La generazione Z e il rifiuto della feticizzazione del lavoro

I giovani fra i 18 e i 27 anni si approcciano al lavoro con distacco: contro lo stacanovismo, per una vita privata più equilibrata

Di Fabiana Testori

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, inserto allegato a laRegione.

Nonostante siano considerati supponenti, viziati e pigri, in quanto attori economici puramente razionali, i giovani (uomini e donne fra i 18 e i 27 anni circa) prediligono i #“lazy girl job”, professioni facili, senza responsabilità e stress, ma ben retribuite, che permettono un buon equilibrio fra lavoro, vita privata e tempo libero. A coniare il tag su TikTok lo scorso maggio è stata Gabrielle Judge, creatrice di contenuti digitali, che ha lanciato il dibattito sulla questione del lavoro, contrapponendo un’idea lenta e senza pretese a quella totalizzante e carrierista.

Un hashtag sui social network divenuto virale cosa può dirci sull’approccio dei giovanissimi appartenenti alla generazione Z al mondo del lavoro?

Tre parole, una in fila all’altra, che creano polemica. Si rispecchia la regola più classica del messaggio pubblicitario efficace “che se ne parli bene, che se ne parli male, basta che se ne parli” e il risultato, quello di riuscire ad attirare l’attenzione, è già garantito. Lazy girl job, traducibile con “lavoro di una ragazza pigra”, è il tag (parola chiave) coniato su TikTok lo scorso maggio dalla ventiseienne americana Gabrielle Judge, creatrice di contenuti digitali per il mondo professionale, che ha fatto letteralmente impazzire il web. Ad oggi, il tanto controverso hashtag #lazygirljob ha raggiunto 35 milioni di visualizzazioni creando dibattito non solo all’interno dei social media, ma anche su moltissima stampa autorevole, dalla BBC al Wall Street Journal.

Un lavoro facile, ben retribuito, senza stress

Ma cos’è un Lazy girl job? Come ben spiegava la giovane rappresentante della generazione Z ai suoi follower, si tratterebbe di un lavoro facile (per questo motivo è stato utilizzato provocatoriamente il termine “lazy” , pigro), essenzialmente d’ufficio, amministrativo, senza stress e senza pretese e sufficientemente ben retribuito (60-80k annuali). La stessa Judge sottolineava il fatto che questo tipo
di impiego sarebbe, se necessario, semplice da abbandonare, legandosi quindi ad altri fenomeni emergenti nella realtà lavorativa post pandemica, come Le Grandi dimissioni o il Quiet Quitting (cioè fare il minimo sindacale sul posto di lavoro, senza addossarsi responsabilità o incarichi aggiuntivi).

Cosa c’entrano le ragazze (girl)? In realtà poco o niente, l’influencer americana si rivolgeva principalmente alle rappresentanti del suo stesso sesso che, da sempre, se impiegate, devono giostrarsi fra famiglia e lavoro, senza mai veramente riuscire a trovare un equilibrio per sé. A dire il vero, il Lazy girl job potrebbe essere un suggerimento per tutti, indipendentemente dal genere, proprio perché le generazioni più giovani, l’ultima coda dei Millennial, ma in particolare i ragazzi della generazione Z (nati fra la fine degli anni 90 e i primi anni 2000) sono in netta rottura con chi li ha preceduti per quanto riguarda la professione. In linea generale, gli Z rifiutano lo stacanovismo, la carriera come unico obiettivo dell’esistenza, il concetto verticale e gerarchico dell’organizzazione aziendale, la presenza fissa sul posto di lavoro l’intera settimana, la mancanza di flessibilità nell’approccio al lavoro e negli orari e gli ambienti professionali eccessivamente tossici.

Attenzione al benessere psico-fisico

Sono invece molto attenti al proprio benessere psico-fisico, ad un buon bilanciamento fra attività professionale e tempo libero, sia esso impiegato in famiglia oppure per i propri interessi personali. Secondo i dati della multinazionale di consulenza strategica McKinsey & Company, il 77% degli impiegati appartenenti alla generazione Z avrebbe come priorità assoluta l’equilibrio vita privata-lavoro al momento di considerare una nuova opportunità professionale. Inoltre, sempre loro, sarebbero i primi a valutare di lasciare il posto nel caso il datore di lavoro non dovesse offrire delle politiche di flessibilità all’interno dell’azienda.

A detta dell’agenzia di stampa Bloomberg, i giovani starebbero attivamente promuovendo un cambiamento epocale nella relazione alla professione. I nomi che si attribuiscono al fenomeno sono i più disparati e il Lazy girl job, come abbiamo potuto leggere, è solo l’ultimo della serie, ma non c’è dubbio che l’affossamento graduale della cultura carrierista sia un andamento destinato a restare e a sedimentarsi. Sempre Bloomberg, analizzando la tendenza, ha definito i rappresentanti della generazione Z degli attori economici assolutamente razionali, forse i primi dopo molto tempo. Loro, tacciati di essere appunto pigri e privilegiati, hanno capito da tempo che il ciclo economico attuale non può essere paragonato né al boom del dopoguerra, né ai rampanti anni 90 e 2000.

Logici e realisti

“La festa è finita” direbbe qualcuno, cioè i soldi hanno smesso di scorrere alla stessa velocità e nella stessa quantità dei tempi dei loro genitori e gli Z l’hanno assimilato prima di tutti, rifiutandosi di lavorare per qualche nocciolina, per stage eterni e gratuiti, per promesse di avanzamento professionale e di formazione continua che non si realizzano mai. Se i loro predecessori più prossimi, i Millennial, ancora qualche speranza di crescita l’avevano conservata (sbagliando), i ragazzi più giovani sono invece di gran lunga più logici e realisti. Che senso ha lavorare gratis oppure con salari infimi o comunque inferiori alla propria formazione e alle proprie competenze senza nessun tipo di prospettiva? In una logica economica nessuna, e, quindi, viva i Lazy girl job, che permettono buoni orari, poco stress, nessuna responsabilità e un salario sufficiente a pagare le bollette e poco di più. Come dargli torto? La generazione Z è un’interprete perfetta della logica del mercato, in cui al centro c’è da sempre, e comunque, il denaro. Si sacrificano tempo ed energie se esiste una controparte in termini monetari, ma se quest’ultima è poco soddisfacente le giovani generazioni non sono più disposte a compromettere la loro qualità di vita per la carriera. Tacciati di essere supponenti e viziati, i giovani lasciano il concetto di resilienza a chi ancora ci crede, scegliendo un modello lento e senza pretese.

Un paradigma in mutamento

In base a più ricerche, datori di lavoro e specialisti nelle risorse umane dovrebbero considerare questi segnali con attenzione, evitando di liquidarli come un semplice fuoco di paglia, perché il paradigma relativo alla cultura del lavoro è in evidente mutamento. La pandemia di Covid-19 ha semplicemente accelerato un processo già in corso e il lavoro flessibile, da casa, online, ha permesso a molti lavoratori di osservare la professione con un occhio diverso e di stabilire un migliore equilibrio fra lavoro, famiglia, casa e tempo libero.

È esattamente per questo motivo che molte aziende faticano oggi a far rientrare i propri impiegati in ufficio cinque giorni a settimana e fra i più difficili da convincere ci sono appunto i giovani. Biscotti e caffè non bastano più, si tratta di un modello superato. Le risposte da dare sono altre e fra queste troviamo sicurezza economica, opzioni di crescita professionale e flessibilità. I ragazzi ce lo stanno mostrando. Non sottovalutiamoli.

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