L’epopea (contemporanea) di Gilgameš

È una delle più antiche opere letterarie dell’umanità, la cui prima versione conosciuta fu scritta in accadico nella Babilonia del XIX secolo a.C.

Di Marco Horat

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione

Primo eroe tragico protagonista del racconto epico più antico al mondo (prima ancora delle opere di Omero), la vicenda di Gilgameš è attuale come un graphic novel ambientato in una terra fantastica, e racconta i temi fondamentali dell’esistenza umana. Un immaginario che si ritrova in gran parte della letteratura occidentale dei secoli a venire, dalla Bibbia alla Divina Commedia dantesca.

Proclamerò al mondo le imprese di Gilgameš, l’uomo a cui erano note tutte le cose, il re che conobbe i paesi del mondo. Era saggio, vide misteri e conobbe cose segrete. Un racconto egli ci recò dei giorni prima del Diluvio. Fece un lungo viaggio, fu esausto, consunto dalla fatica. Quando ritornò si riposò e su una pietra l’intera storia incise.

Con queste parole si apre uno dei racconti a mio avviso più straordinari nei quali un lettore curioso possa imbattersi. Gilgameš: il primo eroe tragico che si conosca. Una storia complessa quella del suo poema che proviene a spizzichi e bocconi dalla notte dei tempi, ma che si gode come fosse un moderno fumetto o un film fantasy di ultima generazione, ricco di azione, colpi di scena e dialoghi serrati quanto di motivi di riflessione. Ci si trova trasportati in un mondo fantastico sospeso tra vette celesti e abissi infernali, dove vengono toccati temi fondamentali nella vita dell’uomo millecinquecento anni prima dei poemi omerici, dentro i quali riecheggiano tra sorprendenti analogie e qualche differenza; come pure nei successivi scritti biblici (vedi il capitolo straordinario sul Diluvio: Questa sera, quando il Cavaliere della Tempesta manderà la pioggia distruggitrice, entra nella nave e serra i boccaporti (…). Caricai sulla nave tutto ciò che avevo, oro e creature viventi: la mia famiglia, gli animali del campo, sia selvatici sia domestici). E di lì a cascata in buona parte della letteratura occidentale, compresa la Divina Commedia!

In sintesi l’Epopea di Gilgameš racconta di un potente re della Mesopotamia che unitamente all’amico Enkidu, un tempo creatura selvaggia dei boschi redenta da una prostituta, intraprende un periglioso viaggio dapprima nel cuore della grande Foresta dei Cedri popolata di belve e mostri, poi sulla Montagna sacra dalla quale, traghettando un fiume, si accede agli Inferi che esplorerà disperato dopo la morte del suo amato compagno, alla ricerca del segreto per sfuggire alla morte; quell’immortalità che alla fine l’uomo non riesce mai a raggiungere. Gli Inferi: Ivi è la casa i cui abitanti siedono nelle tenebre; polvere è il loro cibo, argilla la loro carne. Sono vestiti come uccelli, non vedono luce alcuna. Vidi i re della terra, le loro corone messe da parte per sempre; coloro che erano stati al posto di dei se ne stanno ora come servi.

Il racconto delle imprese di Gilgameš, re di Uruk, città dalle forti mura, posta sull’Eufrate a poca distanza dal Golfo Persico, è antichissimo; al suo interno ricorrono i grandi temi della letteratura che hanno interessato da sempre l’essere umano: la creazione e il senso dei castighi divini, l’incontro-scontro tra mondo naturale e civiltà, il viaggio come metafora alla ricerca del significato ultimo del vivere, l’incontro col mostruoso e i rapporti con il soprannaturale, la conoscenza dell’aldilà, la ricerca dell’eterna giovinezza, la lotta e la morte, l’amore, la paura e la sofferenza… Avventura, morale, tragedia. Il tutto raccolto in una settantina di pagine di un libro dei nostri giorni che si legge in un fiato. Sembra facile… ma non è stato così, come dirò più avanti.

