Positivo (ma non troppo)
Ogni tanto, quando non ho proprio nulla da fare e “ho la testa ovattata, non ho neanche una voglia” (Gaber docet), inizio a sfogliare pagine che altrimenti non leggerei mai.
Di Lorenzo Erroi
Pubblichiamo un contributo apparso su Ticino7, allegato del sabato nelle pagine de laRegione.
Una mia passionaccia sono i manuali di autoaiuto: quell’enorme catalogo di produzione spirituale o parapsicologica, magari concepita per spillare soldi a gente assai tormentata e a volte pure un pochino ingenua. Ce ne sono di tutti i tipi, e altrettanto numerosi sono i suggerimenti: fate yoga, meditate, passeggiate nel bosco. Perché si debba pagare qualcuno che affermi certe ovvietà – qualcuno che non sia il nostro psicanalista di fiducia, intendo – sfugge alla mia comprensione. Eppure c’è una cosa, in quei tomi, che riesce a trasformare la mia abulia in una salutare incazzatura: il fatto che tutti, ma proprio tutti, ti invitino a “pensare positivo”. Come se i pensieri negativi fossero solo una nostra infondata elucubrazione. Come se bastasse aprire qualche chakra per cancellarli (mai nessuno che consigli piuttosto di buttar giù una damigiana di barbera, guarda un po’; che poi cos’è davvero, un chakra? Io me lo immagino come una sorta di cistifellea metafisica). Come se uno, insomma, non potesse avere tutte le ragioni per essere giù di morale. Finisce sempre che mi diverto tra me e me a litigare con gli autori di certe scemenze, e la cosa mi rianima. Non sono il solo, a quanto pare.
Oggi la brillante Mariella Dal Farra nota che l’effetto di certi consigli, per chi gli dà retta, rischia di essere l’opposto: “A forza di sentirne parlare, abbiamo cominciato a pensare che, alla fine, se non siamo capaci di essere felici è soltanto per colpa nostra”. Mi fa venire in mente un vecchio monologo interiore di Nanni Moretti: “Dipende da me. Dipende solo da me. E se dipende da me, so già che non ce la farò”. E allora ben venga il ritorno a Maslow, all’idea che è inutile cercare spasmodicamente una tranquillità vulcaniana, che della vita non ci ricorderemo di certo l’ebetismo autoindotto delle sedute di respirazione guidata, ma piuttosto le emozioni più forti, anche quelle negative. Ben venga quindi anche lo ius murmurandi: il diritto al lamento, all’imprecazione, alla catarsi da scaricatore di porto. Senza esagerare, per carità: sennò poi si diventa una pioda per chi si ha accanto. Però abbiano pazienza le anime belle: alcuni di noi riescono ad aprire un solo chakra, quello del moccolo. E che liberazione.