$Amazon. Consumi, lavoratori, concorrenza (e grandi affari)
Il più grande mercato sulla faccia della Terra fa parlare di sé. Questa volta è un problema di diritti, ma la materia sulla quale riflettere è molto più ampia
Di Federica Cameroni
Pubblichiamo un articolo apparso sabato su Ticino7, allegato a laRegione.
Il gigante dei giganti è di nuovo protagonista. Non per i suoi guadagni (enormi) in periodo di crisi, ma per il (mal)trattamento dei lavoratori. Tanto che lo scorso 22 marzo in Italia vi è stato il primo sciopero generale della filiera Amazon, con unʼadesione del 75% secondo gli organizzatori. Una manifestazione a cui sono seguite proteste in Germania e Alabama, dove potrebbe nascere il primo sindacato per lavoratori Amazon. Anche se, ed è notizia di venerdì in serata, la maggioranza dei dipendenti al momento ha respinto in modo netto l’idea di una presenza sindacale, con scambi di accuse reciproche. Fra le rivendicazioni: riduzione di mole, orari e turni di lavoro; salari adeguati; stabilità occupazionale e rispetto dell’autorità sindacale, finora rifiutata dall’azienda. Ma dietro al problema legato al personale vi è molto, molto altro…
“Mettiamo al primo posto i dipendenti offrendo un ambiente di lavoro sicuro, con salari fra i più alti del settore; usiamo tecnologie avanzate e le mettiamo al servizio dei lavoratori e fornitori per migliorare la sicurezza sul lavoro e semplificarlo” , sostengono i vertici di Amazon. Ma gli stipendi, dicono i sindacati, dipendono dalla quantità di lavoro svolto ed è proprio ciò che porta a turni massacranti, i driver consegnano fino a 180 pacchi al giorno. Considerando che già i lavoratori lamentano di essere comandati da un algoritmo che stabilisce i ritmi di lavoro, preoccupano anche le innovazioni tecnologiche che Amazon intende realizzare o ha già realizzato. Da Alexa (l’assistente virtuale e “orecchio assoluto” di Amazon) che sarà in grado di interagire nelle conversazioni e, sentendo due persone affermare d’aver fame, potrebbe chiedere loro cosa vogliono ordinare; alla consegna anticipata: sapere prima chi e cosa acquisterà permette non solo d’inviare il prodotto in anticipo al punto di consegna geograficamente più vicino al cliente (già avviene), ma persino di spedirglielo senza che l’abbia ordinato. Il costo dell’eventuale reso sarebbe irrisorio per l’azienda. Il brevetto di questa pratica (Anticipatory Shipping) è stato ottenuto da Amazon nel 2013.
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Stando agli ultimi dati forniti dal colosso americano, sarebbero poco meno di un milione e 300mila i dipendenti sparsi nel mondo. Erano 17mila nel 2007, 117mila nel 2013, 230mila nel 2015 e 647mila nel 2018 (da ʻAmazon.com Announces Fourth Quarter Resultsʼ, febbraio 2021).
Analisi prescrittiva e umanità nascosta
Nel campo dell’analisi di dati si segna il passaggio da analisi predittiva a prescrittiva: da indovinare il problema ad anticipare la sua risoluzione. Se, avendo un negozio di abbigliamento, grazie all’analisi predittiva potevo capire che stava per esaurirsi una linea di magliette – e scegliere cosa fare – grazie all’analisi prescrittiva mi sarà possibile fare in modo che le magliette si riforniscano automaticamente prima di esaurirsi.
