Un ticinese in sella: ‘Perché ho scelto di pedalare”

Simone Horat dirige il Servizio coesione sociale, gioventù e cultura a Bussigny (VD) e al lavoro si reca in e-bike. Un interessante punto di partenza…

Di Marco Horat

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Prima gli studi in Scienze Politiche a Losanna e alla Sorbona di Parigi. Nell’Università romanda ha lavorato quattro anni in qualità di insegnante e due come ricercatore. È poi passato nell’amministrazione pubblica dove si è occupato di politiche sociali per i Cantoni di Vaud e Ginevra. Attualmente dirige il Servizio coesione sociale, gioventù e cultura della città di Bussigny, alle porte di Losanna. Simone Horat pratica diversi sport e se ha lo stesso cognome di chi vi scrive è tutta colpa della Redazione di questo settimanale, che ha voluto mettere di fronte padre e figlio a confrontarsi su mobilità elettrica e cambiamenti culturali. E perché, quando si parla di biciclette e piste ciclabili, le cose altrove vanno parecchio meglio che nel nostro cantone.

Simone, il tema della mobilità è sempre stato presente nel tuo orizzonte, un po’ come capitato a tutti i tuoi coetanei…
“Sì, ricordo il senso di indipendenza e libertà che mi hanno dato il ‘Cinquantino’ a 16 anni, la prima moto e poi l’auto: fare il pieno e via, andare con gli amici dove si desiderava, senza dover dipendere da genitori o trasporti pubblici”.

Sentimento provato ancor di più da chi – come me – ha vissuto in prima persona il boom della motorizzazione degli anni Sessanta. Allora pensavi all’auto come a un mezzo che ti proiettava verso la libertà e la scoperta del mondo, come in gran parte è poi stato. La benzina costava pochi centesimi e potevi andare lontano. Consumi, inquinamento, sicurezza? Concetti ancora di là da venire. Purtroppo continuo imperterrito, come tanti, a girare in auto e in moto, pur con qualche senso di colpa in più…
“E i risultati li abbiamo sotto gli occhi! Io mi sono decisamente riorientato quando sono andato a studiare a Losanna; in città mi muovevo con i mezzi pubblici e con la bici: pratica, divertente e comoda da posteggiare. Poi mi sono sposato e con Véronique siamo andati ad abitare a Le Mont-sur-Lausanne. Lì per arrivarci bisognava pedalare: l’acquisto della e-bike è stato la conseguenza logica. La uso da tre anni, prima solo d’estate e per fare qualche passeggiata, ora per tutti i dodici mesi! Percorro in media 3’000 chilometri all’anno; il tragitto casa-lavoro è di 25 km, che faccio regolarmente impiegando lo stesso tempo che in moto o in auto”.

Stai in Romandia da molti anni oramai. Hai mai pensato a un ritorno in Ticino?
“Direi di no. Torno volentieri in Ticino dove ci sono i miei parenti…”.

(Ah, volevo vedere se ti ricordavi di noi e di tuo fratello!)
“… gli amici di gioventù, i luoghi che mi sono cari e che mi piace far conoscere a Véro e ai figli. Ma la mia carriera professionale è in Svizzera francese, dove ci sono molte più possibilità di lavoro; qui ho messo su famiglia e ho molti amici, compresi ticinesi che vivono a Losanna. Ma anche la mobilità ha giocato un ruolo nella mia scelta. Per esempio, non potrei mai abitare in centro a Lugano e in Ticino le periferie sono piuttosto malservite; se non hai l’auto ti muovi con maggiori difficoltà e questo genera un traffico insopportabile; che non ha molte alternative”.


© M. Horat
Presso Ulrichen (VS), con la moto di papà Marco sullo sfondo.

