United Roads of America. West Virginia, elegia dei bianchi poveri

La Contea di McDowell è la più povera dello Stato. Qui il reddito è un quarto della media nazionale. C’è poco da sorridere, mancano persino i denti

Di Emiliano Bos

Pubblichiamo un articolo apparso sabato su Ticino7, allegato a laRegione.

“Cos’è un giornalista?”, chiede la bimba di 9 anni. Non ha mai visto un reporter da queste parti. È la quarta di sei figli. Sua mamma, Tabatha Harrison, zigomi ruvidi che incorniciano un volto indurito dalla fatica, tiene i gomiti appoggiati sulla balaustra di un prefabbricato diventato casa. Oggi non lavora questa madre esausta. Di impieghi, ne ha due. È la cassiera del grocery store, l’emporio al di là dall’incrocio in questo desolato Far West, in realtà così vicino all’East Coast e alle sue città luminose. Ma pure lontano anni-luce. Si è trasferita qui due lustri fa, dopo il divorzio. Nel 2019 è riuscita ad acquistare questa mobile home che da casa mobile è diventata fissa, perché lei non può permettersene una vera. I due figli più piccoli – 3 e 5 anni – corrono dietro a un bastardino scuro e a un paio di altri trovatelli. “Diamo loro un po’ di cibo”. Riesce persino ad aiutare i cani randagi Tabatha. Ruota intorno alla sua cocciuta tenacia questo microcosmo di povertà. Altrimenti la famiglia andrebbe a rotoli. Un parente con disagio mentale vive nel prefabbricato antistante. Lo condivide col padre, l’ex suocero di Tabatha, sprofondato in una sedia a rotelle con una sigaretta accesa. Accanto a loro abita Clara, una cugina che tiene in mano una mascherina rosa con lo slogan “Donne per Trump”. Non la indossa. Si lamenta però che l’ex presidente non le abbia inviato il sostegno economico anticrisi ai tempi del Covid. “Eppure il mio fidanzato è diabetico, avrebbe bisogno di contributi”. Tabatha, invece, sa benissimo che per ora se la deve cavare da sola. Anche se probabilmente riceverà gli aiuti federali. “Se non mi prendo cura io dei miei figli, non lo fa di certo il governo”. Sembra un personaggio uscito da Hillbilly Elegy di J.D. Vance, il canto malinconico dei bianchi poveri dell’Appalachia. Hillbilly, montanari. Redneck, colli scottati dal sole. “Forgotten” , trascurati. Avevano riposto le speranze in Donald Trump. “Non sono repubblicana né democratica”, assicura Tabatha. “Ma continuo a sostenerlo”. 


© E. Bos
Il ʻcollo di giraffaʼ, il nastro trasportatore che si allunga dallʼaltra parte della valle per trasportare il carbone per il carico sui vagoni dei treni merci.

Quasi Inferno, senza sorriso 

West Virginia “almost heaven”, cantava John Denver. Quasi il paradiso. Ma qui è quasi l’inferno. In fondo alle classifiche per reddito, in cima – o sul podio – col 93% di popolazione “non ispanica”, come le statistiche definiscono i bianchi con un giro di parole per scansare il razzismo. Qui nella contea di McDowell, la più povera della West Virginia, il reddito medio è inferiore ai 15mila dollari all’anno. Un quarto della media nazionale. C’è poco da sorridere. Mancano persino i denti. Statistiche impietose in uno Stato tra i peggiori per l’assistenza sanitaria. In particolare quella dentistica. Un deficit di cure che in anni recenti ha attirato persino l’attenzione del Relatore speciale dell’Onu sulla povertà estrema e i diritti umani. “Spreconi, perdenti e sempre pronti a sfruttare gli aiuti sociali, ecco come vengono descritti i poveri” , annotava Philip Alston nel suo rapporto del 2018, citando le percezioni stereotipate sugli americani indigenti. Invece qui sono resilienti. Come Tabatha e i suoi sei figli. O come la signora Cheryl, sua vicina di “casa” , una costruzione un po’ disordinata con un piccolo giardino. È nonna di due nipotini di un anno e mezzo e tre anni. Da poco è anche la loro mamma. “Li ho adottati ufficialmente perché mio figlio li ha abbandonati, ha problemi di tossicodipendenza”, mi spiega. Per fortuna, aggiunge, non è morto di overdose. La devastante epidemia di stupefacenti qui ha falcidiato intere generazioni. Lungo gli Appalachi – l’Appennino minerario di questa parte d’America – gli oppiacei hanno scavato gallerie più profonde dei giacimenti di carbone.  


