Futuro all’opera. Il mondo degli apprendisti
La formazione professionale del nostro Paese è presa a modello. Vi presentiamo alcuni giovani che hanno fatto questa scelta, non priva di difficoltà
Di laRegione
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, disponibile anche nelle cassette di 20 Minuti per tutto il fine settimana.
Il futuro può fare paura anche quando si è giovani. Trisha Algisi tuttavia è fiduciosa che qualcosa salti fuori, a furia di cercare.
Finite le scuole avrebbe voluto lavorare nel campo dell’educazione, ma per formarsi non aveva la media abbastanza alta. Allora ha optato per la sua seconda scelta, parrucchiera, ma non ha trovato un posto di apprendistato. Terza scelta: scuola di sartoria di Biasca, che offre l’opportunità di un tirocinio in sede. «Mi piaceva. Nessuno nella mia classe aveva un posto di tirocinio, così andavamo tutti al laboratorio di cucito tre giorni su cinque. Nessuno di noi ha trovato lavoro alla fine della formazione; qualcuno ha continuato a studiare, altri hanno cambiato ramo. Io sono tornata alla mia prima scelta, ho seguito il corso di babysitting della Croce Rossa; adesso lavoro due giorni a settimana con dei bambini a casa mia e qualche ora in un’associazione per la prima infanzia. Aspetto un posto di tirocinio come operatrice socioassistenziale così da lavorare a pieno titolo negli asili nido e nel frattempo cerco un lavoro qualunque. Per assumerti però chiedono sempre esperienza e io non ne ho molta…».
No, del futuro non ha paura. Per ora vive dai suoi genitori a Malvaglia e si guadagna quello di cui ha bisogno, però se un giorno volesse uscire di casa e fondare una famiglia, non potrebbe. Dice: «Ho 23 anni e non sono difficile, qualcosa troverò».
Secondo Trisha sarebbe stato utile se durante la scuola ci fossero stati più contatti con il mondo del lavoro. «Avrei voluto conoscere qualcuno che aveva già finito l’apprendistato, ascoltare l’esperienza di chi ci è già passato, visitare più luoghi di lavoro nel nostro campo… Certo abbiamo fatto due stage di una settimana in fabbrica, però stavo in un angolo con la mia macchina da cucire e solo l’ultimo giorno mi hanno fatto visitare l’azienda; non ho mai parlato con i lavoratori perché quando io ero in pausa loro lavoravano e viceversa».
Anche Paola Solari aveva cominciato con un apprendistato di sarta, ma non trovando impiego ha deciso di diventare spazzacamina. «I lavori manuali mi piacciono e spesso sono quelli che ti rendono un piatto di pasta in più. Ho fatto due anni di apprendistato perché uno me lo hanno tenuto buono dalla prima formazione (nel 2013 è stata Miglior apprendista dell’anno, ndr), tre anni da operaia e ora dal 2016 mi sono messa in proprio».
Paola ha imparato il mestiere dal suo datore di lavoro, Samuel Bralla. Ha continuato a lavorare per lui, aumentando le sue responsabilità, finché si è sentita pronta ad aprire la sua propria ditta. «Sono stata fortunata perché la mia famiglia mi ha dato una mano per cominciare e poi piano piano sono riuscita a crearmi una clientela. Ora sono più libera ma devo anche essere più disponibile. Come donna trovo importante potersi gestire le ore di lavoro durante il mese; e naturalmente, in vista di una maternità, se hai la tua impresa puoi organizzarti meglio. Mio marito era pizzaiolo, così che quando io tornavo dal lavoro lui usciva. Allora mi ha proposto di aiutarmi nella mia ditta e ora è il mio apprendista. Aveva le mani bianche, adesso le ha nere. Quando avrà finito, la nostra diventerà un’impresa familiare, così potremo anche fare progetti di famiglia…».
