Latte materno, una questione fra natura e cultura (che cambia)

Con la giornalista Dussault discutiamo di allattamento, dei suoi tempi e di come spesso si cerchi di una norma, laddove non c’è

Di Clara Storti

Pubblichiamo un contributo apparso su ticino7, allegato a laRegione

Un gesto antico che è insieme nutrimento, legame, cura e amore: allattare i propri figli è un atto che fa parte della nostra biologia di mammiferi. Un fatto naturale che però (che avvenga o meno) lascia sempre da ridire a chi sta a guardare… Ne parliamo prendendo come punto di partenza il libro della giornalista Andrée-Marie Dussault.

“Il ginecologo mi ha detto che il mio seno era troppo piccolo per poter allattare, quindi non ci ho neppure provato”. “Perché allatti ancora tua figlia, il latte, dopo un anno, diventa acqua”. “Il medico, vedendomi allattare mia figlia di due anni, con un seno, secondo lui, non molto prosperoso, mi ha detto che mia figlia si sapeva accontentare”. “Allatto tuttora mia figlia di tre anni, ma le do il seno solo a casa, in pubblico non lo faccio più”.

Mio figlio è nato durante il Covid. In clinica, non avevo grandi possibilità di scambio e neppure potevo beneficiare della stanza dell’allattamento, temporaneamente chiusa per il rischio di contagio. Nutrire mio figlio naturalmente è stato un disastro: posizioni, espedienti, opinioni, sempre diversi e sempre in qualche modo poco azzeccati; una pratica d’allattamento avvenuta a spizzichi e smozzichi, con informazioni sempre diverse, spesso contrastanti. Una volta a casa, dopo una settimana, nonostante il rammarico, ho deciso di smettere di allattare il mio marmocchietto e dargli esclusivamente il biberon. In seguito alla mia decisione, la levatrice che mi seguiva a domicilio mi ha detto: “Ricordati però di prenderlo in braccio qualche volta!”. Il pensiero di non riuscire a sfamare il mio bambino con le mie forze già mi metteva addosso un grande senso di colpa, come avrei potuto dimenticare addirittura di tenerlo fra le mie braccia?

Sotto la lente

Parto dai resoconti di una manciata di conoscenti e da uno personale, intimo, perché gravidanza, maternità, allattamento e tutto ciò che vi orbita attorno sono un fatto individuale, ma c’è sempre qualcuno che pare sapere una pagina in più del fantomatico, quanto indefinibile, manuale della buona madre. E non parlo di un’esperienza tramandata – quella è altra cosa –, ma di veri e propri Diktat “così-si-fa!-non-così!”. Insomma, che si allatti o meno, per quanto tempo e come, pare essere una questione pubblica, di tutti, che mette le mamme sempre sotto la lente della società.

Il tema non è campato per aria, le occasioni per scriverne sono due: una pubblicazione e una ricorrenza. Quest’ultima è la Settimana mondiale dell’allattamento al seno che si chiude domani e che si propone – dagli anni Novanta, su impulso della World Alliance for Breastfeeding Action – di sensibilizzare sul tema e aumentare la consapevolezza sui suoi benefici per la salute di bambine, bambini e madri, con focus (nell’edizione 2025) sulla sostenibilità, in quanto elemento con una minima impronta ecologica. Il secondo pretesto è il libro Allattare oggi. Oltre le idee preconcette (Meltemi Linee, 2025) scritto dalla giornalista indipendente di origini canadesi, basata in Ticino, Andrée-Marie Dussault, che tratta l’allattamento oltre i canonici termini occidentali, portandolo avanti anche nei primi anni di vita, perciò detto «non accorciato».

Una pubblicazione innescata da un fatto di cronaca giudiziaria svizzera accaduto diversi anni fa e che ha coinvolto una madre accusata di abuso su fanciulli perché ha allattato sua figlia “grande”. Dopo quell’evento e una raccolta firme lanciata online in favore della libertà di allattare, Dussault si è presa il tempo per raccogliere diciannove testimonianze di madri occidentali che hanno allattato i propri figli anche oltre i due anni, nonostante un’opinione sociale diffusa non molto accogliente.