Se prima Amazon indovinava che stavo per comperare un romanzo fantasy con protagonista un vampiro, perché sapeva che a una certa data corrispondeva il compleanno di mia nipote a cui sono solita regalare romanzi fantasy, quindi, al momento adeguato me ne proponeva una serie fra cui scegliere; ora deciderà lui quale spedirmi. Per farlo si baserà su una serie di dati che Amazon possiede in quantità e qualità nettamente superiore a qualsiasi altra azienda: il tempo speso su una pagina, statistiche dell’area geografica, ordini precedenti, liste dei desideri, elenchi regionali popolari, ricerche simili, media del tempo speso prima di procedere all’acquisto… È probabile che si integrerà anche con Alexa: se si dovesse comunicare all’assistente virtuale di aver terminato la carta igienica, lei, a sua volta, potrebbe riferirlo ad Amazon che la invierà al cliente. Ad Harvard alcuni ricercatori hanno coniato l’espressione “il paradosso dell’ultimo miglio” (The Last Mile Paradox) per spiegare come la gig economy dia l’impressione di creare posti di lavoro che serviranno poi a sostituire gli stessi. Secondo Quartz.com (guida dedicata all’economia) i posti di lavoro distrutti da Amazon toccherebbero 170mila persone l’anno.
Oltre ai robot a sostituire il lavoro umano, è il principio del Machine Learning a lasciar intendere che sia questa la direzione. Per far apprendere a una macchina dei concetti occorre creare algoritmi che le permettano di capire determinate cose (output) in base a una serie di regole (input), tramite molti esempi (datapoints). Se voglio che impari a stabilire autonomamente il prezzo delle case sul mercato, le mostrerò degli esempi indicandole come output il prezzo e come input la grandezza. Tutto questo procedimento richiede numerose persone che compiano lavori di catalogazione e supervisione.
Il confronto uomo-macchina
Nel documentario della trasmissione Frontline “Amazon Empire: The Rise and Reign of Jeff Bezos”, un ex dipendente sottolinea come anche nelle pubblicità di Amazon l’intervento umano sia nascosto: sembra che i pacchi si spediscano e arrivino da soli e l’unico essere umano sia il cliente: “I dipendenti sono trattati come parte dello scorrere dei dati”. Questo meccanismo ha comportato anche qualche lesione alla privacy dei clienti. È il caso della già citata assistente virtuale Alexa che funziona in combinazione con gli altoparlanti Echo. Nel 2019 Bloomberg svelò che le registrazioni dei comandi vocali venivano ascoltate e trascritte dai dipendenti, al fine di migliorare i problemi di comprensione del linguaggio di Alexa. Amazon rispose che le registrazioni erano brevi e anonime e che nei termini e condizioni la clausola era esplicitata e poteva essere rifiutata (tuttavia si era iscritti di default). Due dipendenti intervistati da Bloomberg rivelarono d’aver avuto il dubbio di aver assistito a una violenza sessuale; nonostante Amazon dichiari d’avere una procedura ad hoc da seguire in questi casi, i due sostengono d’aver ricevuto ordine di non riferire nulla alla polizia. Oltre al lavoro temporaneo che non servirà più una volta che Alexa avrà imparato a parlare perfettamente, come sostiene la documentarista e scrittrice Astra Taylor interrogata da The Atlantic il rischio è che gli stessi lavoratori non sappiano più se doversi comportare come persone oppure automi.
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Dove vanno a finire i prodotti ʻinvendutiʼ presenti nei magazzini Secondo i dipendenti si butta di tutto: ‘giocattoli, aspirapolveri, asciugacapelli. Cartoni interi di scarpe e vestiti firmati. Modelli di collezioni passate che non si vendono piùʼ (dal libro-inchiesta di Benoît Berthelot, ʻLe monde selon Amazon’, 2019).
Amazon e la ʻsuper-potenzaʼ
Netflix, Tumblr, Dropbox, Pinterest e il governo federale degli Stati Uniti usano i servizi di infrastruttura informatica, stoccaggio dati su cloud, contenuti digitali o cybersicurezza di Amazon Web Services, società che rappresenta il 77% del reddito operativo consolidato di Amazon. Dei suoi servizi di trasporto e logistica si avvalgono persino i diretti concorrenti come Etsy oppure eBay.
