La guerra di don Rino Pistellato

Ex direttore dell’Istituto Elvetico di Lugano, ha trascorso dieci anni a Leopoli. Un prete oggi mobilitato per aiutare un popolo sotto le bombe

Di Giuseppe Zois

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione.

Dieci anni prima a Gatchina (Russia), poi altrettanti a Leopoli. Ha educato gli studenti del dopo-URSS a respirare e vivere “la pace e la libertà”. E ora si chiede “da che parte staranno”. Coraggiosa la condanna di Putin e dei ritardi della diplomazia nel prevenire la messa in atto dell’aggressione di Mosca. E conclude: “Personalmente sento l’Ucraina come la mia terra promessa e Leopoli città della mia gioia”.

“Mir miru!”, pace al mondo, era un linguaggio ridondante anche nei decenni del terrore staliniano, l’avevano sentito già i loro nonni e padri. “Ma l’intonazione era stonata – sottolinea don Rino Pistellato –: negli asili, nelle scuole ogni ritorno tra i banchi si apriva con la lezione sulla pace, ma intanto nei programmi delle lezioni c’erano le ore di esercitazione militare. Si proclamava che l’URSS è il baluardo della pace e intanto si doveva imparare a imbracciare fucili, addestrarsi a combattere. Le colombe della pace di cui parlavano i capi del partito non portavano l’ulivo, ma le pallottole. Era un’altra la pace. Noi insegnavamo agli allievi che la pace e la libertà sono saldate insieme, inscindibili”. Da quest’anno don Rino è al “Don Bosco” di Borgomanero, mobilitato in operazioni di solidarietà. È riuscito a far traghettare in Slovacchia 80 orfani destinando l’edificio che occupavano a Leopoli a profughi.

Cuore in fibrillazione per le vittime innocenti

C’è un romanzo della scrittrice Marlo Morgan, intitolato E venne chiamata due cuori. Anche don Rino ha due cuori, uno russo e l’altro ucraino, che vanno in fibrillazione per le vittime innocenti: “Essendo state due case per me, Russia prima e Ucraina dopo, e avendo avuto al centro i giovani, non posso schierarmi a difesa di una bandiera: sto dalla parte della pace, in difesa della vita. La guerra significa odio, ferocia, morte. Grido alto e forte il mio alt totale alla guerra e mi rammarico che non siano stati fatti i passi necessari già una decina d’anni fa, invece di macchinose manovre, fiumi di parole a vuoto, fallimento della diplomazia. E intanto Putin, abituato a giocare alla guerra, ha trovato terreno aperto per procedere, dopo aver ingabbiato i suoi ‘sudditi’, pochissimi dei quali sanno quello che sta succedendo. Incominciano ora le proteste, ma sono brutalmente stroncate sul nascere dalla polizia”.
Il racconto di don Rino si fa dettagliato e punteggiato di nomi di suoi ex a Gatchina, prudenzialmente senza cognome: “Ho chiesto a Roman, che ora vive in Siberia, cosa ne pensa, l’ho chiesto a Maxim che lavora a Mosca. Esprimono sconcerto, disagio, vergogna. Sofya, ragazza brillante nei suoi artistici scatti fotografici, protesta a sua volta per questa guerra. Vera, mamma di un allievo, interprete e guida turistica a San Pietroburgo, donna fine e cordiale, non trattiene le lacrime per le atrocità di cui è al corrente, ma non tramite la televisione russa. Si impone di sperare in un futuro migliore. C’è però anche Mamych, che crede solo alla voce del padrone, la versione della TV di Mosca e si dichiara d’accordissimo con la guerra, vadano avanti!”.
Dalla Bielorussia l’amico Sergjei, “impacchettato” nel regime di Lukashenko, gli ha telefonato giovedì 3 marzo, disperato: “Io e tanti altri come me non ne possiamo più di questo bugiardo che ci sta prendendo in giro, costringendo a chiudere gli occhi per non vedere. Nessuno di noi vuole la guerra e a nessuno di noi importa dell’impero russo. Sarò costretto a lasciare la mia terra, qui non riusciamo più a farcela economicamente, i nostri soldi sono carta straccia e ne servono mucchi per la spesa”. Uno sfogo amaro. Era stato allievo di don Rino a Gatchina, adesso i suoi sogni sono diventati rabbia.


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Putin e il sogno a lungo covato

Mai più guerra aveva giurato l’Europa al termine del secondo grande conflitto mondiale. La storia purtroppo è tornata indietro. Don Rino fa girare la moviola della memoria: “Putin la covava da anni questa guerra, da quando salì al potere e in televisione disse: ‘Noi non esistiamo se non come grande potenza. La Russia senza l’Ucraina cessa di essere un impero. Con l’Ucraina subalterna e subordinata diventa automaticamente un impero’. Non poteva accettare la disfatta dell’impero sovietico, lui, l’uomo di ferro del KGB. Non si è mai rassegnato a vedere l’Ucraina fuggita dalla madre patria tra le braccia dell’Occidente, divenuta colonia dell’America, fantoccio della NATO. L’ha vissuta come una mutilazione del glorioso impero russo. ‘Non è – ha affermato – un Paese confinante, ma parte integrante della nostra storia e cultura’. Nei 30 anni dell’indipendenza dell’Ucraina (25 dicembre 1991) Putin ha dimostrato un odio viscerale. Vecchi rancori in seno diventano veleno, insegna il proverbio. La guerra è stata come una serpe covata in seno. Un autocrate sempre più isolato, certo, ma orgogliosamente e brutalmente in sella. Nei suoi occhi di ghiaccio si leggono i vaneggiamenti di un esaltato che si propone un revisionismo storico: lui è il vate che vuole riscrivere la storia”.

Quegli alzabandiera del mattino a Leopoli

I battiti del cuore di don Rino accelerano al ricordo e al pensiero di Leopoli, ieri e oggi: “Gli ucraini sono gente solida e tenace, gente antica che ha riscoperto e non sempre pacificato la propria anima nazionale. Inizialmente la loro separazione dalla Russia fu solo formale, perché le relazioni con Mosca rimasero forti, specie quelle economiche. L’assetto istituzionale era in mano a figure che avevano fatto parte della vecchia nomenclatura e crearono un modello democratico molto ibrido. Questa situazione non ha facilitato né accelerato il processo di costruzione di un’unica identità nazionale che di per sé era problematica dentro la frammentazione e la pluralità di etnie presenti in questo nuovo stato. L’Ucraina è divisa in due parti dal fiume Dnjepr e si presenta con due anime: due lingue, due religioni. Momento forte di vera unione furono la Rivoluzione arancione del 2004-05, poi le proteste chiamate Maidan del 2013-14. Putin intanto metteva a punto la sua cinica strategia, sostenendo la ribellione delle due repubbliche del Donbass e annettendo la Crimea. Da lì è deflagrata la guerra. Attenzione, però: in Russia non la possono chiamare guerra perché si rischia la prigione; è una ‘operazione speciale’. So da un amico russo che un prete ortodosso è stato immediatamente rimosso dal suo vescovo per aver parlato contro Putin”.
Un ultimo ricordo di don Rino, prima che torni a occuparsi di solidarietà: “Personalmente sento l’Ucraina come la mia terra promessa e Leopoli città della mia gioia. Al tempo in cui erano in diaspora, gli allievi di Leopoli facevano tutte le mattine l’alzabandiera e cantavano: ‘Ancora non è morta l’Ucraina’. Mi auguro che le parole finali possano diventare: ‘L’Ucraina è più viva che mai“, come dimostrano l’eroica resistenza e l’abbraccio dei popoli del mondo in questi giorni”.


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