Un sabato ticinese. In compagnia di Sergio Caputo

Anche se “il peggio (non) sembra essere passato” (come cantava), ecco alcune battute del nostro eroe sulla musica e quel che sarà

Di Beppe Donadio

Pubblichiamo un articolo apparso sabato su Ticino7, allegato a laRegione.

Si potrebbe partire, perché comunque a oggi ci porterà, da Sergio Caputo en France, album del 2019 con dentro i successi di una vita cantati in lingua francese, visto che è ‘en France’ che raggiungiamo Sergio Caputo. Che lì vive. “Era un album che avevo in mente da forse trent’anni, perché è da trent’anni che tutti mi dicono ‘Tu devi fare le cose in francese, in Francia piaceranno’. Mi sono rimboccato le maniche, l’ho realizzato, ho debuttato a Parigi e subito dopo è arrivato il Covid, e tutto è slittato”. Cambiano le lingue, poco cambia in questa piccola eternità che accompagna la musica di Sergio Caputo, uno che dove lo metti sta, in italiano o altra lingua del mondo: “Sono stato molto attento a non tradire i testi originali, un po’ come fece Aznavour, che pur cantando in altra lingua ha sempre rispettato la storia originale delle sue canzoni”. Lingue del mondo applicate già in partenza ai ritmi del mondo, cosa che fa di lui, a suo modo, un rappresentante atipico di world music: “Attenendoci ad iTunes, il concetto si applicherebbe a paesi molto più lontani in cui non si parlano le nostre lingue, ma in effetti la musica in sé, in generale, dovrebbe essere ‘world’ di suo, linguaggio universale che non ha bisogno di spiegarsi con le parole. Che invece servono quando ci sono storie specifiche da raccontare”. 

Famosi in quanto famosi

World oppure no, intanto è il 2021 e l’anno ha una sua corrispondenza tra extended play: i quattro brani incisi su di un lato solo nel 1981 che formavano l’Ep Sergio Caputo, roba per collezionisti, e l’ultimo Ep Gossip, dall’omonimo e inedito singolo con quattro classiconi annessi, ‘Un sabato italiano’, ‘Hemingway caffè latino’ , ‘Metamorfosi’ e ‘Amore all’estero’. Il tutto registrato in remoto, come pandemia ha imposto/impone. “Premetto che parlare di album o di Ep oggi ha poco senso – spiega Sergio – visto che viviamo ormai nell’era dei singoli, dello streaming, del brano unico e non tanto l’album; ma mi è piaciuto pensarlo come tale, volevo realizzarlo con il mio trio, la formazione che mi ha accompagnato di più in questi ultimi due anni – Fabiola Torresi al basso e alla voce, Alessandro Marzi alla batteria (talvolta piano) e alla voce – e che ha raggiunto un livello di sound notevole al punto che quando sbaglio durante i concerti è perché mi metto ad ascoltare quello che stiamo suonando”.
‘Gossip’ è anche un testo, perché Sergio Caputo è da sempre anche musica da leggere. Dal comunicato ufficiale: “Nel mondo di oggi nulla può avere veramente successo – dal cinema alla musica, allo sport e perfino alla politica – se non è debitamente accompagnato dal gossip che è in grado di generare”. ‘Gossip’, testo ironico sul morbo dell’essere famosi in quanto famosi, è uno spaccato di attualità in cui Caputo – detto con la filosofia gialappiana – la appoggia piano: “Sì, diciamo che la fama è diventata un mestiere al punto che a volte non si sa più perché una persona è famosa e può andare in televisione a dire la sua su tutto ciò che accade anche senza competenze specifiche. Premesso che a tutti noi piace spettagolare, il gossip andrebbe ripensato e assunto in dosi più moderate perché, specialmente in rete, ha fatto del male a parecchia gente”.
Musicalmente, Sergio Caputo è uno che si è sempre fatto i fatti suoi. Nessun duetto col trapper, niente tastiere alla Eurosong. E il trio, a 38 anni dal Sabato italiano album, è certificato di coerenza. A parte scrivere la sua, pur mantenendosi “aggiornato”, Caputo non perde di vista la musica delle origini, “quella di quarant’anni fa, con la quale iniziai a interessarmi alla composizione”; non ama il jazz classico (“Lo trovo a volte nevrotizzante”), meglio “lo smooth jazz e tanto country, genere in cui serve un’abilità al di fuori del comune, dettaglio che sfugge a chi non lo conosce. Ho iniziato sulla chitarra molto giovane a interessarmi di country, per evolvermi poi in chiave più jazzistica”. Questa è stata, anche, la musica del suo lockdown. 

