Acque sporche. Se l’inquinamento si fa liquido

Laghi, fiumi, riali contaminati. Sotto accusa industrie, aziende, cantieri, agricoltura. E Berna critica le pene troppo blande applicate nei cantoni…

Di Marco Jeitziner

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

L’ammoniaca, prodotta anche dagli animali di fattoria, può provocare ulcere e persino la morte; l’ipoclorito di sodio è un biocida corrosivo; gli additivi dei residui cementizi uccidono i pesci; senza parlare dei molti pesticidi che, a ripetute piccole dosi, possono causare tumori, diabete e patologie respiratorie… Sono solo alcuni degli inquinanti che finiscono nei laghi, fiumi e corsi d’acqua ticinesi. Così l’ultimo rapporto dell’Ufficio federale dell’ambiente (UFAM, 2022), dell’Associazione svizzera dei professionisti della protezione delle acque (VSA) e, in Ticino, i dati del “Nucleo Operativo Incidenti” (NOI) del Dipartimento del territorio (DT). La Svizzera incontaminata è di fatto un miraggio. Ecco perché.


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“Qualità insufficiente”

Le acque ticinesi continuano a venire inquinate (vedi dati) nonostante leggi e ordinanze, processi e condanne, circolari, prevenzione e sensibilizzazione verso aziende, cantieri, industrie, agricoltori. Il risultato è che in Svizzera, scrive l’UFAM, la qualità delle acque è “insufficiente” e “non risponde in molti luoghi” alle norme legali. Nei piccoli corsi d’acqua una ventina di microinquinanti “superano il loro valore limite eco-tossicologico” (pesticidi soprattutto di origine agricola). Nei laghi va un po’ meglio, ma abbondano “edulcoranti artificiali, agenti anticorrosivi e prodotti chimici industriali”. Non poteva mancare il metabolita del famigerato fungicida Chlorothalonil, tossico per i pesci e potenzialmente rischioso per gli umani. Le acque sotterranee sono da parte loro “ampiamente” inquinate da altri metaboliti, tra cui l’erbicida Chloridazone (proibito dal 2020), pericoloso per l’acqua potabile. Queste sostanze, dice l’UFAM, purtroppo danneggeranno la qualità delle acque “per molti anni a venire”.


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Ticino: 90 casi l’anno

Tutto questo succede malgrado i “grandi investimenti nel settore dell’igiene urbana e del trattamento delle acque reflue”, scrive l’UFAM. Però poi dipende dai Cantoni (a loro applicare le leggi federali) e dai Comuni (loro il compito di sorvegliare il territorio). Il Ticino, come vedremo, non è certo il più ligio di tutti, senza parlare dei Comuni. Solo a Lugano, in caso di forti piogge, le acque di fogna continuano a finire direttamente a lago, riportava laRegione ancora un paio d’anni fa. Nel 2021 il Municipio ha candidamente ammesso che “si deve prevedere ancora per lungo tempo lo smaltimento a lago di acque inquinate”. Oibò! Uno dei motivi è che le canalizzazioni sono spesso vecchie. Non a caso il Consorzio luganese dei depuratori delle acque (CDALED) ha da poco chiesto al Consiglio consortile di spendere ben 75 milioni di franchi a causa della “notevole vetustà degli impianti”. I rapporti del NOI, un servizio di picchetto che curiosamente esiste solo dal 2015, enumerano in media 90 “eventi” all’anno, con un grande dispiegamento di forze tra pompieri, polizia, tecnici eccetera. Chi paga? Il contribuente, oltre alla natura. A meno che lo Stato, in veste di accusatore privato, riesca in un secondo tempo a rifarsi sui responsabili. Sempre che vengano scovati e sempre che le sanzioni servano da deterrente.

