Parole sull’acqua. Quei sentimenti mai detti

La vera storia di una bottiglia, di un amore, di un lago (quello di Locarno). Perché anche nell’era di TikTok certe cose si posso lasciare solo al destino

Di Moreno Invernizzi

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato settimanale de laRegione

Che ne è stato di Cyrano de Bergerac, di Rodolfo Valentino e tutti gli altri? Il romanticismo, quello fatto di parole e gesti affettuosi, di amore, tanto amore e una vena poetica non è morto. Nemmeno di questi tempi, in cui la quotidianità è scandita dal ritmo frenetico che hanno preso le nostre vite. Oggi siamo sempre più intenti a inseguire qualcosa, a portare avanti qualcosa, a cercare di portarlo a termine entro una scadenza prestabilita e che troppo spesso siamo noi a imporci. Perché? Altrettanto spesso la risposta non la sappiamo dare nemmeno noi, perché una volta completata una cosa, ci rituffiamo a capofitto in un altro progetto. In un ciclo perpetuo di cui non si vede la fine. E nel tempo libero Più che anelare al nostro shakespeariano Romeo o alla nostra Giulietta, per chi ancora non l’ha trovato o trovata, ci limitiamo a ‘sopravvivere’ occupando il tempo morto tra un’ambizione (materiale) e l’altra. Magari seduti sul divano scanalando con il telecomando.


© M. Invernizzi

Roba da film

In un marasma di trasmissioni e film, praticamente a tutti sarà allora capitato di imbattersi, almeno casualmente – anche se gli ‘aficionados’ sono parecchi, anche nel nostro piccolo Ticino –, in Maria De Filippi versione Cupido a presentare C’è posta per te. Con tanto di scenografie strappalacrime e quattro impavidi postini, al secolo Gianfranco Apicerni, Andrea Offredi, Marcello Mordino e Chiara Carcano, pronti a girare in bici tutt’Italia (o, almeno questo è quanto viene lasciato intendere ai telespettatori) per recapitare una missiva, d’amore, a una persona cara di cui si sono perse le tracce o con cui da tempo si sono chiusi i ponti, mentre il mittente se ne sta lì in studio in attesa di capire se quel messaggio avrà un seguito oppure no. Chi non si è sentito partecipe di questa trasmissione, calandosi almeno per qualche minuto nei panni di uno degli ospiti di Maria-Cupido? Oppure ha fatto il ‘tifo’ per far riscoccare una scintilla ormai spenta? D’accordo, sono storie che succedono altrove, in Italia, tanto vicina ma per certi versi anche tanto lontana, ma chi l’ha mai detto che qualcosa di simile non possa accadere anche da noi? Chissà, forse, se anche da noi ci fosse stata una trasmissione simile, magari con una Clarissa Tami in veste di Cupido-De Filippi, e un Luis Landrini oppure ancora un Fabrizio Casati versione Eddy Merckx pronto a pedalare su e giù per le strade della Svizzera con un messaggio d’amore da consegnare, la vicenda di cui andiamo a raccontarvi sarebbe approdata sugli schermi della nostra televisione, tenendoci un po’ tutti col fiato sospeso. A ben guardare, il nostro racconto somiglia più alla storia narrata da Nicholas Sparks in Le parole che non ti ho detto (Message in a Bottle, 1998), dove il Romeo in questione è Garrett Blake, oppure ancora il film Letters to Juliet di Gary Winick, con una giornalista che si imbatte in vecchie lettere d’amore e cerca di ricostruirne il mosaico.


© M. Invernizzi

Parole dal Verbano

Il nostrano Romeo, che così chiameremo per evidenti motivi, sceglie infatti di fare qualcosa di simile ai personaggi narrati da Sparks e Winick. Con non meno romanticismo (anzi!), di quelli che nella Penisola vanno appunto a bussare alla porta di Maria De Filippi. L’ambientazione è quella del Locarnese, ai tempi del coronavirus, in pieno lockdown. Dove tutto si ferma, e riaffiorano i pensieri, anche quelli a cui si era cercato di sfuggire. Così capita anche a lui, al nostro Romeo. Che in un remoto paesino del Locarnese si rigira nel letto pensando alla sua amata, colei che avrebbe voluto diventasse sua moglie (“Peccato che non si può tornare indietro a quel giorno e aver parlato di più, magari proprio qui (…), mentre passeggiando mano nella mano ti avrei chiesto di sposarmi”), ma che per ragioni a noi sconosciute l’ha respinto. Cosa sia successo nei dettagli Romeo non lo dice.
O meglio, non lo dice nella lettera a cui ha affidato le sue pene d’amore. Qualcosa però lo racconta a proposito della sua Giulietta. Si sa che lei è l’unica figlia femmina di una famiglia di un’altra etnia e che fuma, oltre a rivelarne la professione. Romeo racconta della sua amata (al passato e al presente), del suo amore ormai non più corrisposto (“hai portato nella mia vita tutto il tuo amore e così ho fatto anch’io”), di quella vita che sarebbe potuta essere assieme e della sua pena nel dimenticarla (“questo lockdown mi ha fatto riflettere e fermare un attimo, ma poi quando entro nel letto ti penso e inizio a piangere”). Ne nasce appunto una lettera, quattro pagine manoscritte su altrettanti fogli arancioni. Che poi infila in una bottiglia e affida all’acqua. Che, scorrendo, porta le sue pene d’amore fino al Lago Maggiore, dove viene rinvenuta, ben conservata, da un gruppo di giovani sportivi. Chissà cosa ha fatto sì che le strade di Romeo e Giulietta si separassero, e chissà se il disperato appello del primo, affidato all’acqua, arriverà mai alle orecchie e al cuore della sua amata. Le domande che riaffiorano assieme alla bottiglia dalle acque locarnesi sono tante, e nessuno, se non i diretti interessati, conoscerà mai la risposta. Ma in fondo è giusto anche così, che sul romanticismo e l’amore di ogni coppia cali un velo di privacy, sperando che il buon Cupido faccia il suo lavoro.


© M. Invernizzi

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