Tú sí que vales: una questione di pane e di dignità

L’esistenza è una cosa breve. E per fortuna qualcuno sta rivalutando la questione

Di Giancarlo Fornasier

Pubblichiamo l’editoriale apparso su Ticino7, allegato settimanale de laRegione

A sentire ‘in giro’, le condizioni dei lavoratori e gli ambienti professionali sarebbero peggiorati un po’ ovunque. C’è chi crede lo siano almeno da 15-20 anni, chi li fa coincidere con l’avanzata dei processi di digitalizzazione. Se nell’ambito dell’economia privata e della libera impresa (per le solite ragioni, si sa) condizioni e salari sono sovente piccole paludi da guadare, anche fra chi opera nel settore pubblico – dai che qualcuno lo conoscete pure voi – pare esserci un certo ‘malessere’. Perché se a cinquant’anni conti “solo gli anni che mancano per poter andare in pensione” e sei ai piani alti (e con una scrivania blindata) vuol dire che qualcosa non funziona. Se non nel tuo ufficio, almeno nel tuo lavoro. Oppure sei tu che non ci stai più dentro, alienato da un sistema febbricitante. Da cosa dipende? Dalla smaterializzazione dei processi lavorativi e delle relazioni umane? È colpa di chi decide, sempre più afflitto dal Principio di Peter (quello di Laurence J. Peter) e inadatto a gestire le ‘risorse umane’? Oppure – e ancora prima della pandemia – forse in molti si sono stancati d’identificarsi con quello che fanno e di cercare la carità?
Valeria, mamma 40enne e una buona formazione universitaria, sta provando a rimettersi in gioco. L’altro giorno a un colloquio, di fronte alla solita domanda (“Quali sono le sue pretese salariali?”), ha guardato il tizio negli occhi e dopo un attimo di silenzio, sorridendo, ha ribattuto: “Secondo lei quanto valgo?”.

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