Moda e riuso. I giovani negli armadi di famiglia

Davide e Gaia si raccontano: come e perché alle solite vetrine in centro e ai centri commerciali preferiscono le soffitte e gli abiti di mamma e papà?

Di Marisa Gorza

Pubblichiamo un articolo apparso sabato su Ticino7, allegato a laRegione.

Riuso, riciclo, riutilizzo, recupero. Sono tanti i modi di chiamare un’antica consuetudine che, a causa del consumismo e della snobistica mania “usa e getta”, si era perduta nel tempo. Ora felicemente ritrovata. Il reimpiego di abiti e capi-spalla con più decadi sulle trame è diventato di grande attualità. Anzi, un vero e proprio fenomeno di costume. Basti pensare che se nel biennio 2019-2020 il comparto moda, anche a seguito del Covid-19 e conseguenti lockdown, ha subito grandi perdite, quello del riuso di abbigliamento, debitamente commercializzato, ha avuto invece una crescita con cifre a molti zeri.

Il mondo del lusso si è dimostrato pronto ad accogliere il trend con sempre maggior partecipazione. Infatti, le case con lunga esperienza alle spalle (da Dior a Hermès, da Fendi a Pucci e altri ancora) recuperano i propri pezzi più iconici per rimetterli sul mercato con un valore aggiunto. Si tratta del riconoscimento e della rivalutazione dei propri articoli che a distanza di decenni sottolineano la qualità dei materiali e della fattura del capo, diventato un classico intramontabile. Il fenomeno in sé, specialmente per quanto riguarda i capi di alta moda, è il noto vintage, termine rubato all’enologia per indicare il vino d’annata reso pregiato dall’invecchiamento.  Nell’accezione moderna indica un oggetto di culto, unico e fuori produzione, comunque datato e già utilizzato. Ma se il vintage o seconda mano di lusso coinvolge il mondo del business sotto varie forme – dalle boutique ai negozi specializzati, dai mercatini al commercio online –, in questo complicato momento storico sembra molto stuzzicante il bonario riuso fatto in casa e che non costa un centesimo. Al contrario, ci fa risparmiare. Inoltre, l’indossare due volte o più la stessa toilette, invece di suscitare disagio, è diventato indice di sensibilità verso l’ambiente e verso il prossimo.

Un fenomeno dinamico che affascina i ragazzi

Quello del riuso è un fenomeno ancora più vivace e dinamico quando coinvolge giovani e giovanissimi. Molti ragazzi si divertono a frugare negli armadi dei genitori, delle zie o addirittura nel baule della nonna in cerca di sogni e di allure. Osservando quello che avviene “per strada” pare in verità di notare che i teenager non abbandonano i jeans sfilacciati, i pantaloni combat dalle mille tasche e le felpe logate con caratteri cubitali. Magari gli irrinunciabili pantaloni in blue denim non hanno più la cintura bassa con l’intimo in bella vista (e meno male), al contrario il punto vita tende a salire altissimo e abbottonato con fogge largotte intorno ai fianchi chiamate boyfriend o mom, uguali a quelle dei tempi dello storico serial Happy Days. Sostituiti spesso dalle fanciulle con lucidissimi leggings seconda pelle, copiati al look anni Ottanta. Ma quelli più creativi e originali, quelli con una gran voglia di rifuggire dalla noiosa omologazione, magari con una visione estetica indipendente, hanno scoperto che il capospalla sartoriale del babbo aggiunge un tocco personalissimo all’insieme. Malgrado i dettami di Marie Kondo – la guru giapponese della drastica riduzione del guardaroba e le relative teorie sui benefici del decluttering –, gli armadi di famiglia continuano a traboccare di abiti che aspettano di essere scoperti. Del resto, è molto etica e perfino poetica la filosofia di utilizzare un oggetto al massimo delle sue potenzialità. Così mi rivolgo a due giovani dal vissuto e dalle personalità diverse, per sapere cosa li spinge a prediligere dei capi già indossati…

Davide e il giubbotto motard di papà

Davide Copes è uno studente ventenne di bell’aspetto. Educato e riservato, dichiara di non essere per niente interessato alla moda o ai marchi che vanno per la maggiore tra i suoi coetanei.  Tuttavia, ha sempre apprezzato i capi sartoriali che gli strizzano l’occhio dal guardaroba del padre, da lui definito un raffinato esteta. Così sopra un semplice e basico paio di jeans, spesso e volentieri ci infila il blazer blu di papà, il golfone con tanti bottoni in pelle o l’iconico Montgomery. Mentre con la bella stagione prende in prestito dal nonno le camicie di seta. Ma la sua passione, però, è un grintoso giubbotto motard in cuoio corposo, testimone delle escursioni paterne sulla motocicletta. Ma questi capi li indossi per seguire una tendenza del momento? ʻPer niente – mi risponde – come ho già detto non seguo le mode omologate, ma il mio gusto spontaneoʼ. Come mai ora indossi una felpa con grande logo in bella vista? ʻVeramente questa è di mio fratello Luca, lui sì che è un grande estimatore di brand modaioli!ʼ.

Gaia e la passione per il mix & match

Al contrario di Davide, Gaia Vignati, di pochi anni più grande, è un’appassionata di moda, tant’è che lavora come venditrice presso show room di firme famose. Viso intenso, fisico slanciato, temperamento esuberante, si entusiasma parlandomi delle sensazioni che le regalano i vestiti, specialmente quelli che hanno una storia da raccontare. ʻPer questo preferisco i capi «rubati» dagli armadi a quelli dei campionari nuovi, meglio ancora se provengono dalla mia famiglia, anche se non disdegno i punti vendita vintage – afferma –, poiché nel percepire gli stati dʼanimo di chi li ha indossati prima di me, mi arricchisco di emozioniʼ. Gaia è una miniera di suggerimenti su come attualizzare i capi d’antan. Per esempio, di una giacca di suo padre dal rigoroso aplomb ne fa un abito sexy strizzandola in vita con una cintura di Zara e abbinandovi una calzamaglia colorata al neon. Porta con nonchalance anche un abito couture della mamma sdrammatizzato calzando anfibi dai dettagli metallizzati o le sneakers. E che dire dello smoking del nonno diventato tutto suo con il tocco della lingerie di seta che sbuca dal bavero o del giaccone di papà in pregiata pelle, infilato sulla aderente tutina di Bershka? Che l’importante è saper mixare, mixare, mixare: ecco il segreto del refashion.

 

 

Articoli simili