Sanremi

Lockdown, bisillabo tronco tra bisillabi tronchi, patrimonio di un maestro nell’infilare liriche italiane dentro uno swing che italianissimo non è. Per Mario Luzzatto Fegiz, Sergio Caputo è ‘il Re delle parole tronche’. “Ma c’è stato un tempo – dice il Re delle parole tronche – in cui avrei preferito morire piuttosto che scrivere un testo. La musica mi viene con grande facilità, per i testi invece devo fare i conti con la metrica”. Non sembra. “Non sembra? Perché ci lavoro (ride, ndr). Intanto, io non amo i termini scolastici e cerco sempre di scrivere come si parla, come si vive. E la vita ha distrazioni. E comunque, ciò che più mi guida nella scrittura dei testi è proprio il suono delle parole, e – anche qui zero compromessi –
quel suono deve stare bene su quella musica”.
Tra neologismi (‘Egomusicocefalo’), calembour (‘Ti ho incontrata domani’), poesie (‘Spicchio di luna’) e altra stregoneria lessicale, Sergio Caputo è il Valhalla della citazione. Pescando dall’attualità: “La radio mi pugnala con il Festival dei Fiori”. E di Festival dei Fiori, di Sanremi, Caputo ne ha fatti tre: “Al primo, quello del ‘Garibaldi’ (1987, ndr), andai abbastanza volentieri, guidato anche dalla curiosità. Per gli altri due, un po’ mi lasciai convincere. Era un momento della discografia molto complesso: la seconda volta (‘Rifarsi una vita’, 1989, ndr) la Cgd stava vendendo alla Warner in loco e mi trovai abbandonato nei meandri di Sanremo, e così la terza volta (‘Flamingo’, 1999, ndr), con la Polygram che stava entrando nella Universal”. È così, a volte, che si diventa artisti indipendenti. 
In questo sabato qualunque (finiamo citando, è incontrollabile), un sabato ticinese in cui ci si prepara a riaprire, almeno, musei e biblioteche, ‘il peggio sembra essere passato’: sarà davvero così? Per come la pensa lo chansonnier, “temo di dover mettere la frase tra ulteriori virgolette. Ma l’umanità ha passato di peggio…”.

SETTE TRACCE DA RIPASSARE

1. ‘Ne approfitto per fare un po’ di musica’ – 1987
Qualcuno lo ha inserito nei 100 migliori album italiani, e noi la pensiamo come Qualcuno. Uscito in occasione del suo primo Sanremo, contenente il singolo ‘Il Garibaldi innamorato’ (vedi al punto 2), questo live prende il titolo dal ritornello di ‘Spicchio di luna’ (vedi al punto 4), ed è opera imprescindibile (PS: ‘Qualcuno’ è il Rolling Stone).

2. ‘Il Garibaldi innamorato’ – 1987
21esimo su 24 brani in gara nel Sanremo dell’era Toto Cutugno, i ricordi sudamericani di Giuseppe Garibaldi su base latin sono il Caputo più cantato dopo il suo ‘Sabato italiano’ (vedi al punto 4). La legge del Festival che vuole alcuni capolavori ultimi o quasi, colpì quell’anno anche ‘Rosanna’ di Nino Buonocore. Ma il Garibaldi, malgrado ferito (a una gamba) si fa ancora cantare.

3. ‘That Kind Of Thing’ – 2003
Nel periodo californiano di Caputo, che nel 1999 vola a San Francisco per restarci un bel po’, nasce l’album strumentale smooth jazz con dentro la scena musicale locale più due italiani, Enrico Rava alla tromba e il titolare dell’opera alla chitarra e al basso. Award da smoothjazz.com, bibbia del settore, come album indipendente più scaricato del 2005.

4. ‘Un sabato italiano’ – 1983
L’esordio a 33 giri di Sergio Caputo è per l’Italia quello che ‘Jumpin’ Jive’ di Joe Jackson fu per l’Inghilterra (ma quelle di Joe Jackson erano cover). La traccia uno si chiama ‘Citrosodina’ , ma la casa produttrice minaccia causa legale e diventa ‘Bimba se sapessi’. Chiude lo slow-capolavoro ‘Spicchio di luna’ (torna al punto 1). In copertina, Caputo indossa t-shirt con poster ‘Frankie goes to Hollywood’ di Guy Peellaert, medesima fonte d’ispirazione dell’omonima band.

5. ‘L’astronave che arriva’ – 1985
“L’hai vista tu la luna a Marechiaro? L’ho vista, sì, e abbiamo pure chiacchierato”. Tra Fellini e la fantascienza, tra il latin onirico e l’occasione persa (“Ma l’astronave è già passata e tu dov’eri?”), mousse di pop colto su letto di album di riferimento (da No smoking, sempre del 1985).

6. ‘Disperatamente (e in ritardo cane)’ – 2008
All’autore, al pluristrumentista, all’arrangiatore di sé, al pittore, allo stratega della comunicazione, già pubblicitario, si aggiunge il Caputo scrittore, che a un certo punto della vita pubblica la storia leggermente autobiografica del musicista Max Padovani espatriato in California e costretto, per un intoppo burocratico, a una vacanza forzata a Roma.

7. D.O.C. – 1986
Miles Davis come Tina Cipollari: sembra incredibile, ma nel 1986 il jazz imperava di pomeriggio nell’orario di ‘Uomini e donne’. Nell’oasi protetta di/da Renzo Arbore, Sergio Caputo fu in scaletta con molti altri grandi – Joe Cocker, Solomon Burke, James Brown, Dizzie Gillespie, Pat Metheny e altri italiani – portando alla Rai i suoi ‘Effetti personali’, album di quell’anno con dentro proprio Gillespie.

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