Quella “fortuna” di Victoria

Una famiglia siriana, una guerra assurda e senza fine, una casa che non c’è più. Poi la dea bendata volge lo sguardo, questa volta dalla parte giusta

Di Roberto Antonini

Pubblichiamo un articolo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione.

Il romanzo autobiografico è a buon punto, ci vorrà un po’ di tempo ancora, qualche ritocco, le inevitabili correzioni, ma il titolo è già lì. Ed è certamente azzeccato: ‘Fortuna’. Victoria è credente cristiana-ortodossa di rito siriaco; e in fondo questo riferimento alla dea bendata, ci racconta, ha i contorni di un atto di fede. Fortuna era infatti considerata la Dea del caso e, soprattutto, del destino. Quello che le ha fatto incontrare due giornalisti e un cameramandella RSI. ʻNon lo dimenticherò mai, era il 19 maggio del 2017’.

Nel quartiere Al-Hamydiah nel centro di Homs (Siria) ridotto a un cumulo di macerie, una sola casa abitata, diroccata e traballante, perforata da centinaia di proiettili di obice. Lei, il fratello Firass, i genitori Essam e Norma costretti a vivere lì in un paesaggio di devastazione, in un deserto umano: i vicini fuggiti o uccisi. A Homs la guerra siriana è scoppiata con la sua furia distruttrice a inizio 2012 azzerando interi quartieri. Immagini spettrali, il panorama creato dall’odio non lascia dubbi: mors tua vita mea. Nella guerra tra esercito regolare e miliziani del movimento jihadista Al Nousra contava solo l’annientamento del nemico. La casa nella quale è cresciuta Victoria si trova proprio nella faglia sismica dello scontro fratricida dove non si sono fatti prigionieri. Sei vivo o morto: nessun compromesso, nessuna tregua. Nessuna pietà. Victoria conserva, ficcato nella mente, il ricordo di quel momento devastante in cui l’unica possibilità di sopravvivenza era la fuga precipitosa, il rifugio disperato nel villaggio di Kufrram. “Il 12 gennaio un missile Cobra esploso dalla moschea Khalid Ebn Al-Walleed ha colpito un carrarmato che transitava sotto casa”, racconta con un groppo in gola che sospende il racconto per qualche lungo attimo. 

La guerra che toglie

Victoria riprende fiato e ricorda che i 12 soldati feriti che il tank stava trasportando all’ospedale sono stati dilaniati dallo scoppio. In casa sparsi ovunque, fin su nella terrazza del terzo piano, brandelli di cadaveri. Quattro anni dopo, nel 2016, quando Victoria ormai quindicenne e la famiglia fanno ritorno a casa, il carrarmato è ancora lì; lo scheletro arrugginito di un mastodonte di ferro a ricordare la violenza della guerra. “Per un anno e mezzo non ho potuto andare a scuola” – ci racconta – e negli anni successivi i corsi erano più che saltuari in un edificio scolastico dalle pareti sbrecciate e ormai privo di finestre. Pochi allievi e qualche docente che ha avuto il coraggio di non fuggire o che l’angelo della morte ha risparmiato. “La guerra mi ha tolto otto anni di vita – Victoria trattiene il dolore, lo sguardo si fa duro – ma per mio padre Essam è stata più difficile, lui non si è rimesso dall’incubo. Mia mamma Norma è più forte, ci siamo dati forza, la forza della disperazione”. Il futuro incollato a quel panorama di devastazione che ha travolto la bella Homs, e che ancora oggi è immutato. E poi quel 19 maggio del 2017. “Oggi nessuno a Homs ci crede a quella storia, tutti pensano che abbiamo trovato un tesoro nascosto, magari dagli jihadisti”. 

Solidarietà mediatica

La storia, l’incontro con la dea bendata, è invece reale ed è presto raccontata. La troupe radio-televisiva tenta una raccolta fondi per ricostruire la casa della famiglia En Jabbour. Qualche e-mail, un po’ di telefonate, un appello sui social. Successo insperato: in poche settimane si supera la somma preventivata. Con l’equivalente del prezzo di una piccola utilitaria, a Homs la casa viene ricostruita. La generosità è un regalo abbagliante: la casa non basta per dare un futuro a quella famiglia così toccante nella sua umanità. La seconda raccolta fondi ha un obiettivo altrettanto ambizioso: portare Victoria in Ticino per farla studiare. Victoria, allora sedicenne, non ha dubbi: il suo sogno è l’architettura. Così potrà un giorno aiutare a ricostruire la sua martoriata città. La generosità di amici, colleghi, conoscenti in Ticino sembra non conoscere limiti. L’idea convince e in poco tempo ecco che sono raccolti i fondi necessari per darle un futuro all’USI. Subito si inserisce il sostegno dell’Associazione degli Amici dell’Accademia di Mendrisio e il “miracolo” si avvera. La fortuna o il destino, per Victoria è la manifestazione della volontà di Dio. Allah, il Dio dei cristiani, sì proprio lo stesso di quello dei musulmani. Trascorso un anno a Mendrisio, lo scorso 10 settembre, chi scrive queste righe riceve un sms imbottito di gioia: “I did it”. 


© Ti-Press / Elia Bianchi

Segnali di luce

Victoria ce l’ha fatta, ha passato gli esami. Nulla era scontato per una ragazza vittima della guerra, orfana del suo paese. Potrà così rimanere qui da noi. “I fell in love with the accademia” ci racconta felice. Il suo italiano è ancora approssimativo, ha avuto difficoltà nelle materie umanistiche, ma caparbietà e volontà d’animo hanno supplito alle lacune. “Ero terrorizzata all’idea di fallire”, ma anche grazie al personale dell’Accademia – Victoria snocciola i nomi di chi l’ha aiutata a cominciare dalla professoressa Mia Hägg “più che una docente” – ora può continuare a sognare: “Mi trovo benissimo a Mendrisio” anche se le rimane incollata addosso la nostalgia di casa, della famiglia, degli amici a cominciare dalla migliore, Nour Haddad. “Nour” precisa Victoria, che in arabo significa luce. Un nome che sembra segnare un destino. La Fortuna, appunto. La fortuna con tutti i suoi insondabili misteri.  

 

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