bosco, seduti accanto in un’osteria. Ma questo ricordo è interrotto da due bruschi rumori: “Un ramo calpestato” e “un colpo di fucile”. E infine, la trovata geniale: “Ed ecco che ritorno col pensiero”. Forte anche l’immergersi nella natura che per entrambi, Mogol e Battisti, era un’esigenza vitale: la nebbia che respira, il sole che sale ad est, le foglie ancor bagnate, l’odore dei funghi, lo smarrirsi in un bosco…
Arrangiamenti
Mogol aveva tradotto decine di testi inglesi e americani nel periodo del beat, della psichedelia e delle protest-song. Aveva sperimentato costruzioni linguistiche fino a quel momento inesplorate. La sensibilità per le tematiche ambientali, per la libertà, per confini sempre più ampi, per la profondità delle relazioni, la riversò tutte nelle melodie che Battisti scriveva con meravigliosa creatività per Il mio canto libero. Un Battisti che aveva messo a frutto l’esperienza dal vivo con le orchestre, gli ascolti infiniti e l’amore incondizionato per il rhythm’n’blues e i suoi protagonisti: Otis Redding, James Brown, Sam Cooke.
E l’interesse per il progressive, che si stava imponendo e che atomizzava in un sol colpo la durata delle canzoni. L’importanza dell’impatto strumentale: le lunghe suite dei Genesis, dei Pink Floyd, degli Yes, fecero maturare la scelta di arrangiamenti e orchestrazioni sinfoniche che vennero affidate a Gian Piero Reverberi. Arrangiamenti spiazzanti e originalissimi come in ‘Luci-ah’, un pezzo honky tonk per la ragazza ribelle che fa follie anticonformiste e ha sempre risposte irriverenti per tutti. Ma quel “Luci, Luci di solito così non si fa” è il sorridente rimprovero di un adulto sornione. Il rimprovero alla fine sembra venire dall’alto. Da un coro solenne che richiama ‘Luci-ah’, sapendo però che – così come nell’altra canzone divertente di Battisti e Mogol, ‘Il leone e la gallina’ – non servirà.
Un passo avanti
Il mio canto libero fu il secondo disco pubblicato nell’arco di un anno, ulteriore passo in avanti rispetto a ‘Umanamente uomo’, uscito solo sette mesi prima. Difficile dire, in così tanta abbondanza, quale fosse il brano di punta di tutto l’album. Quello che gli conferisce il titolo ebbe una immediata visibilità e promozione ma, con il passare dei mesi, ognuno scoprì il proprio preferito, o i propri preferiti, dalle grandi melodie che con le loro aperture di archi incantavano all’istante. ‘Vento nel vento’ è la trasformazione del veleno in medicina, dalla sofferenza della perdita alla rinascita, con un nuovo incontro e un amore che sboccia potente. L’inizio coraggioso è efficacissimo: solo voce e pianoforte, con l’ingresso poi di un suono d’organo catartico che anticipa l’esplosione orchestrale, di una tale potenza che a distanza di dieci anni Francesco De Gregori decise di inserirne una parte nella sua ‘Leva calcistica della classe ’68’, il famoso refrain di “Nino non aver paura di tirare un calcio di rigore”.
Brianza, estate 1972
Il mio canto libero venne registrato nell’estate del 1972 una parte a Milano, alla Fonorama, e un’altra parte in un vecchio mulino immerso nel verde sul lago di Como che Mogol aveva ristrutturato e riadattato a factory musicale. Un’atmosfera magica: al piano terra la sala di registrazione e un grande salone con camino dove trascorrere insieme le ore serali; al piano superiore, le camere da letto per i musicisti. Nel cuore della Brianza, Lucio Battisti aveva ritrovato l’atmosfera di casa. Viveva immerso nella natura, cosa che anche per Mogol era di vitale importanza. La sensibilizzazione verso gli argomenti e le tematiche ambientali nacque contemporaneamente in entrambi. E anche questo aspetto rappresentò un elemento di profonda innovazione e trasformazione nel linguaggio delle canzoni. Tra i solchi torna quella passione per il rock-blues che già aveva reso indimenticabile ‘Il tempo di morire’, la voce di Lucio Battisti con tutte le sue sfumature soul.
Fotografie
‘Confusione’ è sicuramente il testo più inesplorabile di tutto l’album, ma ancora una volta ogni singola parola è funzionale alla progressione ritmica e a quella delle note, un gioco perfetto d’incastri tra le note lunghe del basso, i funambolismi della batteria e i colori della chitarra ritmica. Lo spirito del disco venne catturato nella foto delle mani sollevate al cielo di Cesare Montalbetti, quel “Caesar Monti” che con Lucio Battisti ha firmato alcune delle sue copertine più belle. A proposito di quella del Mio canto libero, Montalbetti disse: “Radunai un po’ di amici e chiesi loro di alzare le braccia in aria. Solo in quel momento mi accorsi che la distanza della testa dalle mani sacrificava l’inquadratura, così l’unica soluzione era farli sdraiare. Ma non era facile tenere le braccia sollevate così a lungo e iniziarono a scatenarsi battute e gag che raggiunsero il massimo quando si trattò di fotografare gambe e piedi nudi. Per cui, via calze, calzini, gonne e pantaloni e potete immaginare l’atmosfera. Però quella foto raccontava lo spirito e il contenuto del disco”.
La versione originale con copertina apribile del vinile.
‘Music Is Lethal’
Il mio canto libero ha in ‘Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi’ una piccola sinfonia tascabile nella quale ogni nota, incastrata alle altre, crea un ’architettura perfetta, dove anche la voce di Lucio Battisti raggiunge un’espressività unica. Qualcuno ha detto che Battisti è stato per l’Italia quello che i Beatles sono stati per il mondo, ovvero esplorare e percorrere una creatività musicale senza schemi: gettare le fondamenta per tutto quello che verrà dopo. ‘Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi’ racconta di come l’amore non si possa fermare, di come anche lo scoglio di una relazione precedente finita non possa arginare il mare di un sentimento forte che sta nascendo. E si torna a volare: l’arrangiamento orchestrale di Gian Piero Reverberi ha tratti sinfonici con aperture fino a quel momento mai ascoltate in un brano pop italiano, per una fusione perfetta tra parole, musica e canto; tanto che David Bowie, grande ammiratore di Battisti, decise di tradurla e inserirla nell’album di debutto di Mick Ronson, suo chitarrista di fiducia negli Spiders from Mars, nonché session man per Lou Reed, Van Morrison, Bob Dylan ed Elton John. Fu così che ‘Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi’ divenne ‘Music Is Lethal’.
Lo dice il titolo
A chiudere questo disco, che rimane ancora oggi uno dei più significativi degli anni Settanta e del pop italiano, è il brano da cui l’album prende il titolo. È l’inno alla libertà, alla libertà più profonda, più personale, più consapevole, con quelle parole intense che ancora siamo in grado di cantare a memoria sulla perfetta linea melodica. “Nuove sensazioni, giovani emozioni, si esprimono purissime in noi”, parole che come sempre, nelle canzoni di Lucio Battisti, contenevano molto di più di quanto sembrasse al primo ascolto, e che hanno lasciato un’impronta emotiva e musicale inscalfibile dal tempo.