La potenza espansiva dell’azienda che ramifica in qualsiasi settore è preoccupante. Oltre ai suoi prodotti e al fatto di rivendere quelli degli altri, nel tempo Amazon ha compiuto più di 130 acquisizioni: Whole Foods (alimentare), Zappos (scarpe), Twitch (Social Network), Kiva System (robotica), Quidsi (infanzia) ecc. Tramite le sue piattaforme distribuisce libri, musica e televisione. Inoltre il suo marchio è dietro una serie di dispositivi di successo: Kindle, Echo e Amazon TV. Negli USA detiene il 70% delle vendite del commercio online, mentre in Europa ha raggiunto il 10%. Ha tentato di espandersi in Cina – senza riuscirci –, India e Medio Oriente, dove ha acquistato la piattaforma di e-commerce Souq. Con Amazon Lending, sistema di erogazione prestiti a breve termine per le piccole e medie aziende legate ad Amazon, è entrata nel settore bancario; con Diagnostic Development Initiative, annunciata a marzo scorso con l’intenzione di aiutare la ricerca sul Covid-19, anche nella ricerca scientifica.
Le aziende che lamentano comportamenti scorretti da parte di Amazon sono svariate. Celebre è il caso di Quidsi, azienda proprietaria del sito diaper.com – pannolini e simili – e considerata promettente nel 2009. Un dirigente raccontò al Wall Street Journal che in seguito al rifiuto di vendere ad Amazon, questi cominciò ad abbassare sistematicamente i prezzi sui prodotti per l’infanzia fino a dar vita, l’anno seguente, al programma Amazon Mom che costrinse Quidsi a vendere.
Come creare monopoli e controllare il mercato
Lina Khan, in uno studio del 2017 per Yale Law Journal intitolato “Amazon Antitrust Paradox” indaga le pratiche concorrenziali scorrette tenute dall’azienda, ponendo l’accento sul rischio di Predatory Pricing (prezzi predatori). Pratica perseguita anche dall’antitrust, che consiste nell’abbassare i prezzi dei prodotti per eliminare dal mercato chi non riesce a produrre sottocosto per poi trovarsi in una condizione di monopolio con cui osteggiare nuovi concorrenti. Data la rapidità del mercato digitale, dove anche i prezzi sono soggetti a continui mutamenti, è complesso dimostrare che Amazon venda sottocosto. Inoltre, ciò che rende Amazon addirittura indispensabile ai suoi rivali riguarda il possesso di dati a cui ancora si fatica ad attribuire un valore concreto.
Più commercianti hanno accusato Amazon di aver usato il Marketplace, la funzione che permette a terzi di vendere tramite la piattaforma, come laboratorio per studiare quali prodotti funzionassero sul mercato. Amazon avrebbe usato i dati delle aziende (numero di prodotti ordinati e spediti, ricavi, numero di visite sulle offerte, spedizioni, risultati pregressi, reclami) per realizzare prodotti concorrenti targati Amazon Basic, marchio che verrebbe favorito dagli algoritmi. Critiche presenti anche nel rapporto Amazon Stranglehold realizzato dall’organizzazione no profit Institute for Local Self-Reliance.
A novembre 2020 la Commissione Europea ha dichiarato d’aver ultimato un’indagine preliminare su Amazon e l’uso improprio dei dati di aziende terze. Inoltre ne ha iniziata una seconda sulle pratiche sleali e sul fatto di favorire i prodotti delle aziende che usufruiscono dei servizi di logistica Amazon. L’azienda dichiara di non trovarsi d’accordo con tali affermazioni. Anche negli USA Amazon è nel mirino dell’antitrust e a luglio 2020 Jeff Bezos ha dovuto partecipare – insieme ai CEO di Google, Facebook e Apple – a un’audizione al Congresso degli Stati Uniti e rispondere alle domande sulle pratiche anticoncorrenziali. Bezos ha dissentito dalle accuse di favoreggiamento, su altro ha preferito non rispondere sostenendo di doversi consultare col suo staff.
… E IN SVIZZERA?
La Confederazione è fra i pochi paesi a essersi “protetta” in anticipo da Amazon, imponendo, dal 2019, l’aliquota del 7,7% alle aziende non residenti che forniscono servizi a distanza ai cittadini svizzeri e che superino i 100mila franchi di fatturato annuo. Per questo Amazon.ch non è più stato aperto – si viene rinviati al sito tedesco – e Amazon.com non effettua più spedizioni in Svizzera.