Pedro Lenz o l’arte di farsi ascoltare (raccontando)

Nel cognome porta la cultura mitteleuropea, nel nome quella mediterranea. Influenze che si fondono e si ritrovano nelle opere dello scrittore di Olten

Di Samantha Dresti

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione.

In queste settimane è in tournée col suo ultimo intenso libro, Primitivo. Apparso lo scorso anno anche in italiano, è una sorta di romanzo di formazione ambientato a Langenthal. Lo abbiamo sentito per conoscerlo meglio. E i temi sui quali confrontarsi non sono mancati: dall’immigrazione al lavoro come forma di educazione, dalla poesia spagnola all’identità svizzerotedesca, e quel dialetto così profondamente identitario.

Rumore di un treno in partenza. Stazione di Olten. Quando lo chiamo, Pedro Lenz sta portando i suoi due figli più grandi dai nonni; un terzo bambino invece è nato da poco, ha solo due mesi. Fin dalle prime battute della nostra chiacchierata, si rivela uno scrittore eclettico: ha lavorato per parecchi anni in cantiere, ha studiato poi letteratura spagnola, ha praticato e pratica appassionatamente il calcio, “anche se le gambe non sono più quelle di un tempo, quando gioco mi sento sempre un ragazzino”. Si esibisce volentieri in pubblico con letture accompagnate dalla musica, perché è questa la modalità che preferisce: fare in modo che la letteratura sia diretta, arrivi in modo immediato al lettore. Nel suo cuore porta i grandi poeti spagnoli del Novecento, che da ragazzo ha conosciuto attraverso le musiche di Paco Ibáñez; ma anche i grandi cantautori americani e italiani. Uno su tutti: Francesco Guccini, per la sua visione del mondo, il suo modo unico di saper raccontare storie.
Il percorso che porta Pedro Lenz a diventare uno scrittore è tutt’altro che lineare: dopo le Medie ha fatto l’apprendista muratore, professione che ha poi praticato per sette anni. La madre non era d’accordo con questa scelta, mentre il padre ha difeso la sua decisione, sostenendo davanti alla moglie: “Lascialo fare, poi più tardi, se vorrà, potrà riprendere a studiare!”. E così è avvenuto. Lasciò il cantiere sette anni dopo e si dedicò dapprima all’organizzazione e alla preparazione dei corsi estivi dei campeggi, che la chiesa organizzava per la gioventù del posto. Ha svolto questo lavoro per quattro anni, una sorta di “cuscinetto”, di pausa di riflessione. Poi è maturato il desiderio di studiare. Pedro a 30 anni otterrà la maturità – svolta con grande motivazione per lo studio, molta di più rispetto a quando aveva 16 anni – e poi studierà Letteratura spagnola all’università, diventando assistente del professore per tre anni. Fino a quando, senza ultimare gli studi, sceglie di provare a dedicarsi unicamente alla scrittura. Per un anno… ma un professore con intuito gli disse: “Pedro, se vai, non vorrai più tornare qui da noi”. E così è stato. Da allora Lenz ha scritto articoli, romanzi, poesie, racconti. E ora sta lavorando alla sua terza opera teatrale.


© Liliane Holdener

Hoi zäme! Così è tutto più naturale

“La normalità linguistica per noi è lo Schwiizerdütsch. Parlare Hochdeutsch è un piccolo sforzo. Quindi il nostro dialetto ha a che fare con la naturalezza del parlare”, ci confida Pedro Lenz. Ma si tratta comunque di una serie di dialetti, quindi strettamente orale. Come si fa a scriverlo, visto che lui ha deciso di usare questo idioma per i suoi romanzi e non il “buon tedesco”? È un processo naturale, così come lo è esprimersi oralmente? “No – risponde –, devo ogni volta chiedermi come scrivere questo, come scrivere quest’altro: devo inventare, visto che non ci sono vere regole grammaticali. Sembra un controsenso, ma uso un artificio per creare una lingua che risulti spontanea, come lo è nel parlato quotidiano”.
Con Lenz, a tratti, si ha l’impressione di parlare con un musicista, anche se di fatto non lo è. Nel suo modo di scrivere, però, è presente la musicalità: “Spesso io scrivo con il ritmo nell’orecchio; l’oralità è un aspetto che mi interessa molto”. Quando si esibisce nelle sue letture in pubblico è spesso accompagnato dal musicista Christian Brantschen (vedi qui sotto, ndr): i due amici selezionano alcuni passaggi e il pianista crea un sottofondo, una sorta di colonna sonora. La musica aggiunge atmosfera al testo, ma ne sottolinea anche il ritmo: “Fin dalle primissime letture in pubblico, mi sono sempre affiancato a musicisti, in particolare di jazz, per la versatilità dell’improvvisazione. Per questo tipo di presentazioni lo Schwiizerdütsch è ideale e anche per il pubblico lo è”. Quindi il lavoro di Lenz si divide tra momenti di raccoglimento, durante la creazione di un testo, e momenti di condivisione: “Sono due parti di me stesso, un po’ come einatmen e ausatmen, inspirare ed espirare”.


