In quel posto. Storie e vicende di gabinetti, pubblici e privati

Secondo alcuni studi, una persona in salute dovrebbe espellere almeno 150 grammi di feci al giorno. Dove e come queste vengono fatte oggi è un segreto, una volta…

Di Sara Rossi Guidicelli

Pubblichiamo un articolo apparso su Ticino7, allegato a laRegione.

I romani avevano addirittura la dea delle fogne, Cloacina, protettrice della Cloaca Massima, una delle più antiche condotte fognarie costruita alla fine del VI secolo a.C., al tempo degli ultimi re di Roma. Le fogne, si sa, sono fondamentali per una vita sana: loro sì che sono state una rivoluzione del progresso, altro che la carta da gabinetto. Quella è arrivata nell’Ottocento e per molto tempo la gente si chiedeva: ma perché devo spendere soldi per una cosa che ricavo benissimo dai giornali vecchi? In tempi antichi c’erano anche gli orinatoi pubblici e i famosi vespasiani: Tito Flavio Vespasiano, imperatore romano (sempre a loro torniamo) aveva tassato la pipì, che era preziosissima nelle lavanderie. Infatti non c’è niente di meglio – vabbè, forse oggi sì – dell’urina per sbiancare e ripulire tessuti, perché è ricca di ammoniaca. Così i lavandai andavano a raccoglierla e pagavano una tassa al litro a Tito (il quale poi disse a chi lo prendeva in giro per come raccoglieva soldi: Pecunia non olet).


Illustrazione per un’edizione di “Gargantua e Pantagruele” (“La vie de Gargantua et de Pantagruel”), una serie di cinque romanzi scritti da François Rabelais nella prima metà del Cinquecento.

E adesso, con cosa mi pulisco?

E avete mai sentito del capitolo più scurrile del Gargantua e Pantagruele di Rabelais, grandioso libro medievale? “Papà”, dice il gigante Gargantua a suo padre. “Ho scoperto il miglior nettaculo del mondo, il più signorile, il più eccellente, il più spedito che ci sia!” e giù paginate a dire quali nettaculo aveva provato prima e non avevano funzionato tanto bene: sciarpette di seta, berretti di velluto, foglie di spinaci, guanti della mamma. E poi tende, cuscini, tappeti, pantofole, cappelli, galline, galli, pelle di vitello, una lepre, un piccione… e alla fine, il meglio del meglio: un papero dalle morbide piume, a patto però di tenergli ferma la testa fra le gambe. “È di una voluttà così mirabile”, spiega l’eroe, “che si comunica dal budello culare agli altri intestini fino a pervenire nella regione del cuore e del cervello”. Cuore e cervello deliziati da ciò che avviene nella latrina. Mi viene in mente un wc con l’asse caldo che ho provato nell’albergo più lussuoso della Siberia; oppure quel gabinetto con doppio sanitario per le amiche in non so più quale pub; e poi il vasino dei miei vicini, che suona Mozart quando il bambino espelle qualcosa. 
Per tornare alla letteratura medievale, bisogna dire che quello che oggi chiamiamo ‘andare in bagno’ era un gesto liberatorio e rigenerativo. Vitale. Una resurrezione gioiosa, la vittoria sulla paura. Gli escrementi sono virili e fecondi: concimano la terra. Ecco perché quasi tutti gli insulti tirano in ballo organi sessuali e materia fecale, orifizi defecatori e luoghi dove andare a liberarsi. In pratica ti insulto se penso che sei arido e hai bisogno di un po’ di concime. Dovresti solo dire grazie e andare a provvedere.


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Il gabinetto nell’età moderna

Nel Medioevo i gabinetti non esistevano né pubblici né privati; si lanciavano però vasi pieni in strada: un grido, tutti si spostavano e via, fuori dalla finestra. Vi ricordate l’inizio del libro Il profumo di Patrick Süskind? A Parigi le strade puzzavano di letame, i cortili interni di orina, le trombe delle scale di legno marcio e di sterco di ratti, le cucine di cavolo andato a male e di grasso di montone, le camere da letto di lenzuola bisunte, dell’umido dei piumini e dell’odore pungente e dolciastro di vasi da notte. La gente puzzava di sudore e di vestiti non lavati; dalle bocche veniva un puzzo di denti guasti, dagli stomaci un puzzo di cipolla e dai corpi, quando non erano più tanto giovani, veniva un puzzo di formaggio vecchio e latte acido e malattie tumorali. Era il Settecento. Un paio di secoli prima Elisabetta regina d’Inghilterra aveva rifiutato l’idea – a suo parere troppo sconcia – di un vaso sanitario con serbatoio d’acqua che si scaricava nella tazza e porta via feci e urina in un pozzo nero. In Cina erano duemila anni che si usava questo sistema, detto poi water closet (armadietto d’acqua). In Europa invece si aspetta la fine del Settecento, e abbiamo visto tutti in qualche film Re Luigi e i suoi compari sedersi sui troni col buco e spingere in giù mentre la parte superiore si occupa di politica.

