La ‘paragonite’: perché quello che abbiamo non ci basta mai?
‘Chi non è soddisfatto di ciò che ha, non sarebbe soddisfatto neppure se avesse ciò che desidera’ (Socrate)
Di Giovanni Luise
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione
“L’attesa del piacere è essa stessa piacere”, recita un famoso spot pubblicitario riprendendo un aforisma del filosofo tedesco Gotthold Lessing risalente al Settecento. Ma sono convinto che se lo scrittore illuminista fosse vissuto ai nostri tempi avrebbe riadattato la sua massima in: “L’attesa del piacere… è molto meglio del piacere stesso!”.
Oggi viviamo il paradosso dell’abbondanza: più aumenta la possibilità di scegliere, meno soddisfazione proviamo dalla scelta fatta perché siamo immediatamente assaliti dalla febbre della “paragonite” (ma qui non parliamo di silicati, cioè della paragonite nota a chimici e fisici, ndr), dal dubbio amletico di poter esserci sbagliati e dalla conseguente recriminazione per ciò che poteva essere… e che non è stato. Se la pizzeria sotto casa invece di proporci 175 tipi di pizze con 16 possibili impasti diversi avesse un menù meno incasinato, verosimilmente anche noi eviteremmo di maledirci per non aver scelto quella fumante prosciutto e funghi appena arrivata al tavolo a fianco…
Troppa scelta
Le società sviluppate ci spingono verso forme di consumismo sempre più estremo e, come se non fosse soddisfatta dei danni socioculturali che provoca, vogliono anche convincerci del fatto che soddisfazione e felicità dipendano prevalentemente dai beni materiali che possediamo. Abbiamo probabilmente sbagliato a considerare la semplicità con cui affrontavano la vita i nostri nonni e genitori come scontata e banale ordinarietà sottovalutandone la straordinaria leggerezza, con il risultato che siamo finiti per diventare schiavi del demone della felicità utopistica basata sul “forse sarebbe stato meglio se…” piuttosto di riuscire a goderci il “fantastico! Mi è appena capitato che…”. Socrate, filosofo greco che saggiamente ha evitato di lasciare scritti per evitare (sicure) erronee interpretazioni da parte dei posteri, in uno dei suoi famosi dialoghi affermò: “Chi non è soddisfatto di ciò che ha, non sarebbe soddisfatto neppure se avesse ciò che desidera”. Ora, senza addentrarci troppo in pipponi psico-filosofici vale la pena provare a domandarsi: ma se all’improvviso avessimo tutto ciò che desideriamo, ci sentiremmo realmente più soddisfatti? Probabilmente no, perché neanche lo sappiamo che cosa davvero desideriamo!
Rincorrendo la felicità infinita
Siamo effettivamente consapevoli del fatto che dietro il sogno di una relazione perfetta, del lavoro più gratificante, degli amici fraterni che non ci abbandoneranno mai o degli oggetti tecnologici più innovativi, c’è la realtà fatta spesso di seccature, vuoti, incomprensioni, confronti, convenzioni e protocolli da seguire? Sogniamo di rispecchiarci nei film, nelle canzoni, in poesie e nei romanzi perché dentro quei luoghi non esistono tempi morti dimenticandoci, però, che i tempi morti rappresentano l’80% della vita. La vacanza che sogniamo quando arriva è sempre marginale perché stiamo già fantasticando su dove trascorrere la prossima, il nuovo ristorante ci soddisfa però quello che consigliava il collega sarebbe stato meglio, e il party al quale siamo invitati chissà perché è sempre più divertente quando è vissuto nella nostra testa.
Bramiamo una felicità infinita, ma di infinito c’è solo quel senso di appagamento che inseguiamo come un sogno senza confini (e proprio per questo irrealizzabile) che ci induce a commettere l’imperdonabile errore di trasformare qualcosa o qualcuno che può rappresentare un arricchimento della nostra vita, in una dipendenza della nostra vita.
La sindrome della lamentela
Viviamo con senso di superiorità tutto quello che ci capita per cui sembra sempre ci voglia “ben altro” per soddisfarci, e anche quando miracolosamente riusciamo a realizzare qualcosa, la nostra tensione non riesce mai a tramutarsi in serena quiete ma finisce per evolversi in una nuova conquista “verso l’infinito e oltre!”, come direbbe il militare/esploratore spaziale Buzz in Toy Story. Per nostra sfortuna la continua disperata ricerca di nuovi stimoli genera automaticamente insoddisfazione e frustrazione sia per l’innata ipersensibilità che abbiamo verso tutte le forme di fallimento, sia per la nostra odiosa e ripetitiva tendenza alla lamentosità. Impariamo ad accettare che l’universo non è stato creato per il nostro appagamento ed evitiamo quindi di aspettarci che lo faccia. Ma se non è il mondo che può renderci felici, se non possiamo scaricare questa responsabilità su un’altra persona né tanto meno possiamo aggrapparci a qualche oggetto acquistato online, da chi mai può dipendere la nostra felicità… se non da noi stessi? Non è che forse fatichiamo a essere felici perché abbiamo paura di esserlo?