© Michael Isler

Poesia che parla al ‘corazón’

“La letteratura spagnola mi ha insegnato che l’espressione scritta può essere molto diretta. Può arrivare dritto al cuore. Quella tedesca tende a essere meno vicina, diciamo, più intellettuale. Il poeta Federico García Lorca veniva recitato a memoria dalla gente in Spagna e anche dagli analfabeti era amatissimo. Perché la sua poesia ha qualcosa che colpisce subito, che viene compreso col cuore prima ancora che col cervello, anche se stilisticamente è una poesia molto elaborata. Questo aspetto mi ha sempre affascinato: come si può fare poesia immediata? Come arrivare anche a chi non si occupa di letteratura? O a chi non ha cultura, non ha avuto la possibilità di studiare? E poi, ovvio, chi ha più strumenti culturali per decifrare, leggere, capire potrà apprezzare il livello ulteriore di un’opera”.
La poesia è molto presente nell’ultimo romanzo di Pedro Lenz, Primitivo: i personaggi ne parlano, ne comprendono la bellezza, ma anche l’utilità. Quando l’alter ego di Lenz, il giovane protagonista Charly, parla dell’amata Laurence, dice: “Ci avrei dovuto pensare prima. Avrei dovuto parlarle con più tatto. Avrei dovuto tener presente Pablo Neruda. Primitivo l’aveva sempre detto che dai poeti c’era sempre da imparare, ma io ci avevo messo molto prima di credergli”.

La persona al centro del mondo

“Mio padre era il direttore della fabbrica di porcellana a Langenthal. Il sabato mi prendeva per la mano e mi portava dagli operai: ‘Ecco lui è Giovanni; è abruzzese, ha tre figli ed è arrivato due anni fa. Lui è Carlos; è portoghese ed è appena arrivato con sua moglie, che aspetta un figlio, lui è…’. Insomma, ha sempre avuto grande attenzione e rispetto per le persone di ogni cultura o estrazione sociale e sia lui sia mia madre mi hanno trasmesso questo atteggiamento verso gli altri”. E sono proprio le persone le vere protagoniste dei suoi romanzi… “Parto sempre dai personaggi e poi costruisco la storia attorno a loro”, anziché creare prima la trama e poi inserirci i personaggi, come fanno in molti. E come crea, Pedro Lenz, una certa introspezione psicologica? Anche qui ritorna l’oralità: “Mi piace far conoscere i personaggi attraverso la maniera in cui parlano”. Ecco che capiamo meglio la sua scelta di scrivere in Schwiizerdütsch, un dialetto che rispecchia profondamente la realtà che lo circonda, che rende le pedine delle sue storie ancora più vere e reali. Scrivere dunque affinché il lettore possa “sentire” e riconoscersi nella loro ‘identità culturale’ e nel loro modo di essere e di sentire. Solo i suoi lettori “si ritrovano”, sostiene l’autore. È interessante notare che questo intento lo si trova pure nella traduzione in lingua italiana del romanzo: la traduttrice, Amalia Urbano, è partita direttamente dallo svizzerotedesco, e non da una prima traduzione in buon tedesco. Ne è nato così un risultato fresco e spontaneo, aspetto che si apprezza nella lettura del volume.
Come dire, un nobile intento sa superare tutte le barriere culturali. Almeno in letteratura.


© Daniel Rihs

L’AUTORE
È nato nel 1965 da madre spagnola e padre svizzero-tedesco, e sin da bambino ha sempre parlato spagnolo e Schwiizerdütsch. Ha abbandonato presto il liceo, nel 1981, per svolgere un apprendistato come muratore. Ha ripreso poi gli studi nel 1992, conseguendo la maturità nel 1995 e ha poi trascorso diversi semestri all’Università di Berna, studiando Letteratura spagnola. Dal 2001 ha intrapreso la carriera di scrittore a tempo pieno. Con Primitivo (Gabriele Capelli Editore, 2021) Pedro Lenz è al suo terzo romanzo. Scrive inoltre come opinionista per vari quotidiani e periodici, tra cui la Neue Zürcher Zeitung e Die Wochenzeitung.

IL LIBRO
Primitivo: in questo caso non è un vino, ma il nome di un operaio spagnolo che lavora in un cantiere di Langenthal. È lui uno dei principali personaggi del romanzo, che è fortemente autobiografico e narra la storia di Charly, un apprendista muratore. Il suo mentore è Primitivo, un operaio che gli mostra come diventare un buon muratore. I suoi insegnamenti non si fermano alla professione, ma hanno in serbo ogni sorta di consigli: sull’amore, la politica, i soldi e la vita in generale. È insomma un vero romanzo di formazione. La storia è ambientata all’inizio degli anni Ottanta nella zona di Langenthal, dove Pedro Lenz è cresciuto. Nella copertina dell’edizione in lingua italiana è presente un’immagine del fotografo ticinese Simone Mengani dal titolo ‘Cava animata’. Uno scatto sgranato e sfuocato, il dettaglio in bianco e nero di grossi massi stagliati: è il marmo di Arzo, dalle inconfondibili venature, una sorta di fotogramma che ci riporta al passato e che potrebbe animarsi di persone, voci e colori, come per magia. La magia dei sogni, dei ricordi, della memoria.

Articoli simili