Noi, nell’epoca del capitalismo della sorveglianza
Li chiamano Big Data, in pratica sono una sterminata raccolta di informazioni, spesso molto personali, dal valore commerciale enorme. Tanta roba insomma…
Di Federica Cameroni
Pubblichiamo un contributo apparso in Ticino7, allegato del sabato a laRegione.
Guardi un video di ricette su YouTube, l’algoritmo capisce che sei interessata alla cucina. Ne guardi degli altri quindi stabilisce che, in particolar modo, ti piacciono i dolci al cioccolato. L’algoritmo va oltre: sa che sei una donna, conosce la tua età e presume tu sia fertile; consumi contenuti che riguardano il cioccolato una volta al mese e non sempre, quindi non sei né golosa né appassionata al cioccolato, è una questione ormonale. Ecco che ti compariranno banner pubblicitari con confezioni di prodotti per l’intimo scontati. Geniale, ma come fanno e quale prezzo paghiamo noi utenti, spesso ignari di tutto?
Se qualcuno vi consiglia (quasi) sempre quello che volete, non è magia: è il potere dei mega dati (Big Data), una delle risorse più ambite e preziose della nostra epoca. I colossi del Big Tech che ne possiedono quantità enormi – Google, Apple, Facebook, Amazon, ma seguono a ruota Microsoft e Uber – hanno un valore di mercato complessivo che supera i 5 trilioni di dollari, cresciuto ulteriormente a causa della pandemia.
Le aziende che possiedono più dati possono sviluppare intelligenze artificiali e servizi personalizzati migliori, i quali attraggono sempre più utenti che rilasciano sempre più dati rendendole ancora più potenti. Shoshana Zuboff, ricercatrice ad Harvard, ha coniato il termine capitalismo della sorveglianza riferendosi alla possibilità derivata dallo studio dei mega dati di modificare il comportamento umano in nome del profitto.
Anche i governi usufruiscono dei Big Data per la sorveglianza. Senza metafore. Ad esempio per individuare e controllare potenziali terroristi: in Svizzera l’organo che si occupa di questo è il SIC (Servizio delle attività Informative della Confederazione) che fa capo al Dipartimento Federale della Difesa, della protezione della popolazione e dello sport. Sulla protezione dei dati vigilano l’incaricato federale
e cantonale per il settore pubblico.
Noi, analfabeti digitali
Attualmente in Ticino i mega dati vengono utilizzati per lo più nel ramo delle telecomunicazioni, nel settore assicurativo e bancario (per migliorare la gestione dei rischi, ottimizzare il portafoglio clienti e prevedere attività illecite) o dai supermercati. Nella maggior parte dei casi il fine è quello di fare proposte commerciali basate sui gusti dei clienti o migliorare il processo di automatizzazione digitale dell’azienda.
Cristina Giotto direttrice di Ated ICT, un’associazione ticinese che si occupa, fra le varie cose, di promuovere un uso della tecnologia consapevole, sostiene che i dati siano una delle maggiori risorse che abbiamo oggi; motivo per cui il numero di abusi in cui rischiamo d’imbatterci è elevato. Oltre ai problemi legati alla privacy, forse i più numerosi, incorriamo in problematiche legate alla cybersicurezza – ancora troppo sottovalutate – e al mercato: le aziende che non sapranno stare al passo con le nuove tecnologie rischiano di esser soppiantate da chi avrà implementato questo settore. Gli usi positivi ipotizzabili sono tanti: basti pensare al campo della ricerca scientifica, dove un accesso più rapido a una mole più grande d’informazioni potrebbe significare una sperimentazione più rapida; o alle iniziative promosse dalla stessa associazione in cui l’uso di queste tecnologie è volto a ridurre l’inquinamento. Il potenziale dei Big Data è enorme, bisogna imparare a gestirlo senza subirlo.
Nel tempo è nato un legittimo timore in materia di protezione dati, palesatosi pure nelle discussioni sull’applicazione Swisscovid. Tuttavia le argomentazioni, sia degli scettici sia dei promotori, sono risultate spesso scollate dalla realtà. Siamo analfabeti digitali, parliamo una lingua differente rispetto agli sviluppatori delle applicazioni che quotidianamente utilizziamo e che installiamo senza leggere termini e condizioni, concedendo loro accesso a parti private del nostro telefono.
Il ciclo dei dati e bolle di disinformazione
Dato l’avvento dei social network e dei Big Data la comunicazione di massa si è trasformata in comunicazione individuale. Se prima una notizia arrivava in uguale forma a una moltitudine di persone, oggi notizie diverse appaiono agli utenti a dipendenza delle loro interazioni virtuali. Nella mia home page di Facebook (Newsfeed) vedo prima i contenuti delle persone con cui interagisco più spesso o le notizie dei quotidiani che leggo abitualmente. Non sono gli stessi che vengono proposti a Tizio, a Caio e nemmeno a mio fratello. I contenuti personalizzati polarizzano l’informazione creando delle bolle di disinformazione. Se sono convinta che il Covid-19 non esiste, consumerò una grande quantità di contenuti che lo sosterranno; di conseguenza gli algoritmi me ne proporranno altri simili: il mio accesso alle informazioni sarà limitato a questa bolla che mi sono autocostruita. In modo analogo funzionano le inserzioni pubblicitarie; le mie riguardano spesso i voli aerei e nella maggior parte dei casi sono dinamiche, perché l’algoritmo ha stabilito che la mia attenzione è catturata da immagini in movimento più che statiche. Chi riesce a ottenere più dati può proporre pubblicità più performanti, avrà dunque più inserzionisti interessati a pagargli uno spazio virtuale per promuovere il proprio prodotto.Ogni azione che compio nel web corrisponde a una serie di dati che viene registrata da Google, Facebook o chi per loro. I dati vengono immagazzinati o in luoghi fisici (Data Center) o tramite servizi virtuali di Cloud Computing. A questi, causa l’estrema ramificazione e internazionalità del web, corrisponde spesso una maggior perdita di controllo. A questo punto si tratta di dati grezzi (raw data) non analizzabili, serve un algoritmo in grado di estrapolarne delle informazioni, unirle fra loro e interpretarle in maniera utile.
