Mal du Suisse o della struggente nostalgia
Era lo stato d’animo dei soldati svizzeri al servizio di eserciti stranieri, che soffrivano della lontananza dalla loro patria e disertavano
Di Alba Minadeo
Pubblichiamo un contributo apparso su ticino7, allegato a laRegione
Il termine ‘nostalgia’ è apparso per la prima volta nella tesi di medicina del giovane studente Johannes Hofer dell’Università di Basilea, alla fine del ’600. Designava lo stato d’animo dei soldati svizzeri al servizio di eserciti stranieri nel XVII secolo, che soffrivano della lontananza dalla loro patria e disertavano.
La parola tedesca corrispondente a nostalgia è Heimweh (nostalgia di casa) e fu coniata nella Svizzera Interna nel 1651, ma veniva considerata gergale e non utilizzata in letteratura. Anche il dibattito sulla nostalgia come fenomeno medico e culturale ebbe origine nel nostro Paese. A lungo fu considerata una malattia endemica tipica svizzera, il mal du Suisse o Schweizerheimweh. La prima descrizione come sindrome patologica (con svenimenti, febbre alta, mal di stomaco, che causava anche la morte) è dello studente di Mulhouse (allora Repubblica indipendente alleata ai cantoni svizzeri) Johannes Hofer (1669-1752). Nella sua tesi di dottorato basilese De Nostalgia vulgo Heimwehe oder Heimsehnsucht (De Nostalgia vulgo Heimwehe o nostalgia di casa, 1688), introdusse questo neologismo, entrato poi anche nei dizionari francese (nostalgie, accanto a mal du pays), italiano e inglese (nostalgia).
Inizialmente pensò a definizioni come philopatridomania (follia da amor di patria), pothopatridalgia (dolore da amor di patria) e nostomania (follia da ritorno a casa); poi creò il termine nostalgia, da nóstos (ritorno) e álgos (dolore). Individuò l’origine del delirium melancholicum nel cervello, dovuto allo sradicamento dall’ambiente nativo. In seguito, Johann Jakob Scheuchzer (1672-1733), naturalista e medico svizzero, sostenne che si trattasse di un effetto della pressione atmosferica che nei Paesi in pianura era più elevata che nelle Alpi, e che influisse sulla circolazione sanguigna degli svizzeri, abitanti delle “vette più alte d’Europa”. Si poteva guarirne solo grazie al ritorno in patria o al trasferimento del malato in altura. Oppure forse si potrebbe azzardare che fosse anche il disgusto per la guerra, insito nell’anima pacifica degli svizzeri, a fare ammalare i soldati?
Il canto dei vaccai
Nella sua raccolta Fasciculus Dissertationum Medicarum Selectiorum (1710) il famoso professore Theodor Zwinger (1658-1724) sostenne che fosse Il canto dei vaccai (o Ranz des vaches o Kühreihen) a provocare lo struggimento che spesso induceva alla diserzione. Nel XVIII secolo, ai “mercenari” svizzeri era proibito, pena la morte, cantare o suonare tale melodia. Jean-Jacques Rousseau ne scrisse nel suo Dictionnaire de musique (1767).
Questo canto divenne noto in tutto il mondo ed entrò a far parte della storia della letteratura e della musica. È una breve melodia strumentale (eseguita con il corno delle Alpi o con strumenti a fiato di genere pastorale), puramente vocale o con parole ad hoc, citata per la prima volta nel 1545. Cantata in Schweizerdeutsch (Har Chueli, ho Lobe), le mucche (Lobe) venivano così richiamate dal pascolo, fatte entrare in fila nella stalla e tranquillizzate per la mungitura. Una prima variante a due voci dell’Appenzeller Kureien Lobe lobe si trova in una pubblicazione del compositore tedesco Georg Rhau (Bicinia Gallica, Latina et Germanica, 1545).
