Kunsertu, fra Messina e il Maghreb a ritmo di pop-raï
Dal paginone della musica, sezione ‘Dischi dal retrobottega’, immersioni musicali siciliane no-mainstream
Di Marco Narzisi
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato a laRegione
Prima che infilare non meglio specificate “sonorità mediterranee” in brani cantati in dialetto diventasse alquanto mainstream da Napoli in giù, c’era chi sulle rive dello Stretto di Messina produceva già i primi esperimenti di quello che, cedendo alla smania da etichettatura, potremmo definire etno-pop. In una città con una scena musicale non esattamente florida, soprattutto in confronto alla vicina Catania, alla fine degli anni 70 i Kunsertu sperimentavano il ritorno alle radici tracciando una tela sonora che unisce Sicilia e Nord Africa sostenuta da una solida cornice pop farcita di batteria elettronica e synth arabeggianti, accompagnata dal doppio cantato in dialetto siciliano e arabo.
A sintetizzare il meglio della produzione degli anni 80 e 90 prima dello scioglimento nel 1994 e del successivo ritorno nel 2019 è la raccolta “1984-2016”. In essa trovano posto, spesso rivisitati, i brani migliori dei tre album “Kunsertu”, “Shams” e “Fannan”. Ma, ed è questa una delle poche pecche della raccolta, se la title-track di quest’ultimo rimane intonsa, conservando le sue sonorità pop-raï originali, altri, come “Track-as” e “Dumà” subiscono una revisione che le spoglia di buona parte del fascino “mediterraneo” delle versioni originali dissolte in un pop decisamente più banale. Un processo che invece rivitalizza due altri brani di punta di “Fannan”: l’evocativa ballad “Ghandura” dall’atmosfera sospesa al profumo di zagara, e la più elettronica “Ialla”, che riprende vita e potenza. E su tutto, “Mokarta”, la canzone simbolo della band, che mette in musica un testo di origine popolare: quella che sembra una serenata, ma che è in realtà l’ultimo saluto, prima di essere portato in carcere, di un uomo sotto la finestra dell’amata: un brano popolarissimo in Sicilia, qui in una versione unplugged finalmente, in questo caso, liberata dall’arrangiamento pesantemente anni 80 originale e restituita alla purezza con cui la suona chiunque abbia una chitarra in ogni falò su una spiaggia siciliana.
Una gran bella raccolta, in conclusione, fondamentale per approcciarsi a un gruppo a torto ancora sottovalutato.