Le persone a cui piace il cioccolato – esempio inventato e molto semplificato – sono emotive; quando visualizzano una pubblicità progresso si commuovono e la condividono: a loro verranno proposte pubblicità centrate su un messaggio sociale più che sul fatto che un gran numero di persone è fedele acquirente di quel prodotto, perché questo non è un criterio che influenza le loro azioni o i loro acquisti. A ogni click l’algoritmo impara nuove cose, si migliora e profila gli utenti in modo sempre più accurato.
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Psicometria e analisi predittorie
La psicometria è una disciplina che mira a studiare scientificamente elementi intangibili, come la personalità, scomponendoli in elementi più concreti e rintracciandoli tramite indicatori. Per esempio utilizzare frequentemente il termine “actually” (in realtà, indicatore linguistico) è indice di scarsa stabilità emotiva (elemento della personalità). Il modello OCEAN, o anche detto dei Big Five, prevede che la personalità sia composta da cinque tratti principali: apertura mentale (Openness), coscienziosità (Conscientiousness), estroversione (Extraversion), amicabilità (Agreeableness) e stabilità emotiva (Neuroticism); per ognuno di questi vi sono dei sottogradi che indicano la quantità in cui quel tratto è presente (molto/poco emotivo). Nel 2012 Michal Kosinski, ricercatore all’Università di Cambridge, mette a punto un metodo per catalogare le persone seguendo il modello OCEAN, basandosi solo sui “mi piace” di Facebook. 68 like sarebbero stati sufficienti per predire il colore della pelle di una persona con una precisione del 95%, il suo orientamento sessuale o l’appartenenza politica (in questo caso la precisione scendeva rispettivamente a 88% e 85%). Con un numero ancora maggiore di like era possibile prevedere il quoziente intellettivo, la religione, uso o abuso di sostanze e alcune caratteristiche familiari.
Negli USA il metodo Kosinski è stato usato dall’azienda digitale che ha gestito la campagna elettorale di Donald Trump nel 2016 (Cambridge Analytica) per diffondere bufale mirate al fin di manipolare o sopprimere il voto degli elettori. Apply Magic Sauce, il sito web del centro psicometrico di Cambridge creato da Kosinski, permette di caricare i propri dati (Facebook, Twitter o Linkedin) e vedere quali previsioni possono essere fatte sul nostro conto. È bastato inserire le informazioni riguardanti i “mi piace” (68), commenti (542) e post (172) affinché indovinasse la mia età, il mio genere sessuale, la mia (non) religiosità, le mie tendenze politiche e ad azzeccare i miei tratti della personalità. Aumentando la quantità di dati è arrivato a dirmi quanto io sia soddisfatta della mia vita – potrei esserlo di più – e quanto forti siano le mie capacità di leadership: giustamente ha stabilito fossero scarse siccome passo troppo tempo a contemplare il mondo…
Discriminazioni, leggi e abusi
L’analisi dei dati non serve solo a offrire pubblicità più efficaci, ma anche a variare i prezzi in base alla fascia o all’interesse che le persone dimostrano di avere nei confronti di un prodotto esauribile. È il caso di molti siti per prenotare hotel o voli aerei. Un rapporto dell’AGCOM (Autorità italiana per le Garanzie nelle Comunicazioni) mette in guardia da possibili risvolti pericolosi come pratiche algoritmiche discriminatorie legate al prezzo basate su orientamento sessuale, etnia, razza o stato di salute.
Swisscom utilizza le analisi predittive per l’ottimizzazione dei pagamenti (come evitare di inviare richiami nel caso abbiano la certezza che il cliente sia un pagatore puntuale, ma ritardatario), ma anche per la manutenzione interna: sapere in anticipo quando i macchinari avranno dei guasti e ottimizzare l’inventario. I loro sistemi di profilazione, anche a causa di una popolazione limitata, non risultano certo accurati come quelli usati dalle grandi aziende di Big Data. E fortunatamente i nostri politici sono lontani dall’usare tecniche digitali così sofisticate per le loro campagne elettorali.
Nel 2016 è stata varata la General Data Protection Regulation, un testo unico che regola a livello europeo le leggi sul trattamento dati, a cui si è allineata anche la legge svizzera (LPD). Ciò nonostante restano numerosi gli abusi in campo digitale. Così come l’eventualità che questo fenomeno – che ci è sfuggito di mano prima ancora che ci rendessimo conto esistesse – si sviluppi in scenari ancor più inquietanti. Staremo a vedere.