Manuela Bieri: io, loro e ciò che sarà

Un’esistenza piena come gli scaffali di una libreria. E poi, quando meno te lo aspetti, ecco il battito di una nuova vita. E il viaggio continua.

Di Natascia Bandecchi

Pubblichiamo un articolo apparso su Ticino7, allegato del sabato a laRegione.

È nata il 15 giugno 1977. Diplomata in Comunicazione visiva alla SUPSI, giornalista per la RSI e artista tessile, oggi pesa molti più chili di pochi mesi fa – ʻsono tantissimi di piùʼ aggiunge –, ma lo dice sorridendo. Il suo essere nata sotto il segno dei gemelli le ha fatto comprendere col tempo che ʻtutto è l’opposto di tuttoʼ. È ordinata, ma se metti il naso nel suo atelier vorresti chiamare Marie Kondo per dargli una sistemata. La musica è la colonna sonora della sua vita – né metal, né classica – però un sacco di sfumature nel mezzo. Le piace l’incognita: il viaggio, poco organizzato e poco strutturato, è uno strumento prezioso per contattare parti di lei inesplorate. Oggi vive a Gravesano col compagno di vita, la loro micia Wanda e presto un piccolo ʻluiʼ che animerà le loro vite. Nella vita ha poche certezze: l’amore, le relazioni interpersonali e sa bene chi è.

Scaffali stracolmi di libri, vinili che tappezzano una parete del salotto, colori, forme e tante impronte di cultura e arte che animano casa di Manuela. Wanda – la micia apparentemente innocua, anche se dalle zampate lasciate sulle mani di Manuela non si direbbe – ci fa compagnia per tutta la chiacchierata (seduta tra l’altro sulle mie gambe: ne sono uscita illesa, per la cronaca).
Manuela aspetta il primo figlio e i ricordi vanno a quando era piccola: “Ero vivace, leggera, intrattenitrice e autonoma. Crescendo in una famiglia numerosa e unita c’è stato un momento in cui però ho sentito il bisogno di contattare le mie parti buie. Ho frequentato amicizie pessime per mettermi nei panni dell’osservatrice e rendermi conto che non era quello che volevo”. Sono stati anni complicati. La sua famiglia non capiva il cambiamento di Manuela. “Mi sono persa in quegli anni, scrivevo nei miei diari che avevo la sensazione di essere sul treno sbagliato, e a tratti questa cosa la sento ancora oggi”. 

Viaggio

Dall’Antartide alle Azzorre, dalla sua amata Asia – vista in lungo e in largo – al Medio Oriente: Manuela è stata una viaggiatrice seriale per quasi 20 anni. “La prima volta – non avevo nemmeno 18 anni – ho inconsciamente scelto di andare nel posto più lontano da qui: l’Australia. La scusa era: per imparare l’inglese”. Manuela si accorge ben presto che la scuola a Perth non fa per lei. The bag is on the table (classica frase per chi impara l’inglese) le sta stretta, ritira la retta scolastica e forte della visita del fratello maggiore parte per diversi mesi alla scoperta del resto del Paese, per poi raggiungere in solitaria Singapore, Malesia e Thailandia. “Quei mesi mi hanno cambiata per sempre. Mandavo un fax ai miei una volta al mese giusto per avvisarli che stavo bene – poverini, quante ansie. Ho imparato a cavarmela da sola. Mi sono sentita per la prima volta responsabile della mia felicità. È stata una lezione immensa durata 9 mesi”.

Punti di domanda

Manuela fino a qualche anno fa è sempre stata free-lance: creazioni tessili, servizi giornalistici per Rete 3, grafica e via discorrendo. “Per tantissimi anni l’unico obiettivo era avere dei lavori che mi permettessero di partire”. Arriva poi, inevitabilmente, un momento della vita in cui ci si mette in discussione: “Dopo aver girato in lungo e in largo per il mondo ho iniziato a farmi delle domande. Intorno a me le persone si costruivano famiglie, carriere professionali; ambiti in cui non avevo mai veramente investito. Mi sono data da fare e oggi sono felice di avere un contratto a metà tempo come giornalista, essere un’artista tessile attiva e piena di idee. Si è appena conclusa una mostra personale al Museo della Verzasca di Sonogno e un mio lavoro è stato selezionato per l’edizione 2020 della Miniartextil di Como”. 


© Ti-Press / Pablo Gianinazzi

Io, io, io…

Dalla Manuela con lo zaino in spalla alla Manuela con il pancione di oggi di “cose” ne sono cambiate parecchie. “Per anni i mesi in viaggio si alternavano a mesi di crisi su chi fossi e cosa volessi fare della mia vita. A un certo punto senza nemmeno accorgermene sono diventata una persona solida e piena di fiducia, anche se continuo a farmi un sacco di domande sul senso della vita e mi ritengo una persona piuttosto irrequieta. Ho incontrato Enrico – il mio compagno – che si è innamorato di tutti i miei strati e che è riuscito a farmi amare il nido”. Manuela ha sempre pensato di avere figli ma c’era sempre qualcosa di più importante: i viaggi, il lavoro, l’arte, i sogni. “Non sono certa si sia trattato del ticchettio dell’orologio biologico, ma a 40 anni ho capito che ero pronta a mettermi un po’ da parte. Per una vita ho pensato solo a me e a quello che volevo fare: non ero certa di voler passare i successivi anni a rispondere solo ai miei bisogni”. Finalmente si decide. “Ok sono pronta, siamo pronti”. Ma il figlio non arriva subito, ci vogliono 2 anni e tanta pazienza. “Ho dovuto fare i conti con la vita che avevo scelto, non potevo colpevolizzare nessuno se un bambino non arrivava. Mi ero quasi arresa, ma a inizio del lockdown è arrivata la sorpresa: aspettavamo un bambino”.

Ignoto

Nei primi mesi di gravidanza, per la prima volta nella mia vita ho pensato ad altro, non a quello che avrei dovuto e voluto fare: il mio futuro, progetti, idee. “Posare le mani sul grembo e sentire che la vita ti è cambiata radicalmente è stato, e continua ad essere, incredibile”. Come nel viaggio, in cui spesso si va incontro all’ignoto, anche nella gravidanza si entra in un certo senso nella stessa dimensione del non sapere. “Penso che avere il primo figlio a 43 anni sia un’esperienza pazzesca. Mentirei se dicessi di non avere timori: lo vedrò crescere e diventare adulto, mentre io invecchierò, ma questa è la meraviglia dell’esplorazione dello sconosciuto, godersi il viaggio senza conoscere la meta finale”.

 

 

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