Sprigionarli
E se abolissimo il carcere?
Di laRegione
Abolire il carcere… che assurdità, ci vorrà pure una gabbia nella quale rinchiudere i delinquenti, per proteggere gli onesti. Eliminare le carceri è come abolire la guerra: bella idea, ma l’uomo è un legno storto. Sarà. Forse però dovremmo ripensare quell’istituzione che oggi diamo per scontata – sebbene abbia solo tre secoli – partendo da una premessa fondamentale: la pena inflitta deve servire anzitutto a riabilitare, non a punire. È per questo che si fece strada l’idea stessa del carcere, sostituto illuminista alle punizioni corporali: lo scopo non è la vendetta, ma il reinserimento in quel tessuto sociale che il reo stesso ha in qualche modo lacerato. Nulla impedisce di pensare che oggi vi siano misure più efficaci.
Non si tratta di buonismo, parola pelosa: può essere «abolizionista» anche chi dei carcerati se ne frega. Perché il reinserimento efficace dei detenuti evita le recidive, e quindi anche le minacce a quella sicurezza tanto cara ai retori del dove-andremo-a-finire-signora-mia (anche se viviamo in un Paese sempre più sicuro). Mentre le statistiche sono chiare: il carcere dimostra gravi limiti nella riabilitazione.
La privazione di libertà, l’angustia fisica e mentale, la convivenza coatta con gli altri detenuti, lo stigma del «pregiudicato» (parola ripugnante) contribuiscono anzi enormemente al rischio di recidiva. Le alternative ci sono: libertà vigilata, inserimento comunitario, percorsi educativi e terapeutici più articolati. La soluzione non è dietro l’angolo. Ma se non iniziamo a pensarci, sofferenze private e pubblici vizi rimarranno gli stessi. E imprigionati resteremo tutti.