La storia di Lidia e Agata
Una mamma e una figlia ospiti del Centro di accoglienza Casa Astra di Mendrisio si raccontano. Perché non sempre Natale fa rima con serenità
Di Cristina Pinho
Pubblichiamo un articolo apparso (viste le festività) giovedì su Ticino7, allegato de laRegione.
ʻLa mia situazione è complicata. Davvero complicataʼ, avverte Lidia mentre accarezza la schiena della piccola Agata (entrambi nomi di fantasia) che gioca con un cordoncino sulla panchina dove siamo sedute. Nel raccontare la parte della sua vita che lo scorso gennaio lʼha condotta con la figlia a Casa Astra (Mendrisio), anche questa ragazza nel pieno dei suoi 20 anni pare tenere fra le mani un filo attorno a cui annoda le parole. La storia che restituisce abbonda di grovigli.
“Sono arrivata in Svizzera quando ero una ragazzina”, esordisce Lidia. “Dopo aver concluso tutte le scuole in Ticino, ho portato a termine l’apprendistato e ho iniziato a lavorare. A un certo punto però è arrivato un periodo davvero pessimo: mia nonna è venuta a mancare, sono stata licenziata senza colpe e col mio ragazzo era un continuo metterci le mani addosso”. Il bisogno di staccare la spinge a partire per il suo Paese d’origine, in Sudamerica, ma il permesso svizzero che ha con sé risulta scaduto: “In aeroporto è successo un gran casino”, mi dice accennando a una lunga serie di vicissitudini che ha dovuto attraversare. Riducendo i fatti ai minimi termini, un divieto temporaneo di ingresso in Europa e una multa costringono Lidia a stare molto più del previsto nel continente americano. Intanto fra continui tira e molla la violenta relazione col suo ragazzo continua e in mezzo al trambusto viene al mondo Agata: “Abitavamo insieme ma a un certo punto mi sono resa conto che mia figlia stava vedendo cose che non andavano assolutamente bene. Così per qualche mese siamo andate a stare da una mia amica nel Luganese, e alla fine ho chiamato l’assistente sociale che ci ha accompagnate qui”.
Possibilità negate
A Casa Astra gli operatori si sono subito attivati per aiutare Lidia a regolarizzare la sua situazione. Dopo mesi di interminabile attesa, dall’Ufficio stranieri, pochi giorni prima del nostro incontro, arriva la fatidica lettera. Verdetto: non essendo autosufficiente con la bambina, la risposta per il permesso è no. “Ora abbiamo replicato rispiegando la situazione e il fatto che io sono ben disposta a lavorare. Lo vorrei davvero tanto, ma senza permesso nessuno mi assume, e senza lavoro non mi danno il permesso. Non posso nemmeno firmare un contratto di locazione, non ho diritti. Sto continuando a ricevere batoste su batoste, ed è davvero dura – dice con un groppo in gola –. Io sono immensamente grata a chi mi sta aiutando, questo posto è un rifugio, abbiamo un letto, abbiamo cibo, siamo al sicuro, però è frustrante essere in sospeso da così tanto tempo. A lungo andare, vedere che le altre persone si sistemano mentre io sono sempre allo stesso punto mi sta distruggendo”.
Sopportare e supportare
La quotidianità di Casa Astra ha i suoi pro e i suoi contro: “Qui io e Agata abbiamo una camera per noi, mentre il resto degli spazi è in condivisione. Non sempre è facile convivere in così tanti, ognuno ha il suo carattere e ognuno i suoi problemi: siamo spesso tesi e a volte basta un niente per far scattare dei battibecchi. Io ho bisticciato con quasi tutti qua dentro, non riesco a tenermi le cose dentro – dice con una risata che sdrammatizza –, ma sto imparando a moderarmi. Alcuni poi hanno delle dipendenze, e questo a volte alimenta i conflitti; io personalmente fumo con regolarità, lo sanno tutti, soffro di instabilità dell’umore e farlo mi aiuta a gestirmi e a calmarmi; è anche un metodo di sfogo per tutto quello che sto vivendo: l’unica cosa che faccio ora è occuparmi di mia figlia da sola,
e lo faccio bene, ritengo, ma il resto della mia vita è un grande punto di domanda”. Al contempo è proprio dagli altri ospiti che trae conforto: “Mi sostiene il fatto di essere qui in tanti, di trovarci a condividere le nostre storie. Quando ascolto i problemi degli altri capita che per un po’ non penso ai miei. È qualcosa che umanamente mi sta molto arricchendo, un’esperienza di vita preziosa”.
Paura di sognare
Di che cosa è in cerca, le chiedo infine, oltre a un lavoro e una casa? Forse stabilità, sicurezza, riconoscimento? “Di tutte queste cose – mi risponde –. E amore… Da poco sto frequentando una persona che mi sta facendo vivere una favola: è carinissimo sia con me che con Agata. Dopo la relazione tossica di 5 anni da cui sono appena uscita, questo incontro mi sta facendo ricredere nell’amore, nelle belle cose della vita. Solo che sono già in ansia per quello che potrebbe succedere: lui ha chiarito che se ci mettiamo insieme ha intenzione di prendersi cura della bambina come se fosse sua figlia, ma prima deve rifletterci bene. Lo capisco, è giusto. Ma penso che se dovessero decidere di mandare via me e la bimba non resterebbe con le mani in mano. Mi sembra davvero di aver trovato l’uomo della mia vita – dice, ma come improvvisamente intimorita per il suo sguardo sognante, aggiunge –: mi rendo conto che sto mettendo troppo il focus su questa storia. Staremo a vedere cosa succede, io ormai sono abituata ad aspettare”.
* Nomi di fantasia