Se non sono lettere saran cerotti
Le buone parole scaldano il cuore: magari son bugie, ma aiutano a coltivare le illusioni
Di Giancarlo Fornasier
Pubblichiamo l’editoriale apparso su Ticino7, allegato a laRegione.
La magia della lingua è segnata dalle rime. È una questione di suoni e di vibrazioni, come in quelle stralunate litanie alternate che si rincorrono e si rinnovano ma senza un fine apparente. “Bello, ma che vorrà dire? Credo di non aver capito…”. Sai che novità. A cercare sempre un senso alle cose si fa una gran fatica e rischi di perderti quello che ti sta travolgendo, nel bene e nel male: vedi la pagliuzza ma trascuri il traliccio alto dieci piani. “Ogni tanto, per andare avanti, serve solo la parola giusta”. Funziona grossomodo come il cerotto e la bua dei bambini: in verità è solo un graffietto ma pare abbiano visto la morte in faccia. Poi da una scatolina compare la parola magica, tu la incolli dove serve e passa tutto. E loro ti promettono che non cadranno mai più. Chissà.
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi
col cielo dagro e un fònzero gongruto
ci son meriggi gnàlidi e budriosi
che plògidan sul mondo infrangelluto,
ma oggi è un giorno a zìmpagi e zirlecchi
un giorno tutto gnacchi e timparlini,
le nuvole buzzìllano, i bernecchi
ludèrchiano coi fèrnagi tra i pini;
è un giorno per le vànvere, un festicchio
un giorno carmidioso e prodigiero,
è il giorno a cantilegi, ad urlapicchio
in cui m’hai detto “t’amo per davvero”.
“Il giorno ad urlapicchio” di Fosco Maraini (da Gnòsi delle Fanfole, 1978)