Un faro nel buio (in sella senza fretta)
La strada di notte è muta e pone confini ottici, ma a chi la pedala sa parlare e aprire nuove dimensioni. Provare per credere
Di Marino Molinaro
Pubblichiamo un articolo apparso sabato su Ticino7, allegato a laRegione.
La luce diurna banalizza lo sguardo lanciato pigro oltre la ruota, all’imbrunire gli occhi famelici cercano varchi nei magri spazi appena schiariti dal faro che quando è carico è carico, e quando è scarico ciao. Un bagliore, un riflesso, una pozza. Si scandaglia per imbroccare una traiettoria possibile fra distese cupe e sfuggenti. Di notte il moto sul sellino separa il ciclofilo dalle sue ambizioni ed è come osservarsi passeggeri laterali di sé stessi. Se cadi, si cade in due. Tu e il tuo morale.
La vecchia bicicletta d’acciaio si addossa il fardello della macchina umana creando un varco nell’ignoto e la congeda chiudendo la porta sui pensieri macinati metro dopo metro. Dopo metro, buca, sasso, letame. Molto buon letame sulla via del ritorno nel buio pesto del Piano di Magadino. Letame e terra per gentile concessione dei trattori che dopo aver arato i campi e sparso il liquame, regalano ai cicloritornatori a casa ispirate esperienze da affrontare con buona dose di filosofia.
Vivere il territorio
La strada pedalata nottetempo porta a casa ufficializzando la fine della giornata lavorativa. Diventa un archivio di voci e vociare, e-mail partite e tornate peggio di come son partite, telefonate inutili e risate utili, pettegolezzi inutili come le telefonate inutili, interviste gratificanti una ogni tot, improperi detti e trattenuti e poi detti anche quelli trattenuti, per uno straccio di notizia poi.
Il buio pedalato inghiotte la fatica mentale e la termovalorizza, perché la notte invernale è uno schiaffo che intimorisce anche le migliori intenzioni. Il freddo è però mitigato dal calore urbano sfuggito alla città che pulsa. Quel grado in più che diventa valico fra titubare e partire, e si estingue togliendo il respiro quando alla Saleggina le grandi celle frigorifere esterne di una macelleria indicano fisicamente l’inizio della micidiale siberia.
Poco oltre, nella bella stagione, gruppi e famiglie di ecuadoriani si accampano con i furgoni giocando a volley tutta la sera, fino a quando i lampioni del campetto si spengono inghiottendone gli sprazzi di spensieratezza; d’inverno rimangono solo i loro furgoni, e non si capisce se oltre ai sogni infranti quelle quattro lamiere contengano anche corpi infreddoliti da lunghi appostamenti alle entrate di negozi e autosili. Bisognerebbe bussare e chiedere ‘quale aiuto cercate?’, ma il buio ingigantirebbe l’inviolabilità della loro disperazione. Quella dei più poveri fra i poveri, per di più sfruttati.
© M. Molinaro
Incontri, attesi e inattesi
Quella che si apre davanti al calar delle tenebre è una ciclopista ma anche una faunapista: il pacioso golden retriever dotato di collare a led intermittenti rossi diventa un improbabile dobermann, il tasso paffutello si affanna alla ricerca di un provvidenziale varco nella siepe, la giovane volpe mantiene guardinga le distanze, si odono in lontananza i campanacci delle vacche ruminanti nel prato golenale, mentre solo all’ultimo lo sguardo sorprende una mandria di Black Angus inconsapevole del suo destino culinario. Due cerbiatte schizzano via a lunghi balzi, i cavalli sono presenze silenziose che attendono la cura del maniscalco. E mentre il lupo è bravo chi lo filma, il cervo sotto il peso dei palchi bramisce e s’interroga sulla femmina in rapido avvicinamento con un casco in testa e un faro da 1’200 lumen.
La ciclopista come luogo di migrazione. Di giorno la si attraversa per lavoro, sport, piacere. Di notte a uscire sono le anime: alcuni giovani socializzano scambiandosi lo spino sotto il ponte, qualcuno col volto trasfigurato chatta e cammina senza guardare. Altri non hanno facce perché sono neri come la pece. E a incrociarli su biciclette sgangherate con addosso giacche scure da asilanti, significa non vederli fino a un metro dai loro grandi occhi bianchi, dalla ricerca di una nuova patria che andrà a infrangersi contro un visto atteso e poi negato. Cala anche sulla ciclopista la notte dell’umanità, quella che attraversa i continenti e quella che impone i propri confini. E anche a illuminarle, certe strade, non aiuterebbe chi non vuole vedere oltre la propria ruota.