Fiumi di idrocarburi

Facendo due calcoli, la media in Ticino è dunque di 7 “eventi” al mese, ossia due alla settimana. Non è poco. Sempre in media, ci sono 2-3 morie di pesci all’anno e funesto fu soprattutto il 2017 con ben 7 stragi (vedi tabelle). “Principalmente si tratta di idrocarburi alifatici e la casistica più rilevante è legata a diesel, olio combustibile e oli lubrificanti spesso esausti”, spiega Nicola Solcà, capo dell’Ufficio della gestione dei rischi ambientali e del suolo al DT. Più problematici sono gli idrocarburi aromatici (BTEX o IPA) perché molto mobili, solubili e volatili nell’acqua, casi “molto rari” per fortuna. A stare peggio sono i fiumi e i corsi d’acqua, perché costantemente contengono “quasi esclusivamente” dei “prodotti chimici” (ossia schiuma, vernice, olio non tossici) e, appunto, “idrocarburi”, dicono i rapporti del NOI. Non mancano i casi gravi: 4 solo nel 2021 dovuti a “ammoniaca, ipoclorito di sodio, sostanze tossiche e particolarmente pericolose per l’ambiente”. La causa, commenta Mauro Veronesi, capo dell’Ufficio della protezione delle acque e dell’approvvigionamento idrico al DT, sarebbe molto spesso la negligenza di lavoratori e operatori. Insomma, errori umani. Ma, avvisa, “non sempre è sinonimo di ignoranza” perché, malgrado “una buona sensibilizzazione”, capita che “l’operatore si distragga e non si accorga per esempio della tracimazione di un liquido nocivo da un serbatoio pieno”.


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Solo distrazione?

Poiché sono decenni che si fa prevenzione, è difficile credere solo alla distrazione, infatti c’è chi inquina apposta (smaltire a norma di legge costa caro) o chi non ha le competenze (manca formazione). Le sentenze dei tribunali lo dimostrano. Le condanne però non sembrano fermare questo malcostume. Il Ministero Pubblico (MP) ticinese ci conferma che nessuno è mai andato in prigione per questi reati, nemmeno per quelli più gravi. Anche se la Legge federale sulla protezione delle acque (LPAC) prevede “una pena detentiva fino a 3 anni” nei casi intenzionali. Come mai? Nel 2008 in Val Lavizzara un idraulico in pensione rovesciò “intenzionalmente” molta ammoniaca nel fiume Maggia, si legge nella sentenza, causando la moria di ben 3-4mila pesci lungo 2,8 chilometri di fiume. Risultato: la proposta fu una pena pecuniaria (sospesa) di 1’200 franchi e una multa di appena 700 franchi (sic!). Spiccioli, insomma. Ma quando c’è una strage di pesci il Cantone diventa accusatore privato e la fattura è molto più salata. Il DT, ci dice Veronesi, emette delle multe amministrative tenendo conto della “fatalità”, della “formazione” del colpevole, della “recidiva” e ovviamente dell’impatto ambientale. L’idraulico fu infatti condannato non solo a risarcire i costi d’intervento (12’800 franchi), ma anche i danni ittici (oltre 60mila franchi). In altri casi c’è l’incompetenza. Nel 2020 in un cantiere a Solduno ci fu un “notevole” inquinamento “accidentale” di nafta che rischiò di toccare l’acqua di falda. Il Municipio di Locarno disse che l’operaio nascose l’accaduto per “quasi un mese”, aggravando il danno. Infine dal decreto d’accusa dell’MP verrà fuori che era “sprovvisto di qualsivoglia formazione in materia” e non sorvegliò i lavori.

“Reati banalizzati”

