Chiedilo alla pipì (e vedrai che sorprese…)

Sei giovane o vecchio dentro, schifiltoso o aperto come una rosa di maggio? Lei è in grado di dirci molte cose su noi stessi e sulla nostra specie

Di Sara Rossi Guidicelli

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Alcuni animali, tra cui anche molti esseri maschili umani nel pieno della loro potenza virile, usano il proprio odore per lanciare messaggi e creare confini territoriali. Sono qui, sono io, è tutto mio ciò che tocco. Ma come lasciare il proprio marchio muschiato? Cosa emanare da sé stessi, che abbia la consistenza del profumo ma l’odore del proprio intrinseco potere? La pipì. Invisibile, discreta, per nasi fini. Per chi sa decifrare, per chi può decidere di rispettare il tuo territorio insediando altrove il proprio branco. Le donne hanno invidiato la facilità con la quale gli uomini, in postura eretta, osservando le stelle o le cime frondose, potevano urinare. Ebbene, la pipì ci dice che il progresso avanza in ogni campo: oggi anche noi femmine possiamo marcare il territorio – o perlomeno liberarci se ci scappa per esempio in giro a Carnevale – grazie a formidabili coni di carta o di plastica da usare senza doverci accucciare (vedi qui sotto, ndr.)

Quanto giovane sei

La pipì però è soprattutto una cartina al tornasole della giovinezza: mano a mano che la vita scorre, siamo sempre più selettivi nel fare pipì davanti agli estranei. Ricordate, da bambine, quella complicità con la mamma, la sorella, le cugine in bagno, a chiacchierare come in nessun altro posto? Si dice che è la cucina il luogo dove si tramandano le storie di famiglia, ma da quando le nonne non impastano più il pane a mano è diventato il gabinetto, dove una si pettina, l’altra fa la doccia, l’altra ancora sta seduta sul water e racconta. Poi cresci, diventi adulta e restano le amiche, davanti alle quali si fa pipì senza pensarci (benedetti bagni di certi ristoranti con due tazze vicine) e infine, quando sei proprio molto adulta non la fai più con nessuno. A quel punto sai che sei diventata grande, che hai cominciato a ‘sotterrare i pensieri’, come dice Natalia Ginzburg, che tra poco preferirai un inverno senza neve così non ci sono problemi sulle strade, e che ormai camomilla e copertina elettrica sono dietro l’angolo… il tempo passa per tutti, che ci vuoi fare. Chiudi la porta e fai i tuoi bisogni in silenzio.

Chi fa pipì in piscina

Scagli la prima pietra chi non ha mai lasciato sue tracce di urina in un luogo balneabile. Conosco persone che non la fanno neanche nel mare. Ci sono poi quelli che magari nel lago sì, ma in una piscina no. Altri invece distinguono tra piscina pubblica e privata. E poi si apre un grande dibattito: dove sta la linea di confine dell’igiene? Al di qua o al di là della doccia? Si può, a casa propria, fare la pipì mentre ci si lava i capelli? E in albergo? Credo che nella vasca da bagno sia tabù per tutti, ma non si sa mai. Lascio che ognuno si identifichi nel segreto del proprio cuore. Probabilmente tutti riteniamo esagerato chi la pensa diversamente: troppo schizzinoso o troppo brozzone rispetto a noi. Però è un interessante argomento di discussione, aprite il dibattito alla prossima cena in società.

La farmacia della natura

Se vogliamo addentrarci nelle profondità antropologiche, allora dobbiamo chinarci sulle pratiche mediche legate all’urina. Non intendiamo qui le analisi della stessa, bensì i suoi poteri di guarigione, già conosciuti nelle culture indiane, romane e greche dell’antichità. Tutt’oggi esistono persone che si curano con l’urinoterapia; ricordo un’amica di famiglia che la diluiva sette volte in una notte di plenilunio e poi ne beveva un sorso al giorno per tutta la primavera. Mia mamma invece raccontava fieramente che una volta mi aveva salvata da una puntura di ape immergendo il mio piedino nella sua pipì; ammetto di aver fatto la stessa cosa con mia figlia, un giorno in un bosco, senza alcuna certezza di agire bene. Risultato: mi sono sentita una vera madre (repetita iuvant, penso si dica in questi casi), mia figlia ha smesso di piangere e si è messa a ridere.
Non ridevano invece i soldati inglesi in Africa, durante le loro battaglie, mentre si disinfettavano le ferite con ‘docce dorate’ (o color del tramonto, se in Africa i soldati inglesi mangiavano barbabietole). E allora, ci si chiede: perché poi ‘pisciare sulla tomba’ di qualcuno diventa gesto di grande disprezzo? Dopo che l’hai usata come elisir disinfettante la spari su un tuo nemico morto?


