United Roads of America. Il business della sofferenza

Sono usati e abusati i detenuti di alcune contee. Ma c’è chi lucra anche sulla pelle di migranti e richiedenti asilo. E i carnefici non sono i “soliti” repubblicani…

Di Emiliano Bos

Pubblichiamo un articolo apparso sabato su Ticino7, allegato a laRegione.

Il re è nudo in New Jersey. L’ombra dei vicini grattacieli di Manhattan s’era fatta troppo tenebrosa su questa riva del fiume Hudson. Politicamente insostenibile in una landa tra le più democratiche degli USA – nel senso di partito. La contea di Essex ha detto “basta”. Non lucreranno più sulla pelle di migranti e richiedenti asilo. Letteralmente. Sì, i democratici – al potere quasi da sempre in un paio di distretti alle porte di New York – sfruttavano gli immigrati. Un paradosso durato un sacco di anni nonostante proteste e denunce. Nessun traffico di esseri umani, of course. Ma un vero e proprio contratto per affittare al governo federale di Washington i posti letto non utilizzati nel proprio carcere per ospitare immigrati irregolari. E incassare denaro grazie ai soggiorni (spesso prolungati illecitamente) di chi viene imprigionato dopo l’arrivo qui in America senza documenti, in cerca di una vita migliore o in fuga dalla violenza. Victor Salama me ne aveva parlato un paio d’anni fa. L’avevo incontrato negli uffici con i poster colorati appesi alle pareti nella sede della First Friends of New Jersey, di cui era il direttore. Un edificio da far paura all’ora del crepuscolo invernale, a metà strada esatta tra la città-dormitorio di Newark e il West Side newyorchese. Lì accanto, la prigione subaffittata dalla contea come centro di detenzione gestito dall’ICE, l’agenzia federale per l’immigrazione e le dogane. Che negli anni di Trump è diventata il volto temibile delle politiche anti-immigratorie della sua amministrazione: famiglie separate, rimpatri forzati (pure con Obama a dire il vero), raid in aziende con manovalanza prevalentemente immigrata. Facile, per i democratici, denunciarne gli eccessi. Ma per anni, pure loro, in New Jersey, ne hanno approfittato. In senso etimologico: ne hanno tratto profitto. Soldi, destinati – va detto – ai bilanci pubblici.


© E. Bos
‘È disumano trarre profitto dalla sofferenza’, recita il cartello durante una manifestazione in Colorado.

Dal pubblico al privato 

Le denunce degli attivisti sono state rivolte spesso alle società private che macinano guadagni sulla sofferenza altrui. Da anni i migranti irregolari vengono distribuiti in strutture sparpagliate da costa a costa, gestite in parte dal pubblico e per circa il 10% dai privati. In New Jersey le proteste di decine di associazioni per i diritti civili – in corso da tempo – si sono intensificate con la pandemia. Accuse documentate e sempre più insistenti di condizioni inaccettabili. Pochi giorni fa, il capo della contea di Essex, il democratico Joe DiVincenzo, ha ceduto. Pur negando di aver subito pressioni, ha annunciato la fine del contratto con l’agenzia ICE entro il prossimo agosto. Ma “solo per motivi economici”, si è giustificato. I 165 immigrati lì detenuti verranno trasferiti altrove. La vecchia prigione verrà affittata a una contea vicina, che vi collocherà i propri carcerati. “Più conveniente” ha detto alla stampa locale il dirigente democratico. Business is business, anche nel burocratico commercio di posti-letto destinati ai vulnerabili. “Era un luogo orribile”, secondo l’ex detenuto Carlos Sierra, fuggito da Cuba e rimasto per oltre un anno nel centro di detenzione in New Jersey.  


© E. Bos
Il Cacerolazo del Colorado. Pentole e mestoli per farsi sentire dalle famiglie immigrate all’interno del centro di detenzione.