“In Ticino il seguito sistematico ai casi acuti porta mediamente a identificare l’origine degli inquinamenti nel 60-70% dei casi, permettendo così di attribuire delle eventuali responsabilità”, ci dice Solcà. Quindi un altro 40-30% resta impunito: non ci sono segnalazioni, l’origine dell’inquinamento è ignota o, più semplicemente, i Comuni, cui compete la cosiddetta ‘polizia delle acque’, non controllano regolarmente il territorio. Non è una nostra supposizione. A Lugano, dopo un ennesimo inquinamento del fiume Cassarate, nel 2016 il Municipio disse che i tecnici comunali controllano “costantemente” il territorio. L’anno dopo, interrogato sui controlli, dirà invece che “non sono pianificati controlli regolari”, bensì “una tantum”. A rispondere era sempre lo stesso sindaco, il compianto Marco Borradori (Lega). Ma se comprensibilmente i tecnici comunali non possono essere ovunque, il problema è che le sanzioni penali sono irrisorie. A dirlo è l’UFAM. Nel 2018 in Svizzera ci sono state “un migliaio di infrazioni l’anno”, ma “la maggior parte” erano “multe d’importo inferiore ai mille franchi”.
Nel periodo 2008-2018 “la multa più elevata è stata di 5’000 franchi”, contro una media “attorno ai 500 franchi”. Sono spiccioli per un’azienda. Persino i giuristi dell’UFAM sono amareggiati, a cominciare da Barbara Nägeli, la quale ammette che “il più delle volte i reati ambientali sono puniti in modo lieve”, inoltre, rincarava sul Tagblatt, sono “spesso banalizzati”. Qualcuno se n’è accorto anche in Ticino. Nel 2013 dei granconsiglieri fecero notare al Governo che le pene sono “molto ridotte, talvolta simboliche, e non hanno alcun effetto deterrente”, perciò chiesero d’inasprirle. Risultato: la Commissione della legislazione affossò l’idea, non solo perché il diritto è federale, ma perché a suo dire “puniscono adeguatamente i trasgressori”. Nel 2021 altri deputati tornarono alla carica. Risultato: “l’effetto dissuasivo” delle sanzioni “è sufficiente”, rispose il Governo.


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Legge poco sfruttata?

Magari sono i giuristi dell’UFAM che si sbagliano, ma secondo la vicedirettrice dell’UFAM Christine Hofmann “i ministeri pubblici e i tribunali sfruttano raramente questo vasto arsenale (legislativo, ndr) nelle loro denunce e decisioni penali”, affermava alla rivista L’ambiente (UFAM, 1/2018). E ancora: le autorità “raramente” conoscono bene il settore, perché “i procuratori sono specialisti in diritto penale”, mentre i dipartimenti dell’ambiente in “diritto amministrativo”, e questa è “una vera sfida nella pratica”, aggiungeva. Un’inchiesta del Tagblatt dimostra che ci sono di fatto grandi differenze tra i cantoni: non tutti gli MP perseguono subito e allo stesso modo i reati ambientali. Significa che le autorità giudiziarie e amministrative cantonali potrebbero fare di più, ma nei fatti fanno quello che possono (o vogliono). In Ticino per i reati ambientali “minori”, ci dice Veronesi, la Divisione dell’ambiente emette delle “contravvenzioni pecuniarie”. In media si conta una “decina di decreti di accusa” all’anno, quando le prove sono sufficienti e ben documentate. Insomma, quasi un reato al mese: non è poco. Le morie di pesci, aggiunge, sono “oggetto di denuncia penale” all’MP. Quest’ultimo ci dice che ci sono “mediamente tra i 10 e i 15 incarti aperti ogni anno” e “129 decreti d’accusa” nel periodo 2012-2022, in pratica una media di una dozzina all’anno, uno al mese, di cui 6 ancora pendenti. Si tratta di fatto di “verifiche complesse dal profilo tecnico e giuridico”, ci dice l’MP, con procedimenti che possono durare “da alcuni mesi fino a un paio di anni”.

Mancano specialisti?