© E. Bos
Clara mostra la sua mascherina con il logo delle ʻDonne per Trumpʼ.

Le tre bandiere  

Clara, la cugina, mi mostra la sua semiabitazione. All’ingresso di questo trailer home parcheggiato tra l’erba e qualche copertone d’auto sventolano tre bandiere: quella Confederata, Trump in versione Rambo col mitra in mano e il drappo a stelle&strisce. Una venerazione quasi mistica per l’ex presidente. Come una Madonna di Lourdes sul comodino, ma le acque di questa terra maledetta non producono miracoli. Solo malattie, per l’alto tasso di inquinamento provocato da decenni di sfruttamento forsennato delle miniere. Clara il sorriso l’ha perso da un pezzo. Quella dentatura precaria e invecchiata precocemente è la conferma delle statistiche. “Vedi le infiltrazioni? Mi servono soldi per sistemarle”. Clara – come Tabatha – riceverà i contributi voluti dall’amministrazione Biden per rilanciare l’economia durante il Covid-19. E fa nulla se i soldi stavolta arrivano dai democratici. Il contributo precedente è stato versato da Trump-Rambo, che svolazza pure dal portico di Tabatha, affiancato, di nuovo, dal vessillo confederato. “Io con quei soldi ho comprato un’auto usata” , ridacchia la mamma di Clara, voce rauca da fumatrice e bestemmie contro il potere. “Altrimenti qui non ti muovi. Noi siamo dimenticati”. Torna il refrain, la sensazione di abbandono: bianchi, cristiani, reietti. La resurrezione sociale promessa da Trump non è mai arrivata. I presidenti passano, queste famiglie restano nel loro sepolcro di miseria. Per descriverle, ci vorrebbe l’obiettivo di Walker Evans, il fotografo capace di cristallizzare il presente come se fosse già passato, con gli scatti memorabili sullo sconquasso sociale della Grande Depressione. Che qui sembra ancora in corso.  


© E. Bos
Jerry Grabtree, ex dipendente pubblico. Oggi è guardiano di una miniera in disuso che potrebbe riaprire.

Il guardiano della miniera 

Saluto Tabatha e il suo accampamento familiare. Desolazione e cordialità ti restano appiccicate addosso. La strada s’attorciglia lungo il fiume Tug Fork, il Kentucky è qualche montagna più in là. Percorro la Statale 83, un susseguirsi di curve sul plateau impervio con queste colline stuprate dai vandali dell’energia fossile. Villaggi con nomi impossibili da dimenticare: English, Excelsior, Cucumber, Yukon. Arrivo a War, la sola località in tutti gli USA che si chiama proprio così, “guerra” , dal nome di un ruscello e della relativa battaglia tra i nativi e chi voleva cacciarli. “Ti accompagno dalla proprietaria dell’unico bar; è un’enciclopedia vivente. Sa tutto di questo paese”, mi promette Jerry Grabtree, salopette di jeans e un sorriso stavolta tutto intero. Il bar però ha già chiuso. Ci pensa Jerry, piglio da trovatore occitanico e conoscenza wikipedica della storia locale. Ha lavorato per una vita come assistente del sindaco in un comune vicino. Oggi pensionato, è il custode di una miniera per ora in disuso, quasi nascosta in una stretta gola. Un nastro trasportatore arrugginito si erge come il collo di una giraffa protesa verso la ferrovia dall’altro lato della montagna. Quando li vedi transitare, questi convogli di vagoni sono lunghi oltre mezzo chilometro. L’intera contea – assicura il custode – vive e muore intorno al carbone. “Se chiude una miniera, spariscono i posti di lavoro”. Questa, spera, riaprirà presto. Riparto su una strada tra i boschi sventrati. Take me home, country roads.


© E. Bos
Una motrice dismessa lungo la Statale 16 che porta verso la Virginia, in una zona di miniere di carbone.

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