Media e qualità. AAA pagine culturali cercansi

Hanno destato non poche perplessità i risultati emersi da un recente studio sulla qualità del giornalismo culturale commissionato da ‘ch-intercultur’. Perché?

Di Natascha Fioretti

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione.

“Naturalmente il giornalismo culturale non è scomparso del tutto, ma in un giornale come Le Temps oggi non ci sono più le due sezioni distinte Cultura e Società, due pagine la prima, cinque la seconda, ma un’unica sezione Cultura e Società composta al massimo da due pagine. In alcune testate invece la sezione Cultura è completamente scomparsa quasi a dire che non esiste più”, racconta il drammaturgo Antoine Jaccoud in un video proiettato durante la giornata dedicata dall’Associazione svizzera delle fondazioni (SwissFoundations; vedi nota in basso, ndr) alla crisi del giornalismo culturale tenutasi lo scorso 26 agosto. Alla sua si aggiungono altre testimonianze di chi lavora in ambito culturale, per esempio quella dello scrittore Daniel de Roulet: “In passato, quando pubblicavo un libro, in Francia potevo contare su quindici critiche letterarie e circa dieci recensioni in Svizzera. Oggi posso dirmi contento se escono tre recensioni in Francia e due in Svizzera. Recensioni che poi si somigliano tutte perché i giornalisti non hanno tempo e copiano l’uno dall’altro”.
Sulla questione interviene anche lo scrittore Fabiano Alborghetti “ci sono molti motivi, i giornalisti spesso non sono preparati, non sono più gli intellettuali di un tempo ma gli impiegati di una redazione”. Che il giornalismo culturale sia in crisi non è una novità, ne abbiamo parlato su queste pagine proprio qualche mese fa ma a riportare il tema in auge sono i risultati dello studio sulla qualità del giornalismo culturale commissionato da ch-intercultur al centro di ricerca dell’Università di Zurigo (Forschungszentrum für Öffentlichkeit und Gesellschaft) nel quadro della ricerca sulla qualità dei media (Jahrbuch Qualität der Medien). Risultati che Mark Eisenegger, presidente della Fondazione Kurt Imhof per la Qualità dei media e professore di sociologia e della sfera pubblica all’Università di Zurigo, ha presentato alla giornata delle Fondazioni e che tenterò di riassumere. Intanto la ricerca si basa sull’analisi di quasi 15mila articoli provenienti da 60 testate di informazione diverse. Emerge che le redazioni culturali e scientifiche sono state colpite da pesanti tagli minando di fatto la qualità dei contenuti e togliendo tempo alla ricerca sul campo. Dall’altra c’è stato un importante aumento della concentrazione mediatica che ha portato a una minore diversità dei contenuti e a una maggiore uniformità. Ci sono insomma meno giornalisti che producono contenuti che vengono poi distribuiti su diverse testate e piattaforme. In generale la qualità tiene, in particolare se consideriamo le testate più autorevoli come la Neue Zürcher Zeitung o i domenicali, ma si registra una sempre maggiore tendenza verso le soft news e dunque si predilige l’intrattenimento a scapito dell’approfondimento e cresce il giornalismo d’opinione.


© ch-intercultur
Ulrich Gut

Il solito copia-incolla

Per capire meglio abbiamo fatto qualche domanda al Presidente di ch-intercultur Ulrich Gut.
Signor Gut, si è meravigliato dei risultati o se li aspettava? 
“Dipende da quali aspetti della ricerca vogliamo sottolineare. Ci sono due punti fondamentali che emergono, il primo puramente quantitativo, ci dice che il numero degli articoli dedicati alla cultura negli ultimi dieci anni è rimasto stabile. Guardando invece più da vicino e dunque considerando la qualità dei testi vediamo che la critica culturale è vistosamente diminuita. Un dato che va letto considerando diversi fattori: a causa della concentrazione mediatica ci sono sempre meno redazioni indipendenti, si producono contenuti sempre più omogenei e meno diversificati. La crisi economica del giornalismo accentuata ora dalla pandemia ha inoltre ridotto le risorse portando nelle redazioni una grossa pressione economica e la necessità di ridurre i costi. Il giornalismo culturale così come il giornalismo scientifico sono stati colpiti da importanti misure di contenimento e tagli. Tutto questo si ripercuote sulla scena culturale e i suoi operatori che non trovano più spazio, visibilità e risonanza critica nei media”.
Perché si taglia tanto sulla cultura e non altrettanto, per esempio, nello sport? 
“Lo ha spiegato bene Matthias Zender, esperto di media e cofondatore di Bajour, quando durante il convegno ha posto l’accento sulla corsa dei media alla conquista dell’attenzione e dei click. Questa corsa porta a prediligere quei contenuti che puntano sulle emozioni, sugli aspetti sensazionalistici o sulla personalizzazione con una conseguente boulevardizzazione dei contenuti. Non credo vi sia una consapevole discriminazione della cultura, la pressione economica è forte su tutta la redazione che si impegna ad acquisire e a mantenere questo status dell’attenzione”. 
Settimana scorsa sui media ticinesi, proprio partendo dalla ricerca, si diceva che i portali gratuiti come ‘Tio’ e ‘20 Minuti’ avessero il primato del giornalismo culturale nella Svizzera italiana, non è un po’ strano? 
“La stessa cosa è successa in Svizzera romanda. Purtroppo la ricerca quantitativa non ci ha permesso di analizzare in modo esaustivo i contenuti dei singoli articoli classificandoli nei diversi generi. Si è usato un concetto di cultura molto ampio. In verità se si va a vedere, gli articoli di cultura sui portali gratuiti sono quasi sempre dei copia e incolla di notizie d’agenzia. Dunque su questo punto bisognerà tornare a fare un’analisi più approfondita”.
Delineato il quadro nel quale ci troviamo quali sono le prospettive per il giornalismo culturale in futuro?
“Sono d’accordo con Mark Eisenegger quando dice che in fatto di sovvenzioni dirette ai media dobbiamo osare di più. Dobbiamo sciogliere questo tabù per cui una sovvenzione diretta toglierebbe indipendenza agli editori e alle testate, per rendersi conto basta guardare il modello svedese. È notevole che l’Associazione delle fondazioni svizzere abbia deciso di investire un’intera giornata con ospiti d’eccezione per il giornalismo culturale, è un segnale importante. In futuro dovrebbero essere queste le due grandi risorse da cui attingere: le fondazioni e la mano pubblica. Mi sembra, se vogliamo evitare il peggio, che non vi siano altre alternative valide. Come ha detto il professore Eisenegger, il giornalismo culturale è vitale per una società coesa e integrata”.


