L’invasione russa. Storie e fragilità
La violenza si alimenta di un passato mai elaborato. Ne è convinta la scrittrice Serena Vitale, che sul grande gigante russo ha scritto pagine importanti
Di Fabiana Testori
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
Io sono nata nel 1984. Avevo cinque anni quando è caduto il Muro di Berlino, sette quando si è dissolta l’Unione Sovietica. Della cortina di ferro, del mondo diviso in zone di influenza e della Guerra Fredda ho letto nei manuali di storia. Della Russia sovietica ne ho sentito parlare, guardato film e documentari, letto molto, ma non l’ho vista con i miei occhi. Ho però visto la Russia degli anni Duemila, ci ho vissuto dei mesi, ho studiato il russo, ci torno spesso. Conosco bene la nuova Russia dell’economia di mercato, più rudimentale, primitiva, più lenta delle economie occidentali, ma operosa allo stesso modo nel voler avanzare nel mondo globale, con gli stessi desideri di crescita. I miei amici russi hanno la mia età, ma quando sono nati i Pampers non li avevano, così come non avevano i jeans. Nei loro ricordi d’infanzia ci sono lunghe file per qualsiasi cosa si volesse acquistare, dalle uova, al pane, al latte. Pochi giocattoli. Le banane forse a Natale, ma era un’eccezione.
Le radici del conflitto
Alla mia amica Natalia si illuminano ancora gli occhi quando racconta che da bambina non dormì una notte intera in attesa trepidante che sua madre tornasse da Riga, dopo una trasferta di lavoro, portando con sé un completino per lei gonna pantalone azzurro, con dei bottoncini viola, così lontano e diverso dal solito grigio a cui era abituata. Anche questa era l’Unione Sovietica. Ci sono racconti ben più crudi che però è meglio non ricordare, successivi alla caduta dell’URSS.
Gli anni Novanta: si infranse un sistema di valori, di produzione, di visione del mondo. Ne seguirono anni di grandissima povertà, default, criminalità. Poi è nata la nuova Russia, la quale, assestandosi, si è aperta al mondo e al capitalismo. Le cose sono migliorate. Le banane ora si trovano in tutti i supermercati.
Da quando la Russia di Putin ha vergognosamente invaso e attaccato l’Ucraina seguo costantemente l’attualità sia sui media occidentali, sia su quelli russi e, nonostante ciò, continuo a non capire. Disgustata non riconosco il paese che sono abituata a frequentare. Disgustata, non faccio che pensare che questa guerra puzza di anacronismo. A mente fredda, quando riesco, provo a ricercarne i motivi e, dopo più di un mese da quella che nella Federazione russa può essere solo nominata come “Operazione militare speciale”, sono giunta alla conclusione che le radici di questa guerra si trovino in una serie di processi storici e sociologici che la Russia non ha mai compiuto e che invece avrebbe dovuto fare per maturare realmente.
Primo fra questi, l’elaborazione collettiva del proprio passato, sia quello seguente alla Seconda guerra mondiale, sia quello successivo alla perdita della Guerra Fredda e alla caduta dell’Unione Sovietica. In Russia, del primo avvenimento esiste una sola lettura “Abbiamo vinto, abbiamo liberato l’Europa” e infatti, la guerra combattuta dall’URSS dal 1941 al ’45, viene definita “Grande guerra patriottica”. La perdita della Guerra Fredda e la dissoluzione dell’Unione Sovietica sono invece, a trent’anni dai fatti, una ferita aperta e sanguinante per il Presidente Vladimir Putin senza dubbio, per la maggioranza dei russi di più di 45 anni pure, ma non ci sono ammissioni di colpe, non c’è analisi, solo una retorica dolciastra e artificiale su quanto si viveva bene nell’URSS e di come si vive male oggi. Il nemico, perché questo è il solo racconto esistente, era ed è l’Occidente, questo blocco unico, onnipresente nella testa di quelli che erano cittadini sovietici e ora sono cittadini russi. L’Occidente, guidato principalmente dagli Stati Uniti, nella narrazione collettiva russa, rappresenta il capro espiatorio di qualsiasi male della Federazione contemporanea: dall’introduzione del sistema capitalista, al liberismo, alla povertà russa. La logica di opposizione del Noi (il Russky Mir, il cosiddetto mondo russo), tanto caro a Putin, e del voi (l’Occidente) è rimasta ferma al 1989. Non esiste autoanalisi, né ammissione di responsabilità, né elaborazione storica collettiva, non c’è quindi il superamento del trauma.
