Come mollare tutto e reinventarsi artista
A colloquio con Giada Bianchi, che si è licenziata e ha seguito la sua passione, da Lugano a Sankt Moritz
Di laRegione
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
Parlo con Giada mentre sorseggia un caffè lungo nella mia tazza di Natale preferita. Pancho Villa, il mio gatto, la osserva un po’ a distanza e si sdraia vicino a noi, in attesa di ascoltare la nostra chiacchierata. «Nella mia ‘vita precedente’ ho lavorato per 17 anni come arredatrice di interni» mi dice con i suoi occhi che ridono. «Ho sempre avuto sete di creatività e mai come in quegli anni ne sentivo la necessità: scrivevo e facevo sculture. Fu in quel periodo che mi affacciai quasi per gioco alla pittura».
Il bagliore del cambiamento si accese circa 8 anni fa (lei ne aveva 36). Qualcosa prese una direzione inaspettata quando la assunsero in una redazione giornalistica. Dopo un po’ di tempo trascorso lì, si rese conto che non le bastava comunicare in quel modo, perché c’era qualcosa che non fluiva seguendo la sua vera natura.
Luce fu, rientrando in auto con alcune amiche dopo un corso di calligrafia svolto dai Monaci Camaldolesi in un monastero a Fano. Giada, con totale tranquillità, chiese a voce alta alle compagne di viaggio: «E se domani andassi in ufficio e mollassi tutto»? La risposta fu altrettanto diretta: «Ci sembra una buona idea»! La scelta, apparentemente coraggiosa, in realtà urlava a voce alta che non era sano fare quello che non amava. La domanda era: «Cosa fare, quindi»? La risposta fu forte e chiara: «L’artista». «Pensa che iniziai a creare aeroplanini di carta a soffioni» prosegue, non senza trattenere una pseudorisata. «Poi sono passata all’usare in maniera sapiente i colori su tela, buttandomi su quel trampolino che mi potesse lanciare verso un obiettivo da raggiungere esprimendolo attraverso l’arte: la mia esistenza.» Giada iniziò così a raccontare sé stessa attraverso le tele, come fossero pagine di diario. Grazie a questa esperienza imparò a trasformare gli avvenimenti della sua vita in forme e colori.
«Una sera, rientrando dopo una passeggiata in Engadina, ebbi un’intuizione: dovevo buttarmi e trasferirmi proprio lì, per dare libero sfogo alla mia trasformazione esistenziale e creativa.» Così fece, e nel giro di cinque giorni trovò un atelier e spiccò il volo verso Sankt Moritz. Lì non conosceva nessuno e non parlava tedesco, eppure sentiva che proprio quel luogo faceva parte della sua ricerca artistica. Un luogo dove isolarsi e avvicinarsi a quell’essenza interiore che desiderava farsi sentire e comunicare con e attraverso di lei.
Ogni tanto riceveva visite nel suo «eremo» engadinese. Alla domanda ai suoi amici: «Cosa pensi di questo quadro?» loro, un po’ a disagio, rispondevano: «Non me ne intendo di arte, non saprei». Giada si disse che se non riceveva la risposta, era perché non poneva la giusta domanda. Da quel momento qualcosa cambiò e la domanda si trasformò in: «Io con questo dipinto racconto qualcosa di me. Tu cosa mi racconti di te guardandolo»? Il risultato fu incredibile: le persone cambiarono atteggiamento e iniziarono a dialogare con il dipinto, permettendosi di sentire cosa suscitava in loro guardarlo. Per Giada fu nitida la sua «missione»: riuscire a immortalare l’incontro fra la pittura e le persone, attraverso la condivisione di proprie sensazioni, ricordi ed emozioni.
«E perché non provarci?», si chiese Giada. Attraverso Facebook lanciò un appello «al mondo là fuori, chiedendo di farmi raccontare qualcosa di sé, stimolato da un elemento generatore comune che poteva essere una domanda o un’immagine.» Dal virtuale iniziò a crearsi un circolo virtuoso: ricevette testimonianze registrate via messaggi vocali, che la aiutarono a dare vita alle sue tele in intrecci di colori, pensieri, ricordi ed emozioni.
Oggi il progetto di Giada si chiama «Ritratti Narrativi». I quadri si possono sia vedere che ascoltare: le testimonianze generate vengono raccolte in un unico file audio, che è possibile ascoltare durante la visione dello stesso dipinto. Ciò permette alle persone che lo guardano e lo ascoltano di tuffarsi con la propria storia nel dipinto: come un sasso che viene gettato nello stagno delle esistenze; dove i primi racconti sono le onde che genera in superficie, ma l’ascolto fatto a quadro finito permette al sasso di scendere più in profondità, di generare altri racconti e, soprattutto, nuovi incontri.
«Sono aperta a trovare persone che credano nei valori del mio progetto, così da poterlo ampliare e divulgare anche attraverso altre forme fisiche come murales, ambienti esterni o altro ancora».
Alla fine della chiacchierata Pancho Villa fa un balzo, non troppo felino visto il peso massimo, e si spaparanza sulle gambe di Giada. È nata una nuova amicizia.
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Giada Bianchi è nata a Lugano nel 1974 e dal 2016 vive a Sankt Moritz. Nel suo caleidoscopio di esperienze professionali e di vita ha indossato i panni di arredatrice d’interni, consulente Feng Shui, blogger, giornalista, fotografa, illustratrice e grafica. La scintilla che l’ha spinta a vivere questi mestieri è sempre venuta da una forza vitale: la curiosità.