La Ficcanaso, Agassi, un jeans e una canotta
Da bambina, imprigionata in salopette da sci inespugnabili e cappelli di lana con pompon, guardavo con la bocca aperta gli adolescenti sulle piste da sci
Di Laura la Ficcanaso
Da bambina, imprigionata in salopette da sci inespugnabili e cappelli di lana con pompon, guardavo con la bocca aperta gli adolescenti che si lanciavano a rotta di collo sulle piste da sci con zainetto e jeans indosso. Non temevano il freddo, né il pericolo di infradiciarsi una volta caduti. Per il semplice fatto che loro non cadevano. I jeans erano la prova tangibile del loro disprezzo per le regole e per il freddo che le nostre madri ci ordinavano di combattere. Leggendo Open, biografia del campione di tennis Andre Agassi uscita diversi anni fa e scritta con il premio Pulitzer J.J. Moehringer, ho pensato ai jeans di quei ragazzi sulle piste da sci. Ho divorato quel libro negli ultimi giorni di quell’anno in cui il grande campione ha compiuto 50 anni. In ritardo di quasi dieci anni rispetto al caso editoriale che è stato, eppure con un tempismo perfetto rispetto a tutto ciò che gli ultimi tempi ci hanno portato in sorte. Andre Agassi giocava a tennis con calzoncini jeans, ciclisti di colori improbabili, petto depilato e capelli/parrucchino da mohicano, orecchino d’oro e diamanti. Perdeva e vinceva a fasi alterne e arrivò nell’Olimpo del tennis senza mai sentirsi imbattibile. La delusione che si prova quando si perde, dice uno dei passaggi più citati del libro, è infinitamente maggiore della soddisfazione che si prova quando si vince.
Venne iniziato al tennis, disciplina odiatissima, dal padre, ex pugile iraniano che scelse una casa con un cortile abbastanza grande, nel deserto dei dintorni di Las Vegas, da poter ospitare un campo e il Drago. Questo il nome che il piccolo Andre, a sette anni, diede al macchinario costruito dal padre e in grado di sparare una quantità incredibile di palline. Andre è stato tirato su dalle grida del padre che ordinavano di colpire più forte e di battere il Drago. Al termine di un anno in cui chiunque ci ha detto di aver riscoperto ciò che ama davvero, la bellezza dei sentimenti e degli affetti, ho trovato liberatorio leggere di una vita feconda nonostante l’odio, la rabbia e gli incidenti di cui è stata costellata. Meravigliosa perché combattuta. In questi primi giorni dell’anno auguro a tutti noi non solo di riflettere, ma anche di combattere. Preferibilmente in canotta e calzoncini jeans.