Avventure in Marocco

Quattro giovani ticinesi raccontano il loro viaggio: dalle valli alpine verso i colori e la gente del continente africano (quando tutto ciò era ancora possibile)

Di Samantha Ghisla

Pubblichiamo un contributo apparso in Ticino7, allegato del sabato a laRegione.

Ogni racconto ha un protagonista, e in questo caso non ci sono dubbi su chi sia. Si tratta di Erwin. Ci sono sue foto appese al muro, assieme ad amici, ma anche agli ex proprietari. È infatti merito di Erwin se Tifu e Sabrina, assieme ad Alessio e Oddvar, hanno potuto percorrere 3’500 chilometri in occasione di un viaggio durato un mese e partito dall’Alto Ticino. Meta? Il Marocco, dove i quattro giovani ticinesi (due bleniesi e due leventinesi) hanno affrontato strade sterrate, dune del deserto e alte montagne a bordo di due mezzi pesanti. Uno, Erwin, è un Unimog U1250 Doka, un ex veicolo da lavoro poi trasformato con l’aggiunta di una cabina abitativa che permette di dormirvi a bordo. “Lo utilizzo solo quando intendo dormirci dentro, altrimenti non siamo soliti fare dei giri”, racconta Tifu. L’altro è un camion dell’83 trasformato dal suo proprietario Alessio, anch’esso reso compatibile con la possibilità di diventare una casa. Dimenticate però l’idea che potrebbe venirvi di un camper. Questi mezzi permettono di affrontare vari tipi di terreni, anche i più dissestati.


© Sabrina Binda

Verso l’Africa

Come spesso capita, anche in questo caso l’avventura nasce da un cambiamento di programma. Scartate le idee iniziali a causa di problemi meccanici, il Marocco diventa la destinazione dei quattro amici, nessuno dei quali aveva fino a quel momento affrontato un viaggio simile, al di fuori dell’Europa e con difficoltà tecniche notevoli. Lasciato il Ticino per raggiungere Genova, i due mezzi pesanti vengono traghettati dall’altra parte del Mar Mediterraneo: un tragitto di due giorni e due notti con la mente proiettata su quello che sarà, sul programma elaborato, sulle mete e sulle distanze da percorrere, pronti però ad adattare di volta in volta il viaggio quando necessario. Già sul traghetto giungono consigli utili da parte di un marocchino che fa la traversata con loro e con il quale nasce un bel legame. Aissa spiega loro quale sia l’itinerario più idoneo da percorrere, evitando di toccare zone potenzialmente rischiose.
Si tratta del primo esempio di come non solo i luoghi ma anche le persone incrociate sul cammino segnino il viaggio. A cominciare dai molti bambini incontrati sulla strada. “Sono abituati a vedere turisti e chiedono di ricevere qualcosa in regalo”, spiega Sabrina. Se nelle zone rurali o di montagna vogliono vestiti, penne e altri oggetti, nelle città la richiesta è ben più mirata e punta ad ottenere dei soldi. “Abbiamo portato penne, carta, colori, cioccolato, vecchi giochi. Alcuni bambini erano davvero contentissimi, in altri casi i gruppi di ragazzini erano numerosi e potevano diventare molto insistenti. In particolare nelle città quello che si donava non era mai abbastanza”, aggiunge.
In alcune occasioni gli incontri umani lasciano il segno, come nel caso della famiglia che invita i quattro svizzeri a casa, dopo che i viaggiatori chiedono delle indicazioni stradali a un uomo e donano del cioccolato militare alla figlia. “Eravamo in un paesino. Ci hanno offerto pane, olio, tè, olive, tutto coltivato o prodotto da loro e abbiamo anche scattato una foto ricordo scambiandoci i numeri di telefono – racconta Tifu -. In quell’occasione ho sfoggiato il mio telefono, che in realtà ha già qualche anno di vita; pure loro avevano uno smartphone, ma rispetto al mio era condiviso con tutta la famiglia…”. Anche Aissa li invita a casa sua. Poiché il nuovo itinerario passa poco lontano, i quattro amici accettano e si trovano accolti con molto calore. “L’ospitalità è stata impressionante – ricordano -. Non solo ci aveva aiutato spiegandoci come affrontare la dogana appena sbarcati a Tangeri e offrendoci un panino quella sera. A casa sua ci ha portato a fare una lunga gita in barca e poi ci ha offerto il pranzo”. La tavola era imbandita: “Volete le posate?”. Ma i turisti ticinesi vogliono vivere appieno l’esperienza e così mangiano anche loro con le mani il delizioso pesce ripieno, dopo che ciascuno se le lava grazie alla brocca d’acqua, al sapone, al catino e all’asciugamano che vengono portati a tutti i commensali. “Da bere c’era l’acqua del pozzo… ci siamo guardati e l’abbiamo bevuta”. Ma nonostante il timore nessuno è stato male.