Ma per te l’e-bike non è solo un mezzo per andare al lavoro. Hai scelto di lavorare 4 giorni a settimana per avere più tempo da passare col figlioletto (nipotino) che ora ha tre anni. Magari per trasmettergli anche la passione della bici ecologica e… prepararlo al futuro?
“Chissà. Il venerdì porto spesso mio figlio Théo nei boschi o a vedere animali in campagna; gli piace molto. Vacanze con tutta la famiglia in bici sono comunque sempre in calendario: abbiamo già fatto il giro del Bodensee e un’altra volta siamo venuti in Ticino costeggiando il Lemano, scendendo dal Vallese, trenino della Furka e Passo del San Gottardo con tanto di discesa lungo la Tremola. Con l’e-bike potevo portare una trentina di chili di bagagli e in più tirarmi dietro il carretto con il bambino, imparando a dosare le forze per non consumare tutta la batteria alla prima salita, altrimenti non saremmo arrivati a destinazione la sera. Facevamo tappe di una settantina di chilometri con qualche pausa; un impegno fisico notevole, soprattutto per moglie e figli adolescenti che non avevano un’e-bike. Una bella avventura!”.

Come hai trovato i percorsi ticinesi? Una volta andavo anch’io più spesso sulle strade con la due ruote, ma oggi ho qualche remora. Sulle strade, e più ancora nei boschi, le bici sembrano fuori posto, un ostacolo fastidioso.
“In Ticino ho l’impressione che non si sia fatto molto per la mobilità dolce; piste ciclabili se ne vedono poche rispetto ad altre zone della Svizzera. Inoltre, abbiamo constatato come gli automobilisti abbiano una guida molto più aggressiva e intollerante nei confronti dei ciclisti; le auto ti viaggiano a pochi metri dal carrozzino e quando ti sorpassano, magari in curva, ti sfiorano pericolosamente. In Romandia ci sono molte più piste riservate alle biciclette e quando sei sulla carreggiata le auto mantengono in genere le distanze di sicurezza; così si può viaggiare più rilassati. Questione di ‘cultura’ e di rispetto. Naturalmente non solo di rose e fiori si tratta: anche da noi le piste ciclabili non sempre sono tenute in ordine: quando c’è la neve è lì che viene accumulata (e infatti questo inverno sono pure caduto!), capita di imbattersi in detriti e rifiuti oppure in cartelli che segnalano lavori stradali in corso. Ma qui si guarda anche al futuro ispirandosi alle politiche messe in atto nei Paesi del Nord Europa”.


© M. Horat
In salita sopra Fiesch (VS).

A Copenaghen e Stoccolma, per esempio, ho letto che il 30% della gente, malgrado il clima, va a lavorare con la due ruote, che ha dappertutto percorsi preferenziali distinti dal flusso del traffico, sia in città sia in campagna.
“A Losanna vi è un progetto-pilota che prevede in dieci anni l’esclusione dei motori termici dal perimetro urbano e la creazione di percorsi riservati solo alle biciclette (la e-bike la farà da padrona), senza semafori e incroci pericolosi, per favorire l’uso di un mezzo di trasporto ecologico, alternativo ai motori. Naturalmente tutto ciò avrà un costo, ma se vogliamo ottenere benefici per l’ambiente e la salute pubblica bisogna avere il coraggio politico di agire oggi”.

PERCORSI CICLABILI

Oggi la rete per biciclette di competenza cantonale conta circa 365 chilometri di percorsi segnalati con i tipici cartelli rossi (stato dicembre 2018; fonte Dipartimento del territorio, Sezione della mobilità). Di questi, circa 325 km sono inseriti nella rete per il traffico lento di ʻSvizzeraMobileʼ. Con l’attuazione di tutti i percorsi ciclabili di competenza cantonale le autorità prevedono un raddoppio dei chilometri di percorsi segnalati, per un totale di circa 560 km (orizzonte 2025/30). Con i suoi circa 12mila km di piste ciclabili segnalate, la Svizzera possiede una delle reti più diversificate al mondo per densità nazionale.


© DT, Sezione della mobilità

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