Friedrichstrasse. Sei note berlinesi

“La serenità è ridurre la distanza tra il fuori e il dentro, per esempio tra il fuori e il dentro di noi. La serenità è nel non coprire”

Di Marco Stracquadaini

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

1.
Si muovono quasi senza far rumore, come animali silenziosi, col cavo d’acciaio che oscilla quando è libero. Su una hanno messo un albero di Natale, sull’altro estremo del braccio. Se ne vedono molte, le scopri in fondo alle strade agli incroci. La notte sono illuminate. Intravedi l’uomo nella cabina, ma non ne ho mai visto uno mentre sale la scala. Se questo soggiorno a Berlino servisse a scoprire la bellezza delle gru, contro il cielo bianco, quasi basterebbe.


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2.
Berlino è una città a giorno per dover catturare la poca luce che c’è. Non è l’unica. E questo atteggiamento fisiologico si è allargato ed esteso al resto.
La metropolitana corre in lunghi tratti anche in superficie. Le aule dell’università, al piano terra come agli altri piani, comunicano con l’esterno con una vetrata. Ci passi davanti e vedi i ragazzi che fanno lezione, i quali hanno sul fianco tutta la strada aperta, con ciò che vi appare. Le finestre non hanno tende e puoi guardarci dentro a ogni ora del giorno. Nessuno guarda di proposito nelle finestre degli altri.
La serenità è ridurre la distanza tra il fuori e il dentro, per esempio tra il fuori e il dentro di noi. La serenità è nel non coprire.


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3.
Girare, guardare, perdersi nei doppi fondi della superficie.
A camminare i pensieri li decidono le gambe, insieme agli occhi. Il cervello viene terzo e così va bene. Dal terzo posto in poi va bene.
C’è una città al centro dell’Europa piena di passeri e anche con molti corvi. Ma si incomincia con delle domande sul nome. Come si pronuncia, per bene, il nome della via? Avviandoti verso la Friedrichstrasse te lo pronunci piano.
Farsi tutta una strada andando e tornando è in piccolo farsi la città? Ma come mettere insieme ciò che vedi lungo quella strada, tante cose che si toccano e pare anche che ognuna pensi per sé? L’uomo che mostra un giornale, un passo avanti e uno indietro come per un tic o per difendersi dal freddo. Come l’altro uomo più avanti, non dice una parola. Mostra il giornale con la sigaretta nelle labbra a chi tira dritto senza guardarlo. L’uomo più avanti è un vecchio, la barba bianca molto lunga. Fermo in una specie di nicchia, regge nelle mani un cartello. L’altro si muove su e giù nervosamente e il vecchio è immobile. Sai che domani li troverai nel medesimo posto.
La Friedrichstrasse ha un aspetto sorprendente. Era spaccata in due dal muro. Caduto il muro l’hanno rifatta da cima a fondo, è diventata la via delle banche e delle gioiellerie, dell’abbigliamento di lusso. Poi a un certo punto diventa poverissima, periferica, appena superato un incrocio. Case scrostate e negozietti con tutto a pochi euro, baretti scoloriti. Allora uno si dice: qui cominciava l’est, sicuramente. Invece l’est era dall’altra parte. Caduto il muro hanno rifatto proprio l’est, tanto nuovo che l’inizio dell’ovest è restato indietro.
Attraversare a quell’incrocio è come fare un viaggio di ore. E poi?
Poi i giovani visti camminando, i bambini. Più che i muri e la strada, quei due uomini e i ragazzi o il sentire l’aria e la luce. O sentire il lavoro delle gambe. E il cervello dopo tutto questo, al quinto posto. Alcune volte arrivare proprio in fondo alla strada. A una svolta cominciano i ragazzi e le ragazze che vanno all’università sempre un po’ di corsa. Compaiono di colpo come attraversando a quell’incrocio appare di colpo la periferia.


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4.
I sentimenti della bellezza e della gioia confinano con quello dello spavento.
Il bambino con le mani sulla vetrina che guarda il trenino quasi impaurito di quel poterlo guardare. Appena spunta a una curva, va ad aspettarlo all’altro estremo della pista. Non dice neanche una parola. Quando la madre si allontana, le va dietro, si gira qualche secondo, con tutto il corpo, ancora con gli occhi sbarrati, poi segue la madre.
La stessa strada più o meno alla stessa ora, e vedi le stesse case e persone e la strada è sempre diversa. Per qualche tratto vai a testa bassa, è freddo. Le mani in tasca, chini la testa e cammini. A un certo punto trovi tante foglie per terra, non si vede il marciapiede. Cammini frusciando. Finito il marciapiede continui a capo chino. A volte non alzi la testa, a volte la alzi. Ti bevi tutto ciò che guardi come fanno i bambini. Al bar hai visto un bambino che ride bevendo la cioccolata, tutta la faccia sporca di cioccolata. Poi lasciata la tazza comincia a bersi con gli occhi l’amica della mamma, sempre ridendo, finché non l’ha dovuto prendere in braccio.
Arrivi al teatro, lo stesso del giorno prima, alla statua che anche oggi sta dove stava ieri (è Goethe?). Pensi che alla svolta ricominciano le foglie cadute, e quando alzi la testa ti appare una gazza. Cerca di stare in equilibrio sul cornicione. Lei non ti ha visto. Prova a stare dritta e scivola molte volte e alla fine ci riesce.
Quell’altro bambino che aveva gettato a terra il berretto. La nonna gli dice di andare a prenderlo, lui non lo prende. Sta a pensare con la testa china, anche lui, a farsi domande a cui visibilmente non sa rispondere. Forse proprio su quel berretto. Ogni tanto mi giro e li vedo fermi. La nonna con le mani in tasca e lui con la testa china e la mano sul passeggino. Perché sa appena camminare.


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5.
Entri in un bar e stai a guardare dalla vetrina, paghi la colazione 3 euro e 20, ma è poco per poter anche guardare. Non pare vero che la vista sia gratis. Da qui, soprattutto guardi le persone, due cani che giocano, un passero che in tedesco si dice Spatz.
L’altro passero che aspetta ai piedi dell’uomo guardando verso l’alto, perché vede che si porta qualcosa alla bocca. Ma si sta accendendo la sigaretta.


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6.
Segnali che è il tempo di andare via. Cose che ti salutano.
Il cane barbone che viene al caffè ogni mattina, che riesci ad accarezzare, alla fine. Che prima di uscire torna a salutarti. Il ragazzo dell’internet-point che ti dice, per la prima volta: “See you tomorrow”. Invece è improbabile. Il bambino a cui tamburelli sulla testa piano, uscendo di casa: il padre sorrideva, lui anche sorrideva, un bambino dal sorriso ironico. Prendi un altro latte macchiato, ti dicono che non devi pagarlo, che te lo offrono. Chiedi perché e ti rispondono in due lingue ma non l’hai capito. La neve.

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