Brunori & noi (alla ricerca di un’identità)

Nel suo ultimo album il cantautore tenta la via del manifesto generazionale. Funziona sì e no, ma almeno ci salva dalla stronzaggine che monta in giro.

Di Lorenzo Erroi

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7.

L’ultimo disco di Brunori Sas ha tutto quello che serve per diventare un manifesto generazionale, nonostante – o forse grazie a –
un’esplicita rivendicazione della sua leggerezza pop: «Stanotte voglio stare un po’ leggero» canta quasi subito. È proprio questo che impedisce a Cip! di essere un capolavoro, come lo fu il precedente A casa tutto bene: perché, d’accordo, è una gioia fischiettare tutti insieme e sentirsi buoni, ma poi?

Fronti opposti

L’arruolamento avviene fin dai primi due versi della prima canzone: «Il mondo si divide fra chi pensa che i violenti debbano essere trattati con violenza / e chi pensa che con la violenza invece non si ottenga nient’altro che violenza».

Il noi-contro-loro qua è subito esplicito: da una parte «noi» quarantenni cosmopoliti, progressisti, coi nostri vinili di De Gregori, le Birkenstock, la maglietta di Emergency e l’ultimo Internazionale posato accanto al cesso, vicino alle candele fair trade. Dall’altra «loro», i rabbiosi, i razzisti, quelli che «parlano come mangiano / e infatti mangiano molto male», che pensano che «i falliti debbano essere trattati come tali», che «fanno finta di non sapere che si tratta di uomini».

Uno ascolta una cosa così e si sente subito dalla parte giusta della storia, come quando leggi i titoloni di Repubblica che sembrano fatti apposta per ripeterti a oltranza: noi siamo i buoni (e sembra scappato da un editoriale di Saviano il gesucristo «perso nel Mediterraneo su una barca in mezzo al mare / a portare un po’ di fiori sulla tomba di suo padre», forse il distico più scontato di tutto l’album).

Va anche bene così, per carità: ogni tanto ci sta contarsi («Prendimi la mano e andiamo / verso un mondo più lontano»); ricordarsi che l’alternativa al presunto buonismo è una sistematica, corrosiva stronzaggine; che «il soffio del vento che un tempo portava il polline al fiore / ora porta spavento, spavento e dolore». Solo che a volte ti assale il dubbio: non ci staremo cantando addosso?

Rientrare (in partita)

Ma in fondo è utile non sentirsi soli, sentire qualcuno che canta le tue stesse paure: quella di chi vede i genitori invecchiare – «e adesso c’è pure tuo padre che è sempre più assente / forse è questione d’età forse non ci sente» – e nel frattempo teme di non aver combinato nulla, stempiato dalla vita e con un brillante futuro dietro alle spalle. «Capita così», ti dice Brunori, e quel sospiro di sollievo un po’ te lo doveva, dopo la notte insonne che hai passato l’altra volta a sentire l’amara ‘Verità’ («Passi tutto il giorno a disegnare / quella barchetta ferma in mezzo al mare / e non ti butti mai»). È da qui che si sdipanano i solchi migliori di Cip!, anche quando il sollievo si rivela solo apparente:
«Ti senti piccolo, minuscolo / ti senti ridicolo», «stai pisciando controvento» e forse «oramai è troppo tardi» («ma non eri tu che il bello della vita / è riuscire a rientrare in partita?»).

Ci abbiamo messo quarant’anni per intravedere i primi bagliori di maturità, qualcosa si inizia a capirlo, e il miglior cantautore sulla piazza si conferma tale perché lo sa raccontare: «La tua storia personale è una grande cazzata e lo sai / è soltanto una scatola vuota riempita di vecchie versioni di te / che non servono più, / che non sei neanche tu».

Per chi verrà

Così come sa raccontare il bisogno di semplicità, magari intuito in quei bambini che un tempo odiavi, e ora ti commuovono (quasi) tutti: «Bello appare il mondo agli occhi di Francesco / coi baci della nonna e il panino fresco fresco». E proprio da loro viene fuori il brano più bello, l’ultimo di tutti, «Quelli che arriveranno». Al pianoforte Brunori tira fuori un po’ di «Buonanotte, fiorellino» e un po’ di «Donna cannone», con Achille che «pensa alla mamma, chissà come piangerà / Achille che sente un vento dentro al petto che prima arriva e poi se ne va», e pensa «al mondo come sarà»: chissà se quelli che arriveranno avranno «le solite gambe, le solite braccia, le solite facce, / ma chiuso nel petto magari un cuore più grande».

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Bonus track / Ridersi addosso

Va detto che Brunori si sa anche ridere addosso: è consapevole dei tic e delle fisime di noialtri «radical chic» di mezz’età, e ci gioca. Come nel video che ha appena girato insieme alla comica romana Michela Giraud, nei panni della signora Saltimbanca, una consulente social che cerca di svecchiare il povero cantautore e il suo Instagram che sembra «quello del Cimitero Monumentale, fermata lilla» (lo si trova sulle pagine dello stesso Brunori e su YouTube). «Cambiare tutto qua! ‘Sta pianola, via! ‘Sto bonsai pure! Non sono Sai Baba… Ci manca solo l’Unità appesa alle pareti!». «Ma questo è il mio bonsai, il mio piccolo Sandro Pertini!», protesta il Darione calabrese, e sussurra in giapponese alla piantina. «Perché è venuta qui a rovinare il mio piccolo ecosistema brunoriano?».
Ce n’è anche per i suoi fan – «i miei piccoli pettirossi» – secondo Giraud «altrimenti dette delle persone inabili alla vita, questa è gente che va menata…». Gustosa la scena nella quale Brunori confonde la trap (intesa come musica supergiovane) col Trap (inteso come allenatore), un hashtag con un diesis, e cerca il profilo di Rihanna con le bifocali calate sul naso, digitando sullo smartphone come un ottantenne: «Ma che
non sai scrivere Rihanna?». «No, però conosco a memoria il Cinque Maggio!». 

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