Bettina Pfister corre veloce (altro che roba da maschi)
Al mondo delle due ruote si è affacciata tardi, ma una volta salita in sella è diventato impossibile scendere. Anche se non è tutto rose e fiori
Di Marzio Mellini
Pubblichiamo un articolo apparso sabato su Ticino7, allegato a laRegione.
I suoni e le vibrazioni che trasmette il motore sono la colonna sonora della sua vita, prima col ʻcinquantinoʼ da cross, oggi con le grosse ʻmilleʼ sui circuiti del Campionato italiano. Ma per la ticinese, classe 1987, seppur fra molte difficoltà, la voglia di correre è sempre vivissima. Anche perché nel cassetto sogni e speranze non mancano di certo.
Al mondo delle due ruote si è affacciata tardi, ma una volta sbocciato quell’amore lì, diventa difficile farne a meno. Arduo impostare la propria vita senza una moto a fare da filo conduttore tra il passato della ragazzina che faceva motocross in sella a un “cinquantino” Aprilia, il primo amore meccanico, e il presente di una donna fedele alla Yamaha, impegnata nel Campionato italiano classe 1000. Bettina Pfister non ne vuole sapere di riporre ambizioni e sogni in quel cassetto dal quale li ha tirati fuori sfidando l’ansia e i timori (legittimi) della famiglia. E forse anche qualche pregiudizio duro a morire.
34 anni, bachelor in Ingegneria meccanica, un master da cercare nell’ambito dei motori per poi farne una professione, Bettina fa ancora i conti con la passione ereditata dal papà innamorato del motocross che l’ha introdotta a olio, cilindri e cavalli nel garage di casa, l’officina dei sogni, diventati realtà con “passione, grinta, testa e concentrazione”, ci confida, salvo poi aggiungere “determinazione e soprattutto preparazione, una preparazione specifica che fa la differenza”.
L’ultima gara? No dai…
Eccola, la piena consapevolezza di una donna che è entrata con piglio deciso in una realtà per lo più declinata al maschile, nella quale si è guadagnata a suon di personalità e di risultati le gratificazioni che l’hanno accompagnata lungo un percorso non ancora giunto al capolinea. Gli ostacoli, naturalmente, non sono mancati. Di traverso, poi, si è messa anche la pandemia. Il programma si è ridotto, i mezzi sono limitati (non manca chi la sostiene ma non può contare su grandi sponsorizzazioni). Il passaggio a una cilindrata inferiore (300 cc) è stato divertente, “ma non intendo farmi battere dal Covid – puntualizza -. Quest’anno non disputerò un intero campionato, ma cercherò delle wild card (inviti, ndr) per qualche appuntamento di prestigio”. Nel campionato italiano, la sua realtà sin dagli inizi da centauro. Foss’anche l’ultima gara che dovesse fare, è nella “1000” che la farà. “L’ultima? Non sarà mai l’ultima gara”.
Dal quad alla moto di papà, il passo è breve, giusto il tempo di crescere un po’. Galeotto fu il mal d’Africa (dove il babbo organizzava dei viaggi), traslato in chiave due ruote. Beh, il Dna contiene un percorso già delineato. Poi, però, sta alla Bettina adulta portarlo avanti. Con la propria testa, le proprie preferenze. “Mi sono innamorata della velocità, che invece a mio padre ha sempre fatto paura. Mi ha dato della matta quando gli ho confessato che correvo in pista”.
Vogliamo dargli torto? Ci leggiamo la reazione normale di un genitore: i timori per la figlia viaggiano a 200 all’ora, la velocità che si raggiunge in pista. “Ho iniziato ad andare in moto, tra l’altro, abbastanza tardi, in strada con gli amici. Qualcuno mi ha detto “dai, prova a venire in circuito”. Amore a prima vista, duraturo. “Ho dovuto fare una scelta. Il livello richiesto in pista non mi permetteva più di avere un mezzo che fosse adattabile ai due contesti”.
© B. P.
Libertà, ma sui circuiti
In pista forti emozioni e senso di libertà. Quello magistralmente narrato in film come Easy Rider ha una sua espressione anche sui circuiti: “L’adrenalina a me trasmette proprio quella sensazione di libertà. Sulla linea di partenza, abbassi la visiera e ti dimentichi di tutto il resto”. Parole che trasmettono una passione intatta: “È come catapultarsi in un altro mondo. Quello delle moto, rispetto alle macchine, conserva un fascino vecchio stile, con una genuinità che nelle auto ha fatto spazio a precisione e tecnologia. Nel paddock siamo tutti amici. In gara, meno. Ma quando si esce si scherza tutti assieme e ci si aiuta, tra piloti”.
Il mondo delle moto, dei motori, storicamente nasce come maschile. Retaggio superato o siamo ancora fermi lì? “Un po’ di quella mentalità lì c’è ancora, in certi ambiti. Qualche presa in giro, ma nel complesso siamo benvolute. Ma se penso allo sviluppo che ha avuto il movimento femminile dal 2015, l’anno in cui iniziai io, con due o tre colleghe al massimo… Oggi ci sono campionati interamente al femminile, in Italia e in Francia”. Non ha neppure dovuto fare la sindacalista, il processo è stato naturale… “Qualche amica ho cercato di avvicinarla a questo mondo, ma senza mai spingere troppo”. Anche perché, sentite come la pensa: “Io preferisco continuare a competere con gli uomini”.
Quelle candele accese
La paura: compagna di viaggio o un avversario in più? “Si pensa che succeda sempre agli altri. L’avverti, ma dici ‘tanto non capita a me’ ”. Analisi interessante. Chiamatela beata incoscienza, ma Bettina in pista è frenata più dalla preoccupazione per eventuali danni meccanici che dalla sua incolumità. Ma una paura la confessa, quella di un sogno rimasto ancora nel cassetto: il TT (Tourist Trophy) sull’Isola di Man, per il quale aspetta l’occasione buona. Un tabù da sfatare, con quel pizzico di spregiudicatezza che la anima e la tiene in pista. Nonostante il terrore di mamma e papà. “Non vedono l’ora che io smetta. Non sanno mai quando ho una gara. Non glielo dico. Lo vengono a sapere dopo. Troppe candele accese, sennò”.
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