“La Femme qui Pisse ou L’Œil Indiscret” (1742–1765) di François Boucher.

Esce comunque da lì

Beh, in ogni caso la pipì è qualcosa di intimo. Benefica, zozza o neutra che sia, arriva da luoghi privilegiati e fa parte dell’inventario erotico dell’animale umano. Come quasi tutto, d’altronde. Sophia Urista, cantante rock dei Brass Against, qualche mese fa ha abbassato le mutande e ha urinato su un suo fan: pare che lui fosse al settimo cielo. Ammiccamento sessuale o semplice segnale di amicizia? Reazione alla fine delle restrizioni contro il Covid, oppure disperata ricerca di qualcosa che possa ancora creare scandalo?
C’è un libro, che parla di vodka. Si intitola Mosca-Petuškì, è stato scritto nel 1970 da Venedikt Erofeev (1938-1990). A un certo punto racconta del pudore di dire “Ragazzi, mi scappa la pipì” e nessuno se lo aspetterebbe da quell’ubriacone di un protagonista. I suoi compagni di treno – il titolo indica un viaggio all’interno del quale si svolge la storia e soprattutto la megagalattica bevuta di Venedikt – a un certo punto si fanno minacciosi e gli chiedono se ha bevuto birra come tutti loro. Certo, risponde, ne ha bevuta tantissima. E allora alzati e vai, gli dicono. Dove, chiede lui. Smettila di pensare di essere meglio degli altri. Sai di cosa stiamo parlando. Non ho idea di cosa mi stiate dicendo, insiste l’altro. Non vai al cesso, ecco. L’abbiam sentito subito che c’era qualcosa di poco chiaro. Ma no, ragazzi, si schernisce lui, non avete capito. Non mi sento superiore, è che non riesco a dirlo ad alta voce. Ah, allora vuol dire che sei meglio di noi: noi siamo dei luridi e tu sei come un giglio! Iniziano a parlare di letteratura, perché quand-même siamo in Russia, e tutti hanno letto Turgenev e in quel momento gli pare anche il caso di tirare in ballo i decabristi. Dopo qualche paragrafo va a finire che i compagni di treno intimano solennemente al protagonista: Alzati e cammina. E lui va. E loro: Con una mentalità così vergognosa sarai sempre solo e infelice.


Venedikt Erofeev. Morto a Mosca nel 1990, lo scrittore sovietico condusse una vita dissestata, dedita all’alcolismo e all’accattonaggio. Il suo libro più noto (‘Mosca-Petuškì’, 1970) vede il protagonista vagare per la città, scoprendo infine la propria dimensione esistenziale.

Questa cosa mi ha fatto riflettere

Dunque Venedikt era casto all’inverosimile? Però veniva odiato per questo come se fosse un cafone. Che paradosso. E mi sono ricordata di quando ero piccola, che i miei genitori mi mandavano sempre alle colonie di sci, con tanti bambini e dovevamo sciare tutti in fila. Mi ricordo benissimo la sensazione della pipì dentro la tuta da sci, prima calda poi appiccicaticcia poi più niente perché sciare è troppo bello anche se devi stare in fila.
Non era per castità ma per praticità che non potevo chiedere a tutti di fare una pausa per andare in bagno. Mi tenevo la tuta bagnata e non mi dava granché fastidio, era diventata una condizione normale dello sciatore, come il freddo sulla punta dei piedi. Fatto sta che questa cartina al tornasole che è la pipì mi dice: adesso non è più così, vero? Adesso piuttosto vai a farti la fila al gabinetto e ti prendi pure una cioccolata, tanto spitinfia che sei diventata. Già. La copertina elettrica è dietro l’angolo.

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