Boris Nikolaevič Eltsin (1931-2007), che fu Presidente della Federazione Russa dal 1991 al 1999. Vladimir Putin fu designato come Primo ministro della Federazione proprio da Eltsin.
La Russia: forse è tutto un grande bluff
È in questo trauma, in questo boccone indigesto, che la retorica del presidente russo e della sua assurda propaganda pesca e coltiva le idee con cui nutre il proprio popolo da 22 anni. Lo specchio però non è mai rivolto su di sé, ma sugli altri, cioè su quella massa indistinta in cui si ritrova qualsiasi cosa: l’Occidente corrotto, gli USA aggressivi, l’Europa debole e sottomessa, il degrado dei costumi occidentali, i servi del capitalismo, le società eterogenee e multietniche, le comunità LGBT, la libertà di stampa e molto altro. L’astio e la violenza nascono da questo racconto falsato, germoglio tossico che, una volta sbocciato, porta alle guerre, come quella che stiamo guardando in diretta dall’Ucraina.Quando tante idee mi traversano la mente, ma lo scenario resta opaco e molto cupo, tendo a cercare le risposte più autentiche nella storia e nella cultura. Per questo motivo, ho deciso di intervistare una letterata, una grande esponente della cultura, la più importante slavista italiana, Serena Vitale. Scrittrice, traduttrice, è stata Professoressa di lingua e letteratura russa in vari atenei. Lei l’Unione Sovietica l’ha vista e l’ha vissuta, quando è andata a studiare a Mosca nel 1967. Di quell’esperienza ha scritto un libro A Mosca, a Mosca! apparso nel 2010. Quando le parlo di conflitto anacronistico, sia a livello militare, sia a livello retorico, Serena Vitale reagisce immediatamente:
“La comunicazione del governo russo alla propria popolazione e al mondo non è anacronistica, è falsa. Qualsiasi organo di libera stampa è stato soppresso e i media internazionali o se ne sono andati volontariamente o sono fortemente osteggiati. L’invasione di un paese sovrano è un fatto che non si vedeva più da tempo, quindi certamente anacronistico. Purtroppo, io credo che siamo alle prese non solo con fatti anacronistici, ma con qualcosa che ha a che fare con la psichiatria. Vedevo ora le immagini dello sterminio di Bucha, non si può. Perché si tarda a presentare tutto ciò al tribunale dell’Aia? Dopo le barbarie della Seconda guerra mondiale oggi esistono degli strumenti per condannare questi atti. Quando ho vissuto in Unione Sovietica tutto era falso. La Russia era falsa, era di plastica. Falso quello che si scriveva, falsi i libri di critica letteraria che leggevo. All’epoca ero abituata a decriptare. Tanta povera gente, in buona fede, scriveva, dopodiché interveniva la censura e, nei casi più terribili, l’autocensura. Sono convinta che questa guerra ci farà arretrare rispetto a tante conquiste, rispetto ad una concezione della libertà. Se l’avessi sognato nel peggiore dei miei incubi, non mi sarebbe venuto in mente e purtroppo non riesco a vederne la fine. Il risentimento degli ucraini verso la Russia risale alla grande fame patita a causa del potere sovietico (1933/’34). Un genocidio per fame di otto milioni di persone causato dall’esperimento della collettivizzazione forzata, cominciata proprio nel granaio d’Europa per volere di Stalin. Ci sono testimonianze di questo periodo che è meglio non guardare e non leggere. Genitori che mangiavano i propri bambini, ormai ridotti allo stremo di tutto. Gli ucraini non riescono a perdonare questa ripugnante pagina della loro storia al potere sovietico. E ora arriva Putin che vuole il Donbass, che sta mietendo vittime, che distrugge città, opere d’arte, architettura. Mi fa orrore la possibilità che possano abbattere la Cattedrale di Santa Sofia e il Monastero delle Grotte a Kiev, dove è nata la civiltà russa… Questo i russi lo dimenticano. Putin viene descritto come uno zar, ma di un imperatore non ha niente. Lo Zar Pietro il Grande desiderava uno sbocco sul mare, come Putin vuole lo sbocco a Odessa, la differenza è che Pietro il Grande ha costruito una città, la meravigliosa Pietroburgo. L’imperatrice Caterina II ha conquistato la Crimea creando, costruendo, non distruggendo”.