Lungo le gole del Dadès – © Sabrina Binda

Le sfide insegnano

Il viaggio in Marocco, ci confida Tifu, è stata un’esperienza importante. Qual è stato uno degli insegnamenti più grandi? “Non avevano niente ed erano contenti, soprattutto nei paesini”. Un esempio concreto è il gestore di un campeggio, uno dei tanti in cui i ticinesi si sono fermati per la notte. “Ci ha detto che l’ha costruito con le sue mani nel giro di 8 anni, che lui ha calcolato in paia di pantaloni consumati: tre. Avevamo appena varcato un passo a quasi 3’000 metri di quota e stavamo cercando un posto dove fermarci prima che diventasse buio. Abbiamo trovato questo campeggio, dove il proprietario ci ha accolto in cucina assieme ad altri due ospiti. Abbiamo mangiato attorno ai fornelli per stare al caldo, con il piatto in mano. Se non fosse stato per noi, lui non avrebbe “sprecato” legna per accendere il fuoco. E si è trattato della notte più fredda di tutto il viaggio. Di fuori al mattino c’erano 8 gradi sotto zero. Quell’uomo ci ha offerto tutto quello che aveva, il giorno dopo ha anche insistito per accompagnarci a visitare una cascata e delle grotte”.
Sabrina, unica donna del gruppo, spiega che ci sono stati anche dei momenti difficili. “Non è scontato pensare di dover convivere 24 ore su 24 per un mese intero. Ma poi, una volta concluso il viaggio, ti rendi conto che sei riuscita a superare anche le difficoltà e si tratta di un grande insegnamento che ti porti a casa”. E Tifu aggiunge: “Quando sono tornato al lavoro ho continuato a viaggiare con la mente in queste vacanze per almeno 4 mesi. Domani partirei di nuovo”. In effetti sul finale dell’articolo avremmo voluto fare un accenno al loro nuovo viaggio, che sarebbe dovuto partire nel mese di maggio e li avrebbe portati a esplorare la Tunisia, sempre a bordo di Erwin. A causa della situazione generata dal coronavirus, però, Erwin rimane posteggiato. E in un orecchio ci ha detto che anche lui, di notte, sogna le prossime strade impolverate da percorrere.


Erwin, l’Unimog, si gode il panorama africano – © Sabrina Binda

L’UOMO E LA MACCHINA

L’Unimog è un veicolo confortevole in cui dormire, assicurano i nostri interlocutori, che durante il viaggio svoltosi dal 15 dicembre 2018 al 15 gennaio 2019 hanno sempre pernottato dentro il mezzo seppur fermandosi ogni volta nei campeggi. Ben isolato, con il riscaldamento e con il pavimento in sughero, è vietato entrarci con le scarpe “proprio come se si trattasse di una casa” spiega Tifu, che si occupa personalmente della pulizia meticolosa. Lo spazio ristretto impone inoltre una certa organizzazione. Dal Ticino su Erwin sono stati caricati 300 litri di acqua potabile per i servizi igienici e la cucina, ma ne è avanzata circa un terzo. Poco prima della partenza pure Sabrina ha fatto la patente per poter guidare questo genere di veicolo nel caso in cui avesse dovuto sostituire Tifu al volante. Un veicolo pesante anche per il genere di guida, dovendo salire di peso sulla frizione per poter cambiare marcia. Di fatto, aggiunge il suo proprietario, è come se Erwin fosse in pensione dopo tanti anni di lavoro durante i quali aveva percorso 150mila chilometri e veniva utilizzato come base per una gru. Per scoprire le avventure sul blog di Alessio visita saureradventure.ch.

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