L’orecchio della scrittura
‘Una delle cose più belle che possa succedere a chi viene tradotto è accorgersi che il traduttore ha ragione rispetto a lui’ (Claudio Magris)
Di Red.Ticino7
Pubblichiamo l’editoriale apparso su Ticino7, allegato a laRegione
“Ogni testo e ogni scrittore ha un suo ritmo. Penso alla prosa di Cormac McCarthy, che Raul Montanari ha definito ‘dondolante’. In effetti è proprio così, la sua scrittura ha un andamento che ricorda il cavallo della prateria. Se riconosci il suo stile e riesci a riprodurlo, sei proprio a cavallo e procedi lasciandoti condurre. In Suttree (Einaudi 2009, ndr) questo ritmo è così caratterizzante che preservarlo era una priorità, a costo di lavorare per sottrazione, a volte tagliando persino degli aggettivi. Quando traduco faccio una serie di scelte a una velocità folle, la mia mente scarta e propone automaticamente. Non credo si possa teorizzare granché sul proprio gesto, ed è naturale, perché tradurre è un atto creativo che comporta una buona dose di istinto. Non ho una ricetta, ma sempre due direttrici fondamentali: la prima è riuscire a sentire il testo; la seconda è riprodurre ciò che sento. È una questione di orecchio, come per una musicista o per una cantante che deve essere in grado di intonarsi, di intonare quello che legge. Quando prendo per la prima volta un testo tra le mani ho sempre paura. Un po’ come quando vai a un appuntamento con una persona che ti piace. Insomma, sai che stai per fare un incontro che nel bene o nel male ti segnerà. E spesso, quando cerco le parole nel dizionario, mi commuovo: ogni traduzione è un viaggio molto privato in un mondo di parole, e capita che cercando un lemma rintracci il solco di un viaggio precedente”.
Da “Maurizia Balmelli”, intervista di Stefania Briccola apparsa nella rubrica “Vitae”, Ticino7 n. 35/2010.