Secondo il capogiurista dell’UFAM Florian Wild, per migliorare le cose servono “volontà” (politica) e “competenze” tecnico-giuridiche (polizia, magistratura). Ma questo dipende ovviamente dai singoli Governi cantonali, cioè dalla politica. Per esempio, in un grande cantone come Zurigo, dichiarava nel 2018 all’UFAM il Procuratore Pubblico (PP) Guy Krayenbühl, “tutti” i corpi di polizia contano degli “specialisti” con cui i PP “cooperano strettamente”, inoltre nell’MP zurighese c’è “un bacino di competenze” a disposizione dei collaboratori. In Ticino, su 22 PP, di cui 12 nella sezione “che si occupa di reati di polizia”, ci dice l’MP, ce n’è “uno di riferimento” per i reati ambientali (la PP Petra Canonica Alexakis), affiancato da un numero imprecisato di “giuristi” che “puntualmente” si occupa di questi casi. Se necessario ci si avvale di “periti giudiziari”, reputati “esperti del settore”.
L’ufficio stampa della Polizia cantonale ci dice solo che collabora con il NOI e che ci sono dei “corsi di formazione appositi”. Ma un solo PP per 10-15 incarti aperti ogni anno è sufficiente? E la polizia non è un po’ in ritardo visto che il corso sui reati ambientali esiste solo dallo scorso aprile? Per giunta l’MP ticinese è da anni sottodotato: “Siamo costretti a effettuare delle scelte di priorità su quali crimini indagare”, dichiarò addirittura nel 2017 l’ex Procuratore Generale John Noseda. Nel 2021 ci sono migliaia d’incarti arretrati “a causa di insufficienti risorse” e la situazione è “preoccupante”, si legge nel Rapporto delle autorità giudiziarie sull’MP. Di fatto prioritari sono i reati più frequenti, quelli contro il patrimonio e le persone, non certo quelli ambientali che manco sono citati nella statistica di polizia. E ci fermiamo qui.


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Industrie, cantieri, agricoltura: le reazioni delle lobby

A fronte di una giustizia nei cantoni che persino l’UFAM reputa troppo clemente, è piuttosto chiaro chi sta sul banco degli accusati: aziende, industrie, cantieri e talvolta persino l’agricoltura. Nel 2021 i dati cantonali dicono che nel 29% dei casi l’origine era imputabile al settore “azienda/industria”, di cui 5 eventi su 26 erano “incidenti rilevanti”, cioè con potenziali gravi danni alla popolazione e all’ambiente. Il 16% nel settore “cantiere (edilizia)”, l’1% “agricoltura” (6% privati e trasporto su strada, 8% canalizzazioni, e ben il 27% di origine ignota).
Anche il Ministero Pubblico ticinese ci conferma che “all’origine di episodi con sospetto inquinamento figurano spesso aziende, industrie e cantieri”. Che dicono le associazioni di categoria? Cosa fanno per ridurre questi reati? “Una cosa sono le aziende”, premette subito il direttore dell’Associazione industrie ticinesi (AITI) Stefano Modenini, “un’altra cosa sono le industrie o imprese manifatturiere”. AITI, precisa, “rappresenta imprese industriali e non artigianali”, e il suo ruolo è di “informare” l’industria “sulla legislazione esistente e sugli aggiornamenti della stessa”, anche con dei “momenti informativi” e degli “eventi” a cui partecipano “specialisti dei diversi settori”. Infine, conclude Modenini, poiché AITI sostiene “la sostenibilità e l’economia circolare (…) le aziende hanno tutto l’interesse a essere sostenibili”, perciò “il discorso sull’inquinamento da parte nostra è quindi più globale che settoriale. Deve riguardare tutti gli ambiti, non solo l’acqua, l’aria o altro”.
Nicola Bagnovini, della Società svizzera impresari costruttori (SSIC) sezione Ticino, risponde che la collaborazione col DT “è stata potenziata negli ultimi anni” e che si cerca di sensibilizzare “regolarmente le imprese e gli operatori”, ma i casi (16% del totale) sono “contenuti” rispetto “alle migliaia di cantieri aperti annualmente in Ticino”. Aggiunge che l’evoluzione tecnica “ha aiutato a ridurre negli anni questo genere di incidenti”.
Per l’Unione contadini ticinesi, afferma il segretario agricolo cantonale nonché deputato Sem Genini (Lega), gli agricoltori “sono coscienti che la loro attività (…) può arrecare danno” ma “sono
formati a un uso competente e consapevole dei prodotti potenzialmente pericolosi per l’ambiente”; inoltre i controlli sono “regolari” e “molto severi”, così come “gli aggiornamenti formativi”.
Aggiunge che gli ultimi eventi importanti in Ticino “non sono dovuti al settore agricolo”.


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