Il Cacerolazo di Jeanette 

Ma non accade solo da quelle parti. Succede anche a mezza America di distanza dalla costa orientale, in Colorado. Stavolta proteste non contro il pubblico, ma contro il privato. Alla periferia di Denver avevo visto un gruppo di donne picchiare duro col mestolo su pentole di metallo. Una marcia rumorosa per farsi sentire dalle famiglie rinchiuse all’interno del centro di detenzione di Aurora, appena fuori città. Un cacerolazo in salsa country, le marmitte riempite con gli stessi ingredienti delle latitudini sudamericane dove queste marce sono tradizione: indignazione e rabbia. A guidarle c’era Jeanette Vizguerra, minuta e cocciuta attivista, immigrata senza documenti dal Messico e diventata uno dei simboli della battaglia contro la deportazione. Si era rifugiata in una chiesa di Denver, ottenendo il rinvio del rimpatrio e della separazione dai suoi 4 figli. Nel 2017 la rivista Time l’aveva indicata tra le 100 personalità più influenti al mondo. La incontrai mentre teneva in mano l’immancabile megafono. Per scandire i nomi di chi è “là dentro”, un complesso carcerario del tutto simile ad anonimi capannoni di una zona industriale. “Là dentro” c’erano persone e famiglie non colpevoli di reati violenti. In alcuni casi, soltanto richiedenti asilo. “Sfruttati da una società privata finanziata dai soldi dei contribuenti”, mi aveva detto Jennifer Piper, dell’ “American Friends Committee”, organizzazione impegnata per i diritti dei migranti. Stando alle testimonianze, aveva spiegato, “i migranti che si rifiutano di svolgere lavori come pulizia di bagni o spazi comuni vengono minacciati di finire in isolamento. Se invece accettano queste mansioni come volontari, ricevono solo qualche snack”. Secondo Jeanette Vizguerra, è il lavoro dei detenuti che permette a questa società di guadagnare, riducendo al minimo i costi del proprio personale.


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Jeanette Vizguerra, che nel 2017 la rivista ‘Time’ incluse nella lista delle 100 personalità più influenti al mondo.

Il mercato degli usati

Sono usati e abusati questi detenuti. Pagano per il telefono, spesso la visita medica e a volte pure per la carta igienica. La prigione di Aurora – dove grida e battiti di pentola superavano il filo spinato – è gestita dalla GEO Group, una delle principali società del settore negli Stati Uniti. Ha in appalto quasi 75mila posti letto in una settantina di strutture simili in tutto il Paese. Nel 2020, la GEO Group ha incassato 2,3 miliardi di dollari, in lieve calo a causa della pandemia. I tentativi di ottenere informazioni dai diretti interessati – sulla retribuzione ai detenuti, sul personale, sulle condizioni all’interno del centro di detenzione in Colorado – andarono a vuoto già un paio d’anni prima. La GEO Group mi rimandò all’Agenzia ICE. Che ovviamente non è in grado di rispondere alle domande sui dettagli della ditta privata alla quale è affidato l’appalto. Questa società, come pure la Core Civic – principale appaltatrice privata di carceri in USA e firmataria di contratti con i democratici in New Jersey – avevano contribuito con 250mila dollari all’inaugurazione presidenziale di Trump. I loro profitti sono poi schizzati all’insù con la susseguente amministrazione. Quella attuale ha promesso di porre fine al lucroso business privato su detenuti in strutture carcerarie federali, comunque una piccola percentuale rispetto alle prigioni dei singoli Stati. Cambierà il clima con Biden alla Casa Bianca? Per ora i vertici democratici della contea di Hudson – vicini di casa di quelli di Essex, da cui siamo partiti – hanno invece appena sottoscritto un contratto decennale con il governo federale. Cioè con l’amministrazione Biden. Lì, davanti a New York, appalteranno a pagamento la loro prigione per altri dieci anni all’agenzia per gli immigrati. Ma forse, hanno detto pochi giorni fa questi democratici, faranno marcia indietro.


© E. Bos
La struttura di Aurora, alla periferia di Denver, ha ospitato a lungo famiglie immigrate.

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