Cartoline da Barcellona

Arriva un giorno in cui alcune città di mare crescendo se ne allontanano. Come se non ci fosse più.

Di Marco Stracquadaini

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

La statua di Colombo di Barcellona ha un sosia, anzi aveva, lungo la Rambla. Aveva cominciato per suggerimento di una guardia urbana: “Perché non fai la statua di Colombo?”. Consiglio accolto e dieci anni di lavoro. Poi arriva la pandemia, occupata all’inizio a rifarsi il vestito. E al rientro dalla pandemia, però, il pensionamento. Cristoforo Colombo prendeva il treno a Gavà, la mattina, poi metrò fino alla Ciutat Vella. Si piazzava nel tratto finale con le altre statue a cui furono interdetti, dalla pandemia in qua, gli altri tratti della passeggiata più famosa della città. Appena la moneta era fatta cadere, racconta – una piccola banconota in caso di abbienti russi – il Colombo di Gavà alzava il braccio a indicare le Americhe o il mare.

Arriva un giorno in cui alcune città di mare crescendo se ne allontanano. Come se non ci fosse più. Fino alla metà del secolo scorso, il mare di Barcellona apparteneva alle famiglie dei marinai che lo vedevano dalle finestre o ci arrivavano svoltando due strade. Alle navi che portavano materiale e merci per la città. Poi i quartieri sono “riqualificati” – la Barceloneta cerca di resistere come può – il porto mercantile si ridimensiona, cresce a dismisura quello turistico. E i cittadini hanno due o tre ragioni in più per sentire le spiagge lontane. D’estate vanno più su, oltre Blanes, o più giù (la direzione di Gavà): Castelldefells, Sitges, verso Tarragona. O restano a Barcellona, nelle parti lasciate dai turisti, che sono tante.


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Palau de la Música Catalana

Forze

Barcellona si rigenera come ogni città vitale. Perfino Venezia non muore, trova forze dentro di sé, che fuori non si vedono e forse nemmeno dentro, e continua a vivere. Si completa la costruzione della linea 9 della metro che sarà una delle più lunghe d’Europa. Ha 24 stazioni attive ma ne avrà 51, per 47 chilometri di percorso. Sfiorerà il centro della città ma perlopiù unirà il sud-ovest al nord e al nord-est. Ma a Barcellona si può ancora camminare. Nei quartieri di Sants e di Gràcia, di Les Corts e Sant Antoni, di Poble Nou, cammini muovendoti non in un troncone di quartiere ma come in una Barcellona ridotta, con piazze, viali e stradine, un mercato dalla struttura ottocentesca, una biblioteca che ti richiama dai suoi muri trasparenti, un municipio che non è un piccolo palazzo grigio, ma il municipio di Gràcia, poniamo, quando era un comune autonomo (fino al 1897). Che l’unità di misura dell’essere umano sia il passo, dunque, puoi verificarlo anche in una città di quasi 2 milioni di abitanti se si chiama Barcellona. La quale resiste – agli insulti del governo di Madrid, alle ondate crescenti di turisti che quadruplicano gli affitti del centro e sfrattano gli abitanti – perché ha un’anima popolare, concreta, ironica. Tre aggettivi che si possono aggiungere a quelli fatti da Pola Oloixarac nel numero che ‘The Passenger’ dedica alla città catalana: “Altera, elegante, guardinga”.


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‘Eixample’

Cuore

Il suo nucleo antico, i quartieri ai lati della Rambla, il Barri Gòtic e il Raval, formavano una specie di cuore spaccato appunto dalla Rambla. Immagine sentimentale ma reale. Poi si rompono le mura, si toccano le comunità limitrofe, a metà Ottocento, in qualche caso con le armi. Un grande progetto urbanistico, pochi anni dopo, colma lo spazio intermedio con un tessuto lineare riguardo alle vie, quadrangolare per palazzi e corti e nasce la Barcellona moderna. Il progetto, e il grande quartiere che ne risulta, si chiama ‘Eixample’ in catalano, ‘Ensanche’ in spagnolo: allargamento. Una mattina di dieci anni fa, se mi è permesso un ricordo personale, cerco un tavolo alla biblioteca Nacional de Catalunya e ne trovo uno su cui qualcuno ha dimenticato le mappe dei vari progetti presentati per l’allargamento deciso; sembravano tutte uguali ma ha vinto la proposta di Ildefonso Cerdà, perché non erano tutti uguali. Il piano di Cerdà ideava per i quattro angoli di ogni isolato una “smussatura” , sulla carta, che nella realtà diventava una piazza.


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Biblioteca Nacional de Catalunya

Reportage

In uno dei numeri più recenti di “The Passenger”, la rivista-libro pubblicata da Iperborea, guida extravagante di città e Paesi (Olanda e Svizzera, finora, Giappone, Portogallo, California tra i Paesi, tra le città Berlino, Parigi, Roma), i lettori possono sfogliare la Barcellona di questi anni con qualcuna delle passate: come evolve l’Eixample (unendo gli isolati in super-isolati, rendendo la vita difficile alle auto, facile agli alberi e ai pedoni); la nascita del distretto tecnologico 22@ che era il futuro nel 2000 quando fu ideato, un po’ meno, pare, vent’anni dopo; la vita travagliata del Raval; l’impatto dei grandi eventi musicali; il mare e la sua relazione con la città visti correndo sui pattini. Reportage che gettano sui luoghi sguardi laterali, dall’alto, dal basso, obliqui, mossi nella grafica e illustrati come si addice a una rivista anche se pare libro. E covati, dal centro del volume – in corpo maggiore – da due testi di Enrique Vila-Matas dal taglio… ma da una certa altezza in su non si parla più di tagli. Sette pagine in tutto alla Vila-Matas, che fanno l’attrazione maggiore della rivista.

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