Si può “giustificare” questa guerra con il solo conflitto interno al Donbass?
“No, assolutamente. Si tratta di un tentativo di Vladimir Putin di creare una fascia di morte, una linea di vuoto fra la Russia e l’Occidente. L’obiettivo è fare terra bruciata attorno al suo paese. Il Donbass è stato un pretesto. Secondo lui è necessario un mondo nuovo, pensi a Orwell. Oggi la Russia è una prigione, il regno del falso. E mi dispiace dirlo, perché ci ho passato anni, avevo gli amici più cari proprio lì, la conoscevo come le mie tasche e amo la Russia. Lo direi anche dell’Italia semmai venisse in mente a qualcuno di conquistare la Grecia, come piaceva a Mussolini. Siamo nel 2022. Putin l’ha dimenticato. Per questo motivo io insisto sui problemi psicologici. Vive, secondo me, in uno spazio-tempo tutto suo. Non ha più rapporti con la realtà, pensiamo solo ai tavoli enormi a cui siede, non vede più nessuno perché ha paura”.
Il fatto che la Russia non abbia mai compiuto l’elaborazione del passato, sia dopo il secondo conflitto mondiale, sia dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, quale ruolo ha alla luce di quanto sta succedendo ora?
“La Russia non ha gli strumenti per poter fare questo processo. I russi dovrebbero poter avere accesso alle biblioteche. Andare in una biblioteca e chiedere un libro rimane ancora oggi una scommessa. Non esiste una sociologia vera, né la possibilità di entrare in contatto con la cultura e l’informazione occidentale di qualità. Inoltre, in Russia non è nata una classe media, una borghesia, dopo la fine dell’URSS. Non è presente una cultura politica, perché gli istituti di pensiero politico in Russia sono semplicemente dei centri di indottrinamento ex comunista. La stessa parola politica per i russi non significa niente. Esiste un partito unico, quello di Putin, il quale si chiama infatti “Russia unica”. Chi capisce invece, viene ridotto al silenzio, con qualsiasi mezzo possibile. Durante la confusione della fine degli anni Novanta per volere di un presidente oramai annebbiato dall’alcol (Boris Eltsin), è giunto al potere un uomo che non era all’altezza del compito, Putin. Si rende conto di quanto sia russo tutto questo?”.
Nel suo libro A Mosca, a Mosca! lei scrisse che tornò in Russia negli anni Novanta e non la riconobbe…
“C’era la confusione più totale. Da una parte, si trattava di un contesto che lasciava indubbiamente spazio alla speranza, dall’altra, vivere nel caos era terribile. Passare all’economia di mercato aveva dato completamente alla testa alla popolazione. Non c’era da mangiare. Ed è proprio in circostanze di panico e anarchia che possono nascere questi funghi velenosi”.
Che sembianze avrà la Russia di domani, a guerra terminata?
“Chi può sostituire Putin in questo momento? Un esponente della classe degli oligarchi? Ammetto che non sono degli sciocchi, ma ora come ora non vedo un’intellighenzia russa in grado di prendere il sopravvento. Temo che tutto ciò possa finire solo nel sangue e mi creda, spero di essere una cattivissima profeta. Allo stesso tempo, non bisogna dimenticare che la Russia riserva sempre delle sorprese. Le ripeto quello che dico ai miei studenti: pensi alla Russia di fine Ottocento, chiusa su sé stessa. A un certo punto si apre all’Occidente, entra il simbolismo nella letteratura, la Russia lo fa suo e nascono dei capolavori. È giusto sperare anche in questo”.
Serena Vitale è nata a Brindisi nel 1945, è una slavista, scrittrice, traduttrice e accademica. Tra i suoi volumi segnaliamo “Il bottone di Puškin” (Adelphi, 1995), saggio romanzo epistolare che ottenne un buon successo internazionale e tradotto in sei lingue.