La strategia del ‘revenge dress’ (metti il caso che…)
Giugno 1994: Carlo ammette l’infedeltà nei confronti della moglie Diana. Lei, di tutto punto, tira fuori dall’armadio l’abito della rivincita. Che colpo!
Di Laura (la Ficcanaso)
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione
Un po’ come il greco e il latino (e come Beautiful), Lady Diana ci ha dato il metodo e le categorie per imparare a leggere il presente. Ed è proprio di una di quelle categorie, da Diana sommamente inaugurata e certamente codificata, che si è tornato a parlare nelle ultime settimane: il revenge dress, tornato in auge perché presente nella stagione di The Crown attualmente in corso di realizzazione.
L’espressione viene usata per descrivere un abito indossato da Diana alla festa della Serpentine Gallery nel 1994. Quella sera sarebbe andata in onda un’intervista al principe Carlo in cui lui ammetteva l’infedeltà di cui tutti sapevano. Pare che in occasione di quella festa Diana dovesse indossare un altro abito, di Valentino, e all’ultimo momento decise di cambiare dicendo al suo stylist che voleva assolutamente splendere. E lo fece, tirando fuori dall’armadio un abito di chiffon nero della stilista greca Christina Stambolian, ben sopra il ginocchio, con un piccolo strascico e soprattutto le spalle completamente scoperte, contro ogni cerimoniale di corte. Con quelle spalle scoperte Diana anticipava – attraverso una precisa scelta dal guardaroba – il terremoto che sarebbe culminato con la nota intervista alla BBC circa un anno dopo, quando definì il suo matrimonio “troppo affollato” decretando la rottura definitiva con la casa reale. Ora la domanda, che affligge noialtri meno famosi (e meno mitomani) di Diana che se la prendeva – nientemeno – con la monarchia britannica, è se anche nel guardaroba dei comuni mortali debba esistere un revenge dress. L’abito del riscatto, l’outfit per mostrarsi perfetti fuori anche se distrutti dentro e iniziare così una rinascita, petto in fuori e spalle scoperte verso la vita.
Le amiche interpellate dicono che nessuno merita il nostro rancore, che ci vestiamo per noi stesse, che non dobbiamo dimostrare niente a nessuno. Salvo poi rivelare infinite variazioni sul tema del revenge dress, con il cappotto da gran signora per tornare dal capo che ti ha licenziato, la cintura strettissima e il respiro trattenuto per chi ti ha mollata per una più magra. Per far fronte a tutto questo non vorremmo solo un revenge wardrobe con abiti e accessori di ogni taglia – la vendetta è un piatto che va servito freddo e non è detto che dall’inizio del pasto non si sia preso qualche chilo –, neppure uno stylist (abbiamo la pretesa di fare tutto bene da sole), ma un red carpet. Un contesto neutro, anche se a prova di flash, in cui metterci in mostra e arrivare preparate. Sempre meglio che incontrare qualche mostro del passato uscendo dall’autobus, quando l’unica vendetta a cui pensi è quella contro il signore che ti ha pestato un piede mentre arrancavi verso la porta.