Rock’n’pop. Back in the Ussr

La musica ai tempi della Cortina di ferro: quando ascoltare Clash, Iron Maiden, Van Halen, Tina Turner e Julio Iglesias “no, proprio non si può…”.

Di Beppe Donadio

Pubblichiamo un contributo apparso in Ticino7, allegato del sabato nelle pagine de laRegione.

“Mi sarei innamorato della Russia anche se un suo cittadino non mi avesse rimorchiato”. Questo il fervido ricordo di Elton John del tour sovietico del 1979 per soli pianoforte e percussioni, recentemente pubblicato in tutto il suo straripante pianismo in Live from Moscow, dalla diretta Bbc di quei giorni di maggio. In Me Elton John, autobiografia del 2019, oltre alla fugace relazione con la guardia del corpo messagli a disposizione dagli organizzatori, Sir Elton regala uno spaccato dell’ex Unione Sovietica negli anni della Guerra Fredda, un posto nel mondo in cui la timida apertura ai suoni occidentali portava con sé rigidi protocolli: “Mi avevano detto di non suonare Back in the Ussr, perciò ovviamente lo feci” , scrive il pianista, che si confrontò con dinamiche che nel 1987 saranno le stesse del tour sovietico di Billy Joel. “Quelli che volevano vedermi sul serio – scrive Elton – erano pigiati in fondo. I posti migliori erano riservati a funzionari comunisti d’alto rango. Ma non avevano fatto i conti con Ray Cooper”, percussionista capace di trasformare il clima funereo imposto nelle sale di Mosca e Leningrado nell’euforia di un coca-party, a colpi di tamburello, timpani e gong. “In quanto esercizio di pubbliche relazioni per l’Unione Sovietica – chiude il capitolo Sir Elton – il mio viaggio fu una perdita di tempo: sei mesi più tardi invasero l’Afghanistan”.

Occidentali’s Karma

“Una volta appurato che non eravamo i Sex Pistols e che non costituivamo una grave minaccia per la moralità della gioventù comunista, diedero il benestare al tour”, scrive in apertura di capitolo Elton. E il nome Sex Pistols non è buttato lì. Si deve allo studioso Alexei Yurchak, e al suo libro Everything Was Forever, Until It Was No More (2006), l’essere venuti a conoscenza della lista nera degli occidentali suonanti invisi al regime sovietico. Il documento segreto – ‘Lista approssimativa di artisti o gruppi musicali stranieri i cui repertori contengono composizioni ideologicamente dannose’ – risale al 1985. E se alla voce “Violenza” può risultare comprensibile (con gli occhi miopi del censore) trovarci Stooges, Kiss, Black Sabbath, Iron Maiden, Stranglers, Clash, Madness, Ac/Dc, Scorpions e, appunto, Sex Pistols, meno si spiega il perché dei Village People messi nei “Violenti” e non invece negli “Omosessuali”, girone nel quale erano relegati i soli Canned Heat (niente Elton John, autodichiaratosi gay alla rivista Rolling Stone già nel 1976).

Passino i Pink Floyd per “interferenza nella politica estera dell’Urss”, i Van Halen per “propaganda anti-sovietica”, passino Ramones, Depeche Mode e Blondie per la colpa dell’essere “punk”, passino Tina Turner e Donna Summer bannate in quanto simboli sessuali, quel che ancora oggi non si capisce è il perché di tanto odio nei confronti di Julio Iglesias, accusato di neofascismo, uno che non andava “a un appuntamento senza un fiore”, che non confondeva “il sesso con l’amore”, uno che la frase più fascista mai cantata è stata “a volte sono un bastardo a volte un buono, a volte non so neppure cosa io sono” (dal quell’indiscusso manifesto del professionista dell’amore intitolato Sono un pirata sono un signore, apparso nel 1978. 

Rock Around the Bloc

La blacklist non impedì comunque agli Iron Maiden di girare il documentario Iron Maiden: Behind the Iron Curtain, sintesi dei concerti tenutisi in Polonia, Ungheria e Jugoslavia. Era il 1984 e il rock – ancor prima di Michail Gorbaciov – stava per uscire dalla clandestinità. Nel 1990 Timothy W. Ryback, direttore dell’Institute for Historical Justice and Reconciliation (ente che fa chiarezza nei conflitti etnici e nazionalistici per contribuire ai processi di pace), pubblicava una panoramica sul rock nell’Europa dell’Est dal dopoguerra in avanti intitolata Rock Around the Bloc, prendendo spunto dall’incontro del febbraio 1987 tra Gorbaciov e la moglie Raisa con Yoko Ono. “Siamo fan di John”, disse Raisa cantando una canzone di Lennon.

Il libro non dice che forse la Guerra Fredda sarebbe ricominciata se in quell’occasione a cantare fosse stata Yoko Ono, ma dice dell’arrabattarsi dei giovani russi degli anni Sessanta per trasformare le chitarre acustiche in elettriche smantellando le cabine telefoniche per saccheggiarne le parti elettroniche, o dell’ascolto segreto di Radio Free Europe, emittente radiofonica finanziata dal Congresso americano (via Cia) cui era affidata la guerra psicologica sulle onde medie grazie ai trasmettitori localizzati a Pals, in Catalogna, collocazione che in epoca franchista permetteva un certo anonimato e, per questioni di vicinanza, consentiva almeno per due ore al giorno di bypassare le frequenze di disturbo provevienti dall’Unione Sovietica.

Ossa & costole

Jazz, rock and roll e ogni altro suono nato a Ovest circolavano liberi nell’Unione Sovietica prima e durante la Seconda guerra. Poi, con la fine del conflitto, il buio: proibiti diventavano in primis gli émigré, i musicisti russi famosi oltre confine non rientrati in patria per unirsi al movimento comunista. Quelli come Pyotr Leshchenko, re del tango russo (o Serdtse), messo al bando per lo stile “controrivoluzionario” che era del tango ma pure del foxtrot, del folk e della musica gypsy. La musica di Leshchenko, ascoltabile in segreto dai cittadini dell’Unione Sovietica tramite Radio Teheran, e tutta la produzione discografica degli “appestati” che avesse avuto come soggetto il “fighting and fucking” (i sovversivi combattere e fare all’amore, edulcorando), finivano così sul mercato nero grazie a un fai-da-te portato alla luce da Stephen Coates, responsabile dell’X-Ray Audio Project: approfittando dell’invito rivolto dal regime agli ospedali a liberasi delle lastre radiografiche perché infiammabili, i pionieri del bootleg s’inventarono la discografia dei bones o ribs (ossa o costole), incidendo cioè le radiografie come s’incidono i vinili, con assai artigianali torni (trovate tutto su x-rayaudio.com). Ma di vinili sovietici, delle band del VIA (Vocalno-instrumentalny ansambl, dalle liriche family-friendly imposte e vagliate), del pop sovietico, di Toto Cutugno e di Alla Pugacheva, la Barbra Streisand moscovita portata a Sanremo 1987 dal Pippo Baudo abbattitore di muri parleremo molto presto. Продолжается…
(Continua, prossimamente sempre su queste pagine).


Ecco la lista degli artisti “proibiti” (se ci capite qualcosa)

Articoli simili