Un’esistenza a quattro sensi

Marco Lavizzari ha perso la vista 24 anni fa. Una maledizione che ha saputo trasformare in un nuovo inizio. Rimettendosi in gioco.

Di Cristina Pinho

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.

“Buongiorno signorina, vado a recuperare il mio cane e sono subito da lei”. Mi trovo a Tenero, a Casa Tarcisio, dove Marco Lavizzari ha appena tenuto un corso a degli studenti in ambito sociosanitario. In caffetteria, appeso alla parete di fronte a me, c’è un foglio con scritto: «Meglio accendere un lume che maledire il buio», in calce la firma di Marco. Eccolo tornare con Unja, la sua fedele lupina. Me lo hanno descritto come una persona gioviale, disponibile, con un’energia contagiosa: a confermarlo l’affetto del personale e degli ospiti della casa anziani che traspare nei suoi confronti.
È abituato a rispondere a domande sulla sua vita: da 20 anni si occupa di sensibilizzazione sulle disabilità visive portando la sua testimonianza: «Ho perso completamente la vista nel ’95 a causa di un glaucoma, una malattia agli occhi. È stato sconvolgente, ho impiegato 2 anni e mezzo ad accettarlo. Grazie a mia moglie e ai miei figli, e all’Unitas che per me è come una seconda famiglia, ho avuto la forza di affrontare la collera e la disperazione iniziali e ho trovato la motivazione per lottare e ricominciare, allargando i miei orizzonti e riprendendo in mano la mia esistenza».

Con-tatto
La sua attività si rivolge a tutti i gruppi interessati e ai diversi ordini di scuola, dall’asilo fino agli istituti professionali. «La maggioranza dei ragazzi e degli adulti non sa come comportarsi quando incontra una persona cieca. Io mi occupo di far scoprire il nostro mondo e le nostre esigenze, spiego quali sono le difficoltà e come vengono superate. Per noi ad esempio è importante che chi arriva si presenti, che il cane guida non venga distratto, che alla persona col bastone bianco venga sempre data la precedenza», e che si evitino iniziative avventate: «Mi è capitato più di una volta di aspettare mia moglie sul marciapiede e che qualcuno mi abbia preso per un braccio facendomi attraversare. Che spavento! È sempre meglio chiedere: è questione di rispetto. Spiego anche che la lingua italiana è piena di riferimenti alla vista che anche noi continuiamo a utilizzare, non è necessario ricorrere a certi giri di parole, non è un problema dire ‘ci vediamo domani’. E poi mostro gli accorgimenti e i trucchi che si possono usare per tagliare il cibo, riempire un bicchiere, riconoscere le banconote, sapere se un foglio è bianco o scritto». Dalla sua borsa tira fuori alcuni strumenti ausiliari e me ne illustra il funzionamento. «La risposta è molto positiva – valuta –. C’è ancora tanto da fare, ma col passare degli anni vedo il frutto della sensibilizzazione nella società».

Traguardi
Marco è sempre stato un grande sportivo e tuttora pratica diverse discipline. Un’esperienza di cui ha vividi ricordi è il viaggio di una settimana in Grecia con la barca a vela: «Le varie melodie, l’acqua che sbatteva sul bordo della barca, le nuvole che ci sorvolavano con il loro leggero fruscio, il vento che riempiva la vela e ci spingeva». Ha anche riassaporato il piacere di tornare sulla vetta dell’Adula insieme a due suoi figli: «La dimostrazione che con ottimismo e volontà c’è sempre la possibilità di arrivare lontano, molto lontano». E in alto. «Amo le gite montagna, è il modo con cui ricarico le mie batterie. Il suono di una cascata, il profumo dei fiori, i passi e il respiro nel silenzio. Godo degli splendidi scenari che la natura offre con gli occhi dei miei accompagnatori; è un arricchimento anche per loro: nel descrivermi il paesaggio lo guardano con più attenzione, e io faccio notare odori e rumori di presenze che magari gli erano sfuggite. È un risveglio dei sensi per tutti». Marco ha fatto anche il cammino di Santiago: «Un viaggio in cui ho capito il valore della possibilità e della libertà di compiere sempre nuovi passi. E che al momento di tornare a casa il cammino non è finito, ma ricomincia ogni giorno».
Fuori ad aspettarci c’è Yannis, uno studente che ha partecipato alla formazione e si è offerto di darci un passaggio. Saliamo in auto e conversiamo allegramente con Marco durante tutto il tragitto. Ci racconta diversi aneddoti, come del suo primo incontro con Tarcisio Bisi, fondatore di Unitas: «Mi fa ‘pizzom mia la lus, perché innanzitutto la coscta e poi ghem mia bisogn’: eravamo nel suo ufficio al buio e a un certo punto è arrivata la sua segretaria che accendendo la luce è saltata in aria». Poi a un dato momento imbocchiamo la via sbagliata. «Dova sem chi? Nono, torna indrè, smorza ul rob (il navigatore). Fidati del cieco! Qui adesso fai il sottopassaggio, giri a destra, passi via la stazione, e la strada sale leggermente…». Arrivati. Altro che GPS.

IL PERSONAGGIO
Marco Lavizzari è nato a Bellinzona nel 1955, oggi vive a San Carlo, Val Poschiavo. È sposato con Maria con cui ha sei figli. All’età di 40 anni ha perso totalmente la vista per un glaucoma, malattia del nervo ottico che causa una pressione eccessiva all’interno degli occhi. Si è sottoposto a vari interventi chirurgici, ma nessuno ha avuto esito positivo. A distanza di 24 anni conduce una vita di cui è molto soddisfatto, ma continua a sperare nei progressi della medicina e di poter riacquistare anche solo un minimo di vista per vedere chi gli sta attorno e guardare per la prima volta i suoi 9 nipotini.

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