Martina Suini sta imparando il mestiere di cuoca al Ristorante Stazione di Intragna e alla scuola di Trevano. «Mia mamma mi diceva che dovevo fare il Liceo e per un periodo l’ho anche fatto. Poi ho mollato e ho fatto alcuni lavoretti per scegliere bene l’apprendistato: non è solo la scelta di tre anni di formazione, è la scelta della tua vita. Per ragioni familiari in quel periodo ho dovuto iniziare a cucinare a casa mia, ho visto che mi piaceva e l’anno scorso ho cominciato il tirocinio».
È entusiasta, anche se a volte, vedendo i suoi compagni che vanno ‘a scuola e basta’, rimpiange il fine settimana libero, le vacanze, le uscite la sera… «Ho vent’anni e ogni tanto mi sento sotto pressione però, visto che amo quello che faccio, non mi pesa. È come se il lavoro, quando ti piace, diventa il tuo hobby. E poi ogni due settimane ci sono tre giorni di scuola, così si stacca un po’. Quei tre giorni sono intensi, io ascolto perché mi interessa e perché il mio formatore mi sprona sempre a raccontargli cosa ho imparato a scuola. Però vedo che tanti miei compagni non stanno attenti perché tanto sanno che non potranno essere bocciati. Da noi si può bocciare solo se lo dice il datore di lavoro, non gli insegnanti».
Martina è al primo anno ma i sogni volano lontano. «Faccio un lavoro che mi apre tante porte, devo solo scegliere in quali di queste entrare. Tanti sottovalutano l’apprendistato di cuoco, ma dopo puoi fare il pasticciere, o la scuola alberghiera, o il cuoco dietista. Puoi girare il mondo perché è un diploma riconosciuto ovunque, puoi cambiare tipo di cucina, o lavorare come stagionale, in inverno nelle stazioni sciistiche o in estate sulle navi… Se hai voglia e ambizione puoi arrivare dove vuoi anche con un semplice apprendistato… Mia mamma piano piano lo ha capito. Pensava che con il Liceo avrei avuto migliori possibilità, ma adesso che mi vede così motivata capisce che le opportunità me le do io e non la struttura nella quale mi inserisco».
Le misure di transizione, generalmente proposte dai Cantoni, sono volte a sostenere i giovani nella ricerca di una formazione o nell’elaborazione di un progetto professionale, ma anche a rafforzare le loro conoscenze scolastiche. Il pretirocinio di orientamento è utile quando non si ha un’idea precisa (circa 200 ragazzi l’anno) e quello di integrazione è rivolto ai non italofoni (150 tra svizzeri e stranieri).
Non è facile decidere, capire quale strada percorrere, così giovani. Alex Randazzo ha ripetuto la quarta media per fare la scuola sociosanitaria, ma poi ha cambiato strada e ha fatto alcuni stage per capire cosa gli piaceva. «Mi è piaciuto lavorare in ufficio e allora ho optato per il commercio. Ho trovato un posto alla Elettro-Celio di Giubiasco e mi trovo bene, però bisogna impegnarsi molto. Se potessi tornare indietro continuerei la scuola. Finito l’apprendistato vorrei fare la maturità professionale e poi vedrò. Magari sarò più grande e avrò meno distrazioni per la testa e quindi potrò lavorare meglio; magari invece farò la Supsi».
Per Vincenzo Medici di Corteglia invece è stato chiaro fin da subito. A 11 anni, durante una colonia ad Airolo, si è trovato di fronte a un decespugliatore rotto in una discarica. Lo ha desiderato tanto che ha convinto il suo padrino a tornare qualche giorno dopo ad Airolo a prenderlo. Il nonno lo ha sfidato: se riesci ad aggiustarlo ti offro una cena di pesce. Il ragazzino in qualche modo si è ingegnato e ha ridato vita al decespugliatore. I genitori di Vincenzo hanno entrambi una laurea universitaria ma era chiaro che il figlio non ne voleva sapere di studiare. Voleva lavorare con i Fratelli Bortolotto, che riparano macchine agricole. Ha svolto lì l’apprendistato e ora lo hanno assunto. «Non ci è mai venuto in mente di insistere per fargli fare altro», ride la mamma. «Era talmente convinto che ci siamo fidati,
e abbiamo fatto bene».