Kazakistan – parte prima. Andri Marugg e i Giochi Nomadi

Nella steppa, insieme ai nomadi, l’agricoltore di Zuoz si trova bene: ‘Mi sento molto vicino a questo modo di vivere, è come noi quando siamo all’alpe’

Di Sara Rossi Guidicelli

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

In Kazakistan, lo scorso settembre, si è svolta la quinta edizione dei World Nomad Games, a cui ha preso parte Andri Marugg, contadino engadinese che, da Zuoz, è partito alla volta di Astana per partecipare nella disciplina del tiro con l’arco a cavallo. Dopo averlo contattato in Svizzera, mi sono ritrovata nel Paese dell’Asia Centrale, dove mi ha raccontato la sua esperienza e le sue impressioni.

Sono andata alla ricerca dei nomadi, gente che viaggia leggera; li ho trovati nel cuore della steppa e in Engadina. Quando lo chiamo, Andri Marugg per parlarmi deve andare in fondo a un prato, sul suo alpe sopra Zuoz, e urlare anche un po’ nel vento: “Io tiro con l’arco dal cavallo al galoppo! Tra un mese vado a fare una gara in Kazakistan… ci vediamo lì?”. Ci vediamo lì.

Andri Marugg


© Sara Rossi Guidicelli
Ritratto di Marugg

Andri è un contadino di 42 anni. Ha 40 mucche sue, all’alpe d’estate ne porta 300. Da ragazzo giocava a hockey e faceva sci di fondo, poi ha cominciato ad andare a cavallo, su e giù per le montagne. Un bel giorno di sei anni fa ha scoperto su YouTube la disciplina del tiro con l’arco a cavallo: “In quel momento ho capito ciò che fa per me”, racconta. Ha iniziato ad allenarsi con uno dei migliori arcieri in Europa e in poco tempo è diventato campione svizzero (titolo che ha già confermato quattro volte); in Mongolia, l’anno scorso, Andri si è qualificato come il quarto migliore al mondo. Ha gareggiato in Europa e a casa sua, organizzando lui stesso giornate di competizione a Zuoz, dove ha la sua azienda agricola. Ma soprattutto, ha viaggiato nei Paesi dell’Asia Centrale, laddove il popolo nomade affonda le sue radici.

Grazie a questo sport, Andri ha scoperto la cultura da cui discende la disciplina del tiro con l’arco a cavallo: “A me piace andare in giro e scoprire altre culture, ed è proprio questo l’atteggiamento delle popolazioni nomadi”.

Prima di partire per i Giochi Nomadi in Kazakistan, mi confida i suoi timori: “I kazaki sono fortissimi, iniziano a cavalcare da bambini e quelli che gareggiano adesso sono pagati dallo Stato, sono professionisti. Io ho le mie mucche, faccio il fieno, il formaggio e mi alleno quando posso. Quando arriverò mi daranno un cavallo, tirato a sorte. Quello sarà il mio compagno per tutte le gare dei Giochi”.

I Giochi Nomadi

Quest’anno la quinta edizione dei World Nomad Games si è svolta in Kazakistan (8-13 settembre); si tratta di una specie di Olimpiade in cui atleti da tutto il mondo gareggiano nei giochi tradizionali della steppa. Questi giochi si tengono ogni due anni e la prossima volta sarà il turno del Kirghizistan. Qui siamo ad Astana, capitale kazaka, e i giochi si svolgono nell’arena, alla pista di ghiaccio, nell’ippodromo e su appositi campi trasformati in piste per corse a cavallo.

I giochi sono vari e spesso usano elementi tipici: cavallo, capra, falchi, arco e frecce. Lo sport nazionale kazako, per esempio, è il Kok-Boru, una specie di rugby giocato in sella con al posto della palla una carcassa di pecora riempita di sale. Durante la partita i cavalieri hanno la frusta in mano che usano per spronare i propri animali e allontanare quelli avversari; alla fine la carne del montone sballottato di qua e di là è così tenera che diventa un succulento banchetto. Ho assistito a una partita di Kok-Boru in cui il Kazakistan ha stracciato gli Usa 16 a 0. Un amico kazako ha commentato: “Beh, potevamo fargli segnare qualche punto, ai nostri ospiti, già che sono venuti fino a qua…”. Tra i vari altri sport (una ventina in tutto) ci sono il lancio di ossa di capra, lotte a cavallo, esercizi di falconeria, tiro alla fune, sollevamento di pietre per eleggere il nomade più possente. Il tutto è correlato a numerosi eventi culturali per celebrare e far conoscere le antiche usanze di questi popoli.


© Sara Rossi Guidicelli
Il gioco Kok-Boru

Il culto del cavallo

Oggigiorno i nomadi della steppa vivono una forma di allevamento nomade stagionale, simile alla nostra transumanza. Possiedono un’abitazione, chiamata Qstach, nel Sud del Paese dove gli anziani e le puerpere risiedono tutto l’anno, mentre il resto della tribù vi trascorre solo l’inverno; a primavera si parte in una direzione diversa che si ripete ogni tre anni, per lasciare il tempo all’erba di ricrescere piena di nutrimento. Tra uomo e cavallo si è sviluppata una relazione molto stretta, tanto che questo animale è visto come un aiutante sacro per la vita quotidiana del nomade.

Tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta del Novecento, l’Impero sovietico ha tentato di trasformare il Kazakistan nel granaio dell’Urss, nonostante quelle terre fossero del tutto inadeguate dal punto di vista agricolo per una coltivazione estensiva. In Uzbekistan invece l’agricoltura è stata totalmente trasformata in una monocoltura del cotone, con gravi conseguenze per la popolazione. Il nomadismo si è dunque ridotto notevolmente (anche se in Kirghizistan, la regione più montagnosa, la metà della popolazione si dedica ancora all’allevamento di bestiame spostandosi di continuo).


© Sara Rossi Guidicelli
A cavallo

La disciplina del tiro con l’arco a cavallo

A questo gioco partecipano maschi e femmine nella stessa categoria; oltre che abitanti dei Paesi centro-asiatici, ci sono anche ungheresi, cinesi, turchi, sudafricani, francesi, canadesi, siriani, polacchi e così via. E il nostro amico di Zuoz, Andri Marugg.

Andri mi spiega che con questo sport ti abitui a prendere la mira in un modo preciso e rapido, quasi meccanico, prima con gli occhi poi con la freccia. “Io non riesco a mirare lentamente! Galoppo e guardo un piccolo punto preciso, il centro del bersaglio. Bisogna togliere la freccia dalla faretra e calcolare la velocità del cavallo e la distanza. Ti concentri, scocchi la freccia e cerchi di fare centro”.


© Sara Rossi Guidicelli
L’agricoltore engadinese mentre scocca la freccia

Ci sono differenti stili, che coincidono con la posizione del bersaglio (sempre a lato della pista) e quindi del corpo mentre si tira con l’arco. Abbiamo visto Andri tirare su un bersaglio a terra, in cielo, sventolante al vento, a diverse distanze.

Il punteggio finale calcola la velocità, la mira, la posizione mentre si tira. Nello stile turco c’è un bersaglio altissimo fatto di metallo: ogni volta che viene colpito (non spesso) risuona un gong e il boato del pubblico. Per colpirlo si può tirare “normalmente” o piegarsi con il gomito appoggiato sulla pancia del cavallo. Più ci si piega, più il punteggio è alto.

In quei giorni di Nomad Games, Andri non è andato sul podio, ma si è divertito un mondo. Ha ritrovato vecchi amici, fatto nuove conoscenze, mangiato molto plov (riso con spezie e carne di pecora). I vincitori kazaki invece hanno ricevuto dal loro governo un premio supplementare: una casa e un’automobile…


© Sara Rossi Guidicelli
Ethnoaul, principessa nella yurta

Il fascino della cultura nomade

Andri mi racconta che tra arcieri parlano dei cavalli, delle gare e dei loro animali. Molti altri sono allevatori. “Non è gente che tiene segreti. All’inizio, quando stavo imparando questo gioco, tutte le persone che ho incontrato mi hanno aiutato; ognuna mi diceva i suoi trucchi”.

L’agricoltore di Zuoz si è subito trovato a suo agio tra i nomadi della steppa: “Sono tranquilli, vivono fuori città, con i loro animali; la mattina guardano il cielo prima di vestirsi. Non gli importa della moda, ma portano volentieri i loro vestiti tradizionali. Mi sento molto vicino a questo modo di vivere: sei lontano dalla geopolitica mondiale, ma ti impegni a curare il tuo fazzoletto di terra: è come noi quando siamo all’alpe”.

Un altro aspetto affascinante della cultura nomade è la struttura snella dell’organizzazione sociale. Chi vive fermo tra le mura di una casa di città si specializza in un mestiere, la società è ordinata e gerarchica. Quelli che vanno a caccia e viaggiano in carovana, al contrario, devono saper fare un po’ di tutto e rimanere sempre flessibili. Pronti insomma a cambiare obiettivo, direzione, in qualsiasi momento. “Mi spiace solo che picchino i cavalli”, riprende Andri. “Non investono molto nel dressage, i loro animali hanno una sola velocità”.

Quando lo salutiamo ci dice che adesso andrà a provare un’altra disciplina: Tenge Ilu, che consiste nel correre su un percorso con il cavallo raccogliendo da terra dei sacchetti di monete. Lo hanno invitato a iscriversi all’ultimo momento e lui si è buttato. “La prossima volta magari provo anche a fare la lotta sul cavallo”, mi dice strizzando l’occhio. Ma per quest’anno sarà meglio attenersi a queste due discipline e poi tornare subito a casa, perché deve affrettarsi a salire all’alpe per portare giù le sue bestie: hanno già dato neve. In viaggio, dunque!


© Sara Rossi Guidicelli
Tifose all’ippodromo


Questo reportage è stato realizzato con il sostegno di JournaFonds

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