Storicamente Gilgameš figura come quinto sovrano della dinastia post-diluviana della città di Uruk in Mesopotamia. È assodato che vi sia stato un re con quel nome che regnò per 126 anni (!) si racconta in un antichissimo ‘Elenco dei re’, durante la prima metà del III millennio, forse attorno al 2700 a.C. Per due terzi di origine celeste (la madre era una divinità di nome Ninsun) e un terzo umano. Gli dei gli diedero un corpo perfetto. Il Sole glorioso lo dotò di bellezza, il dio della tempesta di coraggio al di sopra di ogni altro, terribile come un gran toro selvaggio. Cosa della quale si lamentavano i suoi sudditi: la sua lussuria non lascia nessuna vergine all’amante, né la figlia del guerriero, né la moglie del nobile. Ma gli dei gli donarono anche grande saggezza e senso della giustizia. Dal padre Gilgameš aveva ereditato invece desideri e paure umane e, ahimè, la mortalità. Quando gli dei crearono l’uomo – gli confida una divinità – gli diedero in fato la morte, ma tennero la vita per sé. Quanto a te, Gilgameš, riempi il tuo ventre di cose buone, giorno e notte danza e sii lieto, banchetta e rallegrati. Nel tuo amplesso rendi felice tua moglie, poiché anche questo è il fato dell’uomo. Un destino da ‘carpe diem’ al quale però il nostro eroe non si rassegna. Come posso riposare quando Enkidu che amo è polvere e anch’io morirò e verrò disteso nella terra?, si chiede.


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Antica statua assira al Louvre di Parigi

Avventura archeologica


Nancy K. Sandars

Come si è arrivati alla stesura di un testo millenario facilmente leggibile ai nostri giorni? Bisogna ringraziare per questo l’archeologa e preistorica inglese Nancy Khatarine Sandars, scomparsa nel 2015, che ha fatto un mostruoso lavoro di studio, comparazione e scelta sui numerosi testi degli specialisti che nel corso dei decenni hanno classificato e tradotto decine di migliaia di tavolette in cuneiforme, sumerico e accadico, emerse da ricerche archeologiche nella regione: quelle provenienti dagli scavi nei siti di Uruk, Babilonia, Nimrud e Nippur in Iraq, nonché le molte provenienti dal Palazzo reale di Ninive e dalla mitica Biblioteca di Assurbanipal, ultimo sovrano dell’impero assiro (VII secolo a.C.) “che aveva raccolto una miriade di documenti storici, inni, poemi, testi scientifici e religiosi assai più antichi” come racconta la Sandars nel citato volume edito da Adelphi, tradotto da Alessandro Passi, al quale rinvio chi vuole conoscere più da vicino questa affascinante avventura archeologica.


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La Biblioteca di Assurbanipal

Cronache frammentarie, ricche di lacune, incongruenze e contraddizioni, a loro volta frutto di trascrizioni, adattamenti e traduzioni antiche se è vero che le prime testimonianze dell’Epopea di Gilgameš risalgono al II millennio a.C., ma che queste storie erano conosciute e tramandate oralmente da secoli e secoli, mescolando leggende, miti e credenze dei popoli che vivevano nella Mesopotamia del III millennio.

Nel testo, l’eroe vagabondo uccide alcuni leoni sorpresi a giocare al chiarore della luna indossandone poi la pelle; e noi pensiamo subito all’analogo episodio di Eracle/Ercole e del Leone di Nemea. In un altro, Gilgameš uccide e smembra il feroce ‘Toro del Cielo’, creatura mostruosa inviata sulla terra dal Regno dei morti per vendicare un torto recato dal nostro eroe a una divinità femminile; e qui pensiamo a Teseo e al Minotauro. Per citare solo due esempi della persistenza dei miti nel tempo e nello spazio.

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