Lo scrittore Johann Jakob Bodmer (1698-1783) cercò di capire se quei “motti di alpigiani” fossero semplici vocalizzi o parole vere e proprie. Risalgono ai primi dell’Ottocento le musiche e i testi tramandati per iscritto: i canti dei vaccai dell’Emmental, dell’Oberhasli, dell’Entlebuch e del Simmental. Del 1810 è il Ranz des vaches di Jorat e del 1812 quello della Vallée des Ormonts. Il canto dei vaccai di Friburgo o della Gruyère è cantato ancora durante la Fête des vignerons, con l’antica presenza dell’armailli (cioè l’Alpigiani) che intona il motivo Liauba.
Nella letteratura e nella musica
Nel 1805 il canto dei vaccai apparve nella poesia Lo Svizzero, nella raccolta Il corno magico del fanciullo di Achim von Arnim e Clemens Brentano, e poi in tre opere liriche: La famiglia svizzera di Joseph Weigl (1809), Le chalet di Adolphe Charles Adam (1834) e Der Kuhreigen di Wilhelm Kienzl (1911). La sua notorietà fu una delle ragioni per cui, tra il Settecento e l’Ottocento, l’élite culturale europea scelse le nostre Alpi come luogo del cuore. Il canto dei vaccai fu fonte di ispirazione e di suggestione pastorale per le opere di molti compositori: grazie alle versioni del Guglielmo Tell di André Ernest Modeste Grétry (1791) e di Friedrich Schiller (1804), è presente in composizioni di Ludwig van Beethoven, Hector Berlioz, Robert Schumann, Felix Mendelssohn, Gioacchino Rossini, Franz Liszt, Richard Wagner e molti altri. Oggi è usato ancora come semplice richiamo per e mucche (Chuereiheli, anche sotto forma di jodel) o come pezzo strumentale per corno alpino o Büchel (Frutt-Chuereihe).
Il soave canto della nostalgia, l’atmosfera cordiale cui apparteneva, e l’amorosa inclinazione verso quell’atmosfera dovevano forse essere “sintomi di malattia”? Niente affatto. Erano quanto di più sano e cordiale esiste al mondo (da: Thomas Mann, La montagna incantata)
Popoli
Mal du monde
Nel suo dizionario della lingua tedesca (1808) Joachim Heinrich Campe definì la nostalgia come un “desiderio legato a un sentimento di inquietudine”, che non era considerato né mortale né tipicamente svizzero.
Tutti i popoli la cantano
Tutti i popoli cantano la nostalgia quando vengono sradicati dalla loro terra: dai nativi americani, nel “lamento” How the West Was Lost (Come si è perso l’Ovest, tema dell’album Sacred Spirit) ai lavoratori migranti sudafricani, che intonano i gospel per scacciare i dolori fisici e la nostalgia di casa.
Gli afroamericani hanno addirittura creato un genere, il blues. I portoghesi cantano la saudade. I nostalgici per eccellenza sono gli tzigani, che esprimono il senso di rimpianto per la loro terra ancestrale con le note struggenti dei violini.
Nel 1971, il cantautore americano Don McLean da un salmo ebraico della Bibbia ha creato il brano musicale Babylon (“Presso le acque […] di Babilonia / Ci siamo sdraiati e abbiamo pianto […] per te, Sion / Ti ricordiamo […] Sion”). Anche i palestinesi hanno una canzone, precedente alla Nakba (esodo del 1948): Ya Zarif al-Tul (“… dove sei andato… il cuore del tuo Paese è pieno di ferite”) che sottolinea l’importanza della propria casa.
Molti inni cantano la nostalgia per la patria perduta o minacciata, come il celebre coro Va’ Pensiero del Nabucco di Giuseppe Verdi (1842) o quello irlandese Amhrán na bhFiann (La canzone del soldato) del 1926. Per Platone, questo tipo di sentimento è il ritorno al luogo assente, patria della felicità.