Il gioco del virus (per i più piccoli)

Dopo terrorismo, crisi economiche e insicurezze sociali di varia natura, ora il mondo degli adulti è entrato nel tunnel dell’influenza planetaria. E ai bambini che gli racconti?

Di Giancarlo Fornasier

I figli di Luigi hanno capito che qualcosa «non funzionava» per caso, incontrando lo zio Ernesto al supermercato. Di solito era tutto uno stringersi di mani e pacche sulle spalle con papà: ma quel sabato mattina no. «Avete litigato?», ha chiesto il più piccolo. Luigi sulle prime non ha risposto, poi si è giustificato: «Ma va, tutto a posto. È che lo zio è anziano, sapete…». Beh, in verità sanno ciò che il padre aveva cercato di spiegare loro un paio di giorni prima, confrontato con l’inevitabile domanda: «Perché ci sono i morti di coronavirus?».
I virus sono esserini piccolissimi, aveva risposto Luigi; «non si vedono anche se li cerchi benissimo. Per questo fanno paura e ne parlano i giornali, la radio, la TV. Un po’ come i mostri invisibili che di notte cercano di nascondersi sotto il letto, ma che noi invece mettiamo in un bel sacco prima di spegnere la luce. E poi li buttiamo via!».
La sera stessa Luigi e la moglie concordano una strategia comune per affrontare l’emergenza familiare: s’inventano un gioco a premi, un po’ come Benigni ne La vita è bella. Funziona così: appena qualcuno sente o legge la parola «virus» deve correre in cucina e mettere una piccola calamita gialla (disponibile in un barattolo precedentemente preparato) sulla porta del frigo. Chi prima arriva a dieci punti/calamite vince un mini gelato (vegano e senza zucchero). Il problema è che in due giorni sono già state liquidate cinque scatole di gelatini. Troppi. Ora si sta pensando a un’altra parola da cogliere: «Covid-19». La speranza è che il consumo di gelati crolli, e che nel frattempo ’sto virus se ne vada a quel paese (in senso figurato…).

PS: chi fosse poco convinto della strategia applicata nella famiglia di Luigi, provi a “cliccare” sull’immagine in alto.

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