Quei ’matti’ così lontani
Oggi è tutto a posto, domani ti ritrovi a pensare e fare cose poco “normali”. Perché la testa è una cosa fragile assai…
Di Lorenzo Erroi
Oggi non si demonizza più il disagio psichico come una volta, almeno a parole. Se prima era tutto un «blindiamoli», adesso si spalma la melassa ipocrita del «siam poi tutti un po’ matti», e «cos’è poi
la normalità?» #JeSuisBasaglia, insomma, quasi sempre senza conoscerlo.
È un espediente – benintenzionato quanto volete, ma pelosamente autoassolutorio – per non guardare in faccia il problema. Tanto più che quando è la testa a star male spesso ci si nasconde, si cerca di uscirne da soli, come il Barone di Münchhausen pretendeva di salvarsi dalle sabbie mobili tirandosi per i capelli. Allora ospitare e aiutare diventa un’urgenza: nell’approfondimento di questa settimana, Sara Rossi Guidicelli racconta (anche) gli sforzi di chi se ne occupa per mestiere, giù a Mendrisio.
Quanto a noi tutti, forse sappiamo meglio d’una volta che le malattie psichiatriche non sono fisime, vanno curate quanto una gamba rotta o un cancro, e non puoi dire a un depresso «tirati su». Allo stesso tempo, però, continuiamo a incontrare di rado chi per queste rogne finisce ai margini della società: non ci sono più i muri dei manicomi a nasconderli, ma restano le nebbie della distanza sociale, la solitudine di certe pensioncine. E vengono meno alcuni luoghi in comune, come la bettola e il sagrato. Nel frattempo si afferma la favoletta della meritocrazia, il cui rovescio è l’idea che «un po’ se la sono cercata», che ognuno è fabbro della sua sconfitta. Finché non tocca a noi: la testa è una cosa fragile per tutti.