Normalità versus straordinarietà

«Il mio obiettivo era contribuire a fare luce sul fenomeno. È un argomento tabù che non appare mai, neanche nei media o nella pubblicità. Associamo però alla normalità l’immagine di un bambino che succhia un biberon, un ciuccio o la sessualizzazione del seno femminile per vendere prodotti. L’allattamento “non accorciato” invece è una realtà sconosciuta e per questo considerata strana, quand’anche perversa, seppur non ci siano basi scientifiche che dimostrino che sia malsana per i bambini. Anzi, le ricerche dimostrano (Dussault ne cita alcune nel suo libro; ndr) che ci sono vari benefici fisiologici ed emotivi per figli/e e mamme, anche in termini di salute. Il latte materno è la base del nostro essere e in più è comodo e gratuito. Senza fare attivismo, ho pensato dunque che potesse essere una bella idea condividere le diverse esperienze raccolte, affinché anche altre madri con i propri figli possano eventualmente farne tesoro e beneficiarne», chiarisce l’autrice, incontrata un giovedì pomeriggio, in un caffè.


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È indubbio che ci sia stato un momento nel passato in cui le società occidentali abbiano perso quel legame con il processo dell’allattamento, in epoche passate sicuramente più diffuso: «Una volta c’erano le donne della famiglia, le vicine di casa… si era abituate a vedere allattare i bambini, anche più grandi. C’è stato poi un processo di “civilizzazione” per cui allattare non era più considerato la cosa migliore, si è ceduto quindi il passo alle multinazionali del latte artificiale che hanno spinto per il suo consumo. Oggi molte donne sono isolate, non hanno a disposizione modelli e/o scambio di conoscenze, si affidano così ai professionisti della sanità che però non sempre sono ben formati e sensibilizzati sul tema», afferma la mia interlocutrice.

Girata l’ultima pagina del libro, pensandoci su, emerge un fatto comune alle intervistate: a un certo punto del proprio resoconto, raccontano che per evitare sguardi di sbieco, critiche e commenti non richiesti (anche se fatti in buonafede, da amici e familiari, non solo da sconosciuti), insomma per non essere in balìa dello sguardo altrui, hanno deciso di allattare i propri bambini unicamente fra le mura di casa, come «momento privilegiato di incontro che rafforza il legame e il rapporto fra madre e figlio», sottolinea Dussault.

Questione di natura, problema di cultura

A questo punto vale la pena ricordare un presupposto tanto banale quanto spesso dimenticato: noi esseri umani siamo mammiferi (primati, nello specifico, per dirlo con la scienza), termine che sta a indicare proprio quella roba lì: la presenza di ghiandole mammarie che sono fatte per nutrire (piccolo spazio curiosità: il record di allattamento più lungo è dell’orango – 9 anni –; quello più corto – 4 giorni – è della foca dal cappuccio; termini definiti da esigenze evolutive di adattamento al contesto).

Ciò scritto, torniamo al nostro argomento che non è, a bene guardare, l’allattamento in sé (di neonati e bambini di uno, due, tre, quattro o più anni, anche perché le “norme” cambiano a seconda della geografia e dell’epoca), quanto la sua percezione sociale e ciò che da fatto di natura lo trasforma in problematica di cultura (quand’anche economica, visti i tempi di reintegro sui posti di lavoro delle madri che possono sentirsi condizionate e quindi smettere di allattare), andando a ficcarci il naso e dando adito a critiche e giudizi. Non vorrei cadere nella mia stessa trappola, tengo a sottolineare che non mi arrogo qui il diritto (per mancanza anche di conoscenze specifiche) di dire se sia positiva/negativa, buona/cattiva, giusta/sbagliata la scelta o meno di allattare. Proprio per il concetto stesso di scelta (quanto più possibile libera), che riguarda solo la madre in relazione ai bisogni del proprio figlio, che trascendono qualunque tentativo normativo.

Certo vengono date raccomandazioni generiche, in primis quelle dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), che promuove – se possibile – “l’allattamento esclusivo al seno per i primi 6 mesi di vita del neonato, seguito dall’introduzione di cibi complementari sicuri e appropriati, continuando ad allattare fino ai 2 anni di età e oltre, a seconda delle preferenze di madre e bambino”.

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