La seconda vita di Nina Colmegna

Lei la prima vita se l’è lasciata alle spalle. Oggi le sue giornate sono scandite da un profondo rapporto con la natura e l’arte.

Di Natascia Bandecchi

Ogni tic-tac è «un secondo della vita che passa, fugge e non si ripete. E in essa c’è tanta intensità e interesse che il problema è solo saperla vivere». Così diceva la pittrice Frida Kahlo, nota per la sua inequivocabile passione per la vita. Messico e l’arte di saper vivere la vita si respirano anche nei racconti di Nina Colmegna. «Sono divisa in due: il Messico rappresenta la mia parte più selvaggia, naturale, libera. A Lugano ci sono nata, ma mi rendo sempre più conto del fatto che qui si è spesso ingabbiati in quello che gli altri vogliono da noi, facendo fatica ad essere in contatto con sé stessi».

Condivisione

La casa di Nina è anche il suo laboratorio: scaffali pieni di vasetti colmi di calendula, petali di rosa essiccati, Tepezcohuite (una specie di mimosa messicana), patchouli e chi più ne ha più ne metta. La fragranza che si respira è garbata, mai invadente, e ricca di sfumature che ti accarezzano in un viaggio tra il mundo latino più sanguigno e quello in punta di piedi dell’Oriente. Dal mercato del sabato di Bellinzona a quello del martedì di Ascona, senza dimenticare Lugano a Pasqua e Natale. «Ho scelto la forma dei mercatini perché mi sento più libera: in un certo senso sei tu che vai a trovare la gente e, grazie ai profumi che sprigionano i saponi, non è difficile localizzarmi». Da dietro la bancarella, col tempo ha affinato l’arte dell’osservare le persone che arrivano da lei, captando quale essenza può, o meno, essere nelle corde di quella o quell’altra persona. «È bello quando il proprio lavoro è apprezzato. Sogno un giorno di lavorare in uno spazio di co-working dove sotto lo stesso tetto possano coesistere laboratori artigianali e altre attività che possano stimolare a vivere in maniera consapevole e responsabile».

Coraggio

Uscire dagli schemi e seguire quello che si sente nel profondo, anche nel proprio lavoro. Spesso si sente dire che chi lo fa è un outsider. Veramente è così? Inseguire una vocazione, un talento e farlo sbocciare in un mestiere che sì, non ti darà una cifra fissa ogni 25 del mese, ma quantomeno ti rende libero di esprimerti nella tua essenza. «Che cos’è il coraggio? Dove sei coraggioso e dove è vile fare quello che non senti dentro? È tremendo, per me non si tratta nemmeno di coraggio, è l’unico modo che conosco di vivere, non riuscirei a fare altrimenti». 
Nina ha sempre vissuto in una sorta di flusso naturale, accogliendo quello che la vita le porta. In questa corrente è arrivata un’onda impegnativa: «È stato il periodo che più mi ha fatto crescere e insegnato infinitamente. Mi sono resa conto di chi ero, delle possibilità che tutti abbiamo indistintamente, e di come tutti si possa essere di più di quello che ci sembrava di essere. I momenti duri sono i migliori per sviluppare consapevolezza». Nina rientra in Ticino con i suoi cinque bimbi nel 2005: il suo compagno e padre dei loro figli si ammala improvvisamente e con l’ultimo respiro d’aria messicana abbandona la vita dopo una lunga malattia. «Vivevamo in un rancho in un paesino arroccato a 3’000 metri di altezza». 
Nina non ha mai avuto il tempo di autocommiserarsi, ha dovuto rimettere insieme i pezzi della sua esistenza e dei suoi figli in poco tempo. «È stato incredibile, durante la malattia del mio compagno abbiamo avuto sostegno da tutta la comunità del posto e dalla famiglia, ci siamo sentiti protetti, amati, compresi. Tutto quello di cui avevamo bisogno in quel momento arrivava». Lo stesso calore Nina l’ha trovato di ritorno a Lugano.

Gratitudine

«Niente ti è dovuto, non sei nessuno, basta però un pizzico di gratitudine solo per il fatto che puoi respirare, che puoi vedere gli alberi, le montagne, il cielo anche se vivi in città». Questo è il modo di essere di Nina, che continua a raccontarsi mentre mi guarda con i suoi occhi trasparenti, quasi si potesse intravedere quello che pensa. «Il sentimento di essere semplicemente grato può muovere tanto». 
Cinque figli, un bella tribù… «I primi tempi eravamo un fenomeno da baraccone, andavamo a fare la spesa nei supermercati e la gente si fermava a guardarci: cinque scalmanati che parlavano spagnolo e indossavano argento vivo». Tutti battezzati seguendo un rituale Huichol, gli indigeni messicani tra i popoli di nativi americani più antichi e ancora esistenti. I loro nomi significano: fiore del sole, marea che va e viene ma torna sempre, fiore che sboccia, nuvola colorata e mais quando sta diventando maturo. «Grazie alla loro freschezza e meraviglia ho riscoperto il mio paese attraverso i loro occhi».

IL PERSONAGGIO

Nina Colmegna è nata a Lugano nel 1963. In realtà Nina è il suo secondo nome; Tina, il suo primo se l’è lasciato alle spalle. E va bene così. Le piace profondamente la natura e tutto quello che orbita intorno ad essa, a partire dai saponi e dagli oli essenziali che crea in casa artigianalmente con passione e dedizione. Ha 5 figli e un’esperienza di vita impegnativa, come preferisce definirla lei. Ha vissuto 15 anni in Messico, a due passi dal deserto Wirikuta nello Stato di San Luis Potosí. La fa vibrare l’arte nelle sue infinite declinazioni: dalla pittura alla letteratura, dalla scultura al teatro, che è stato sin da ragazza il suo grande amore. 

 

Articoli simili