© Ti-Press
Renato Martinoni

Meno soldi, meno pagine, informazioni simili

Tra i membri del comitato di ch-intercultur come antenna per la Svizzera italiana c’è Renato Martinoni, professore emerito di Letteratura italiana all’Università di San Gallo, anche a lui abbiamo posto qualche domanda. 
Professore, dove si informa generalmente quando è alla ricerca di articoli di cultura? Ha delle testate di riferimento per il cartaceo o la radio?
“Per il lavoro scientifico ricorro alle riviste specialistiche e ad alcuni siti online particolarmente affidabili. I quotidiani e la radio forniscono informazioni giornaliere, rapide, allargate, complementari. Per questo le rubriche culturali radiofoniche e le pagine dei giornali dedicate alla cultura restano fondamentali”.
Desidererebbe più spazio per la cultura nei media?
“Si sta assistendo a una riduzione non sempre motivata dei mezzi finanziari e umani destinati alla cultura. Parallelamente crescono nei quotidiani le pagine redazionali esterne, a pagamento, che informano nell’ottica di chi apre il borsello: è propaganda travestita da democrazia. Invece la cultura è luogo di libertà: di pensiero, di opinione, di espressione. Non è vero che la cultura sia tutta di sinistra (se in parte lo è, è solo perché la destra purtroppo tende a disprezzarla, per ignoranza o pregiudizio). Peggiora la situazione il fatto che, per ‘cultura’, oggi si intende tutto: a cominciare dallo spettacolo. Per la televisione, poi, ‘cultura’ sono anche i filmetti americani”. 
Nello studio si dice che a sparire dai media sia in particolare la critica. Ecco, quando si parla di letteratura cosa manca a suo avviso nel giornalismo di oggi?
“La critica appunto. Non da intendere nel senso dello sparare nel mucchio o di stare da una parte o dall’altra, ma di leggere i fatti con competenza e onestà, senza partigianeria. Il giornalismo culturale ha avuto la colpa, in passato, dell’elitarismo. Oggi a volte è frutto dell’occasione e non di rado è fatto dagli amici per gli amici. Troppe volte poi si limita alla cronaca, che pure è importante. Mancano invece l’approfondimento, la riflessione, il dibattito”. 
Nello studio si dice che tra i motivi di questa crisi ci sono in particolare la concentrazione mediatica che porta a una minore diversificazione e le risorse sempre più limitate di stampa e media in generale. Secondo Lei vale anche per il Ticino? Riscontra anche altri elementi? 
“I motivi della crisi sono appunto questi e ciò vale anche nel Ticino: nel senso che sono sparite alcune testate e quindi si è assistito a una concentrazione dei media. Cambiano i tempi e sarebbe ipocrita lamentarsi. Ma chi ama la pluralità non può non essere preoccupato. Credere poi che la cultura sia tempo perduto, a livello giornalistico, è errato anche in termini economici”.
Non è da oggi che si tende a tagliare sulla cultura e non, per esempio, sullo sport. Pensando al fatto che i media sono lo specchio della società, questo cosa ci dice?
“Non sono certo che all’ascoltatore e al lettore debba interessare davvero più un’intervista a uno sportivo che a un uomo di cultura. Semmai la cultura può dare fastidio perché non è semplice passatempo né ripetizione di cose rifritte”.
Lei crede nell’impegno di ch-intercultur nel fare da piattaforma per la Svizzera nell’intento di trovare nuove strade e riconquistare spazi e autorevolezza per il giornalismo culturale?
“Ch-intercultur è un gruppo di persone libere, di orientamenti diversi, con competenze differenti. Si sta impegnando per cercare di dare impulsi nuovi e complementari al giornalismo culturale. Lo fa organizzando incontri nelle varie regioni linguistiche della Svizzera per capire cosa si potrebbe fare seriamente. Non tanto come alternativa, ma come complemento alla situazione attuale. Sulla base dei riscontri e delle proprie riflessioni proporrà poi una via da seguire”.

NOTA: Creata nel 2001 come iniziativa comune di diversi partner, SwissFoundations (swissfoundations.ch) è la più importante associazione di fondazioni di pubblica utilità in Svizzera. È interessante notare che mentre nel Canton Zurigo se ne contano 55 e nella Svizzera romanda 47, in Ticino sono soltanto 6.


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Oggi i quotidiani a pagamento in Ticino sono rimasti solo due. Pochi decenni fa, invece…


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Pagine culturali? Secondo alcuni sì, per altri dei copia-incolla a scopo commerciale.

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