La cacca fa ridere

Ma torniamo al nostro primo problema: perché a un certo punto abbiamo cominciato a vergognarci di quello che il nostro corpo decide di scartare? Perché non è successo come nel Fantasma della libertà, film di Luis Buñuel dove tutti stanno sul water, fumano e chiacchierano, mentre se uno vuole mangiar qualcosa si apparta in cucina, da solo, scusandosi? Forse dovremmo chiederci chi ha deciso così e non cosà. Per scomodare i più grandi della storia, diciamo che già Mosè nell’Antico Testamento (Deuteronomio 23:12-13) si è premunito di dirci: “Avrai pure un luogo fuori del campo; e là fuori andrai per i tuoi bisogni; e fra i tuoi utensili avrai una pala, con la quale, quando vorrai andar fuori per i tuoi bisogni, scaverai la terra, e coprirai i tuoi escrementi”. Bene. Ma per secoli permane la forza positiva della materia e del corpo, del vino e del cibo, degli organi viscerali e delle profondità della terra. Di questo è intrisa la cultura popolare che si ritrova ancora, quasi per l’ultima volta, in Rabelais.  In tempi più recenti ci ha pensato Roberto Benigni col suo “L’Inno del corpo sciolto” (1979) a rimettere al centro la quotidianità dei propri bisogni e la gioia (anche lessicale) di “fare la cacca” e di tutte le sue sfumature e metafore. 
Tutto ciò fa ridere. E il riso ha il posto principale nella festa, quella che oggi si chiama Carnevale e dura pochissimo, mentre un tempo cominciava a novembre e finiva con la primavera. Poi qualcuno ha invertito le priorità. Ha messo le gerarchie ai generi, letterari, teatrali, cerimoniosi. Ci hanno fregati. Ridere non è più al primo posto; il basso non è più importante quanto l’alto; la morte non è più necessaria quanto la vita. Altre cose diventano più meritevoli. Però qualcosa rimane: per esempio mia nonna io l’ho vista ridere di cuore una volta sola nella vita, un giorno che mio nonno aveva preso un lassativo per sbaglio. E allora non facciamo tanto gli spocchiosi, gli alterigi e gli asettici angioletti. Magari di questi tempi non è il caso di ripristinare un cesso collettivo, ma almeno ricordiamoci che chi “non piscia in compagnia, o è un ladro o è una spia”.


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PANDEMIA E ACCESSO AI BAGNI – a cura della Redazione T7

L’emergenza sanitaria ha creato qualche problema a chi – ben pochi nelle settimane di lockdown totale, molti di più negli ultimi mesi – si è trovato per strada e proprio “gli scappava”. Con bar e ristoranti chiusi, mense e self-service dei grandi magazzini sbarrati, non è stato facile trovare un bagno per strada. A Lugano, per dire, il problema era stato sollevato anche in passato: troppi pochi bagni e sovente chiusi per degrado e scarsa educazione di chi li frequentava. Era il 2014 e il problema non era sentito solo sul Ceresio. Lo scorso anno a Bellinzona la disponibilità di ritiri pubblici si era accompagnata alla chiusura delle fontane pubbliche, tanto che ne era nata un’interrogazione: “La gente normalmente in bagno ci va da sola, non si può certo invocare il rispetto delle distanze sociali quale elemento per la chiusura dei bagni pubblici”, si scriveva. “Siccome per la stessa emergenza Covid-19 sono chiusi pure i ritrovi pubblici, chi deve recarsi in bagno e non può andare a casa o in sede (postini, taxisti, impiegati comunali ecc.) cosa può fare se non urinare in una bottiglia – pratica adottata da molti autisti che allo scopo si portano da casa una bottiglia di PET – o in un cespuglio?”. Poi è arrivata la primavera…

La Giornata mondiale della toilette

Ancora oggi più di 2 miliardi di persone nel mondo non hanno accesso a una toilette e per questo esiste il Word Toilet Day, che cade il 19 novembre. Il Word Toilet Day rivendica il diritto all’igiene e alla privacy con la sfida: “Trovare un sanitario che riesca a combinare igiene, salute e allo stesso tempo a non sprecare risorse d’acqua, aiutando anche i paesi in difficoltà ad affrontare il più grande problema sanitario mondiale”.

 

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