Irene Bernasconi. Storia di una maestra (davvero) coraggiosa

Nel 1915, una giovane donna di Chiasso si reca nell’Agro romano per prendersi cura dell’educazione di bambini poveri e malarici. Una storia d’altri tempi

Di Alba Minadeo

Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, inserto allegato a laRegione


Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, “Goethe in the Roman Campagna” (1787).

Tutti abbiamo in mente il dipinto di fine Settecento Goethe nella campagna romana, che ci parla di un locus amoenus: ebbene, non era certo così ameno l’Agro romano a nord-ovest di Roma, una zona costiera di paludi e malaria, praticamente disabitata prima delle bonifiche del 1935: un luogo aspro, amaro per viverci. Si chiama infatti Campomorto, uno dei paesi vicino a Palidoro dove, in autunno, si trasferiscono dalla Ciociaria con le proprie famiglie i guitti, contadini seminomadi, umili e sfruttati dai latifondisti, e se ne vanno a inizio estate, con l’arrivo delle zanzare. Ed è alla stazione di questo piccolo borgo che il 6 dicembre 1915 scende dal treno la maestra ventinovenne ticinese Irene Bernasconi…


Un ritratto della maestra ticinese, morta a Roma il 17 marzo 1971; aveva 84 anni.

L’igiene, per iniziare

Di famiglia benestante, figlia di un produttore di sigari, viene chiamata in questo luogo inospitale dal suo insegnante della Scuola Umanitaria di Milano, presso la quale aveva studiato il nuovissimo Metodo Montessori, per fondare anche qui una Casa dei bambini (e questo è tuttora il nome delle scuole della famosa pedagoga), una delle prime scuole rurali italiane: per educare, prima ancora che istruire, i “ciociaretti” (come li chiama lei) dai due ai cinque anni. Insegnare ai bambini le pratiche igieniche è il primo compito di Irene. Le maestre montessoriane sono tenute a redigere un diario scolastico, e quello di Irene Bernasconi è stato di recente pubblicato all’interno del libro I granci della Marana. Irene Bernasconi e la Casa dei Bambini di Palidoro (Il Formichiere, 2022).

I ‘granci’ della Marana

I granci erano i granchi che i bambini trovavano nella Marana, l’acquitrino vicino ai casolari e alle capanne di canne nelle quali vivevano e giocavano. Il 9 dicembre, quando si inaugura la scuola, sono 27 i “granci della Marana” (come il libro definisce metaforicamente questi bambini) e diventano 36 a marzo, ma in sette mesi ne muoiono cinque di malaria e di tifo. Il 23 dicembre arriva il materiale didattico inviato dal Comitato delle Scuole dei contadini per l’Agro romano e le Paludi Pontine, e i bambini pensano sia un dono di Gesù Bambino. Promotori di questa iniziativa privata sono intellettuali, tra cui Sibilla Aleramo, educatori, artisti e malariologi, persuasi che, senza un minimo livello di istruzione, la profilassi antimalarica non avrebbe avuto successo. Irene non capisce il dialetto dei bambini e loro non comprendono lei, che parla in italiano. Non sa cosa sia la pizza e la cuoca si domanda perché la chiami “cuciniera”. Per poter stabilire una relazione con i suoi piccoli allievi, oltre al Metodo Montessori, si avvale dei suggerimenti del pedagogista Giuseppe Lombardo Radice, ovvero di conoscere quello che c’è dietro un bambino e cosa fa fuori dalla scuola, a cominciare dalle parole con cui si esprime. Insomma, come scrive Irene: “La maestra si infarina della loro farina”.


Alcuni edifici del borgo di Palidoro.

Libera, colta e generosa

Irene Bernasconi accetta di lasciare la famiglia per andare in un’Italia appena entrata nel conflitto mondiale “spinta da un sentimento umanitario”, per insegnare “in un posto dove non voleva andare nessuno”. La prima scuola Montessori era nata a Roma nel 1907, tra i poveri per i poveri, nella miseria e disperazione, per portare speranza e cambiamento. Oggi le scuole Montessori, diffuse in tutto il mondo, evocano bellezza e benessere, e sono appannaggio di pochi, ma allora questi piccoli esseri indifesi hanno avuto il privilegio di avere le cure e le attenzioni di una seconda mamma. Il 29 giugno 1916, la maestra lascia Palidoro, quando i lavoratori fanno ritorno a casa, chiedendosi se avrebbe rivisto quei bambini a cui si era ormai tanto legata.

Dopo la guerra

Irene Bernasconi aveva accettato l’incarico a Palidoro anche perché era reduce da una delusione d’amore. Ma quando torna in Italia, alla fine delle ostilità, incontra Felice Socciarelli, a sua volta maestro della Scuola secondo il metodo dell’attivismo a Mezzaselva (alle porte di Roma), che poi diventa suo marito e padre delle sue due figlie. Il 17 marzo 1970, muore a Roma all’età di 84 anni. Lombardo Radice, che conobbe e stimò entrambi, scrisse della casetta modesta in cui vivevano, con ampi scaffali di libri di grandi poeti, storici e filosofi: “Midolla di leone per nutrire quelle anime di educatori eremiti”. La missione che questi due maestri dalla morale rigorosa svolsero per tutta la vita con i bambini emarginati, anche a Palestrina e Calchetti, dimostra un profondo amore per la cultura, la lettura e la gente, essendo inoltre stati di grande aiuto a livello sociale.

PAROLA AL DIARIO

Il diario di Irene Bernasconi è il titolo della pièce prodotta dal Teatro Causa di Roma (causa.ac.it@gmail.com), tratta dal diario di classe e da quello privato che la maestra tenne durante la permanenza a Palidoro. “In scena, l’attrice e regista Laura Nardi, con l’ausilio di venti marionette, ripercorre i mesi che Irene trascorse con i suoi piccoli scolari. Un incontro struggente tra due culture, tra una giovane donna e il suo fiero impegno civile e la bellezza di una cultura contadina antica e sottovalutata. Una storia straordinaria, vera e sconosciuta, un esempio di lotta e di speranza”. Musica tradizionale della Valle dell’Aniene, registrata da Ettore De Carolis, e creazione originale di Valerio Vigliar, eseguita dallo stesso e da Sara Gentile. La produzione è stata proposta il 9 settembre scorso al Teatro di Paglia, Nemi (Roma); il 28 novembre sarà invece negli spazi del Teatro della Dodicesima (Roma Spinaceto). Visti i temi e i personaggi coinvolti, sarebbe interessante se questo spettacolo venisse rappresentato anche nel nostro Cantone, per fare conoscere la storia di questa volitiva donna ticinese.


L’autrice e regista Laura Nardi con alcune marionette che porta in scena.

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