Metti un po’ di Fontaines nel tuo smartphone

Passare dall’indimenticato John Peel ai giovani irlandesi Fontaines D.C. il passo è breve, se provi a riscoprire la genialità dei The Fall

Di Giancarlo Fornasier

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione.

‘Dici «Sorella, sorella, come mi mancavi, mi mancavi / Andiamo polso a polso e togli la pelle dalla mia vescica» / Se sei una rockstar, una pornostar, una superstar, non importa cosa / Procurati una buona macchina, scappa di qua’.
Fontaines D.C. da «Boys in the Better Land», in ʻDogrelʼ (2018)

‘Niente nella storia del pop è stato lontanamente come i Fall. Mark E. Smith [è un] autore di testi che spesso vantano più idee in un verso di quanto la maggior parte delle band escogitino per un intero discoʼ.
John Peel da un’intervista al ʻThe Sunday Timesʼ (25.5.1997)


The Fall (1976-2018)

Il compianto e storico dj della BBC John Peel (1939-2004) li avrebbe adorati, scommetteteci. Lui che di musica fuori dagli schemi ne ascoltava e diffondeva come pochi altri. Perché di debutti spiazzanti paragonabili a quelli dei dublinesi Fontaines D.C. (Dogrel, 2018) sono ossigeno per l’industria musicale. Che sta male, malissimo, si sa, visto che nessuno vive più di album prodotti, che il cd è ufficialmente defunto e che i brani scaricati “a gratis” superano ampiamente quelli pagati. E negli ultimi mesi sono spariti pure i concerti. Si dice che a Glastonbury – il padre di tutti i festival europei, annullato nel 2020 causa pandemia, proprio nell’anno del suo mezzo secolo di vita – i Fontaines D.C. avrebbero fatto il botto.
Se il primo lavoro esteso era una raccolta di vitali spinte soniche, il secondo (A Hero’s Death, apparso a luglio) ha confermato che la vena è quella buona. Sostenuti da una stampa anglosassone che, come è noto, coi ragazzi di casa sa esaltarsi sempre – soprattutto se pescano in quanto di buono prodotto tra i Settanta e gli Ottanta –, acuti nella gestione del loro profilo da ragazzi decisi e senza compromessi, gli irlandesi sanno quello che fanno: testi taglienti (“Hurricane Laughter”, “I Don’t Belong”) e canto recitato per andare diritti al senso, suoni puliti, potenti; chitarre taglienti, assalti senza menate digitali. E poi, appunto, attingere sin dall’inizio nel mare più fecondo: quello dei The Fall di Mark E. Smith (morto nel 2018; una pietra angolare del pop rock, secondo John Peel), degli Wire, dei primi Killing Joke, degli immancabili Warsaw/Joy Division più battaglieri, ma anche i Clash, i Mekons, gli Spear of Destiny, i Pixies, i compatrioti e più recenti Girl Band (già debitori dei Birthday Party di Nick Cave e dei Liars, per capirci) e un po’ di Oasis alla voce.
Che poi se non ci fossero stati i Velvet (ovvero Reed & Cale), i Doors, gli Stooges, i Can e la musica cosmica, queste poche righe chi le